Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22020 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22020 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato il 30/06/1977 a Palazzo Adriano avverso la sentenza del 13/01/2025 della Corte di appello di Firenze
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procur generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria difensiva dell’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la pronuncia sopra indicata la Corte di appello di Firenze ha confermat la sentenza del Tribunale di Livorno del 26 marzo 2019 con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di un anno e nove mesi di reclusione per il reat evasione, ritenuta la recidiva reiterata.
Avverso tale sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando i seguenti motivi che possono es cumulativamente sintetizzati nel modo che segue.
Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata h erroneamente rideterminato la pena calcolando la diminuzione per il ri abbreviato sulla pena-base inflitta dal Tribunale, che, però, non aveva specifi il calcolo, operando una sorta di surrettizia inversione così da non consent comprensione del procedimento che aveva condotto alla quantificazione della sanzione finale.
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, in mancan richiesta nei termini di discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Va premesso che il Tribunale aveva applicato a NOME COGNOME per il delitto d evasione, la pena finale di un anno e nove mesi di reclusione ritenendo sussist la contestata recidiva, senza specificare, però, né quale fosse la pena-bas quale fosse l’aumento per la menzionata circostanza aggravante, né la riduzio per il rito abbreviato.
La Corte di appello, a fronte del motivo di appello proposto, confermando l sentenza impugnata anche con riferimento alla quantificazione della pena, h specificato il calcolo (pena-base un anno, sei mesi e ventisette giorni di reclu aumentata di 2/3 per la recidiva qualificata a due anni e sette mesi e ventiqu giorni di reclusione, diminuita di 1/3 per il rito abbreviato) pervenendo alla finale di un anno e nove mesi di reclusione, come già il Tribunale.
Il ricorso è manifestamente infondato perché si limita a censurare il calc interno a fronte di una pena finale corretta.
Risulta che l’aumento per la recidiva di 2/3 (calcolato sulla pena base indi dalla stessa Corte di appello in un anno, sei mesi e ventisette giorni di reclu avrebbe dovuto portare a due anni, sette mesi e quindici giorni di reclusi anziché, come scritto nella sentenza a due anni, sette mesi e ventiquattro gi di reclusione, ma la riduzione di 1/3 per il rito abbreviato sul calcolo corret anni, sette mesi e quindici giorni di reclusione) avrebbe portato, comunque, pena finale indicata nel dispositivo di un anno e nove mesi di reclusione.
E’ appena il caso di rilevare che il ricorrente non si è lamentato dell’entità dell’aumento per la recidiva.
Dalla contestazione risultava la sola recidiva reiterata, che comporta un diverso aumento della pena.
Peraltro, il vizio non è rilevabile d’ufficio da questa Corte, in quanto costituisce consolidato orientamento ermeneutico di questa Corte che «Nell’ambito della categoria dell’illegalità della pena, non rientra la sanzione che risulti conclusivamente legittima, pur essendo stata determinata seguendo un percorso argomentativo viziato (…) Qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali astratti, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del motivo di ricorso. (…) “Pena illegale” è quella che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, perché diversa per genere, per specie o per quantità da quella positivamente prevista» (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886, in motivazione).
Ne consegue che gli errori nella commisurazione della pena danno luogo ad una pena illegale solo se la risultante (ovvero la pena indicata in dispositivo) è per genere, specie o per valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha previsto per il tipo (o sottotipo) astratto al quale viene ricondotto il fatto stor reato (Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818, in motivazione).
Nel caso in esame, come sopra indicato, risulta che l’aumento per la recidiva di 2/3 (calcolato sulla pena base indicata dalla stessa Corte di appello in un anno, sei mesi e ventisette giorni di reclusione) avrebbe dovuto portare a due anni, sette mesi e quindici giorni di reclusione, anziché, come scritto nella sentenza, a due anni, sette mesi e ventiquattro giorni di reclusione, ma la riduzione di 1/3 per il rito abbreviato sul calcolo corretto (due anni, sette mesi e quindici giorni di reclusione) avrebbe portato, comunque, alla pena finale indicata nel dispositivo di un anno e nove mesi di reclusione. Invece, riducendo di 1/3 secco il calcolo indicato in motivazione (cioè due anni, sette mesi e ventiquattro giorni di reclusione), all’esito dell’aumento erroneo per la recidiva, la pena finale avrebbe dovuto essere un anno, nove mesi e sei giorni di reclusione e non un anno e nove mesi di reclusione, come invece indicato dalla stessa sentenza impugnata, così confermando una pena, comunque, più favorevole per l’imputato.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e i ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e, in virtù delle statuizioni della sentenza della Corte
costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, non emergendo che il ricorso sia st presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa
inammissibilità”, anche al versamento di una somma in favore della Cassa dell ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de
ammende.
Così deciso il 13/05/2025