Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35706 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35706 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME NOME nato a ROSARNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluto chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il Difensore : è presente l’AVV_NOTAIO, del Foro di PALMI, in difesa di NOME COGNOME NOME. Il Difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Reggio Calabria il 19 settembre 2023, per quanto in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza, appellata dall’imputato, con cui il G.u.p. del Tribunale di Palmi il 20 luglio 2012, all’esito del giudizi abbreviato, ha riconosciuto NOME responsabile di più violazioni del comma 1 dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere effettuato plurime cessioni di cocaina (capo A, commesso 1’8 maggio 2005 ed in epoca antecedente e prossima), per avere offerto in vendita cocaina (capo B, il 7 luglio 2005) e per avere concorso (con NOME COGNOME) in plurime cessioni di cocaina (capo C, in data antecedente e prossima al 17 giugno 2005) e, con il vincolo della continuazione, applicata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alla pena di giustizia (sette anni di reclusione e 30.000,00 euro di multa), ha assolto l’imputato dai reati di cui ai capi B) e C) (rispettivamente: perché il fatto non sussiste; e per non avere commesso il fatto) e, in conseguenza, ha rideterminato la pena finale per il residuo reato di cui al capo A) nella misura di cinque anni e quattro mesi di reclusione e di 20.000,00 euro di multa.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a cinque motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e vizio motivazionale.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 ed apparenza, palese contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato in relazione al capo A) dell’editto, la cui prova viene tratta da intercettazioni conversazioni svolte inter alios.
Si rammenta che alle pp. 47 e ss. della · sentenza, e specc. alle 50-53, si legge che si comprende che l’oggetto delle cessioni è cocaina in base al contenuto delle conversazioni intercettate intercorse tra il coimputato nel capo C) NOME COGNOME e terze persone (COGNOME NOME e COGNOME NOME), spiegandosi al riguardo che quando si dice “fumo” ci si riferisce alla cocaina e che uno dei canali di rifornimento è a Rosarno (RC), paese nel quale risiede il ricorrente; alla fine del ragionamento, che .si riferisce in sintesi nel ricorso, l Corte territoriale conclude che tutti gli acquisti effettuati da COGNOME COGNOME passat a Rosarno non possono che essere stati “trattati” da NOME.
Il riferito ragionamento dei Giudici sarebbe, però, apodittico, congetturale e frutto di travisamento della prova, traendo il fatto da dimostrare da asserzioni generiche, prive di elementi circostanziali, peraltro in evidente contrasto logico con il contenuto della prime 46 pagine della sentenza, ove si riferisce, con la
medesima veste grafica, il contenuto della informativa di reato, da cui si evince che il fornitore della droga acquistata da COGNOME 1’8 maggio 2005 a Rosarno era personaggio rimasto ignoto e che peraltro in quell’occasione COGNOME era rimasto truffato, poiché aveva ricevuto sostanza diversa da quella concordata.
Inoltre, la stessa sentenza, alla p. 56, ammette che NOME non fosse il fornitore dello stupefacente ma che lo stesso sì sia limitato a svolgere funzione di mediazione con persone rimaste ignote.
In conseguenza, la conclusione che si rinviene alla p. 57 della sentenza impugnata, secondo cui risulta provato che l’imputato abbia effettuato molte cessioni di cocaina a NOME COGNOME, risulta, ad avviso della RAGIONE_SOCIALE, contraddittoria, illogica e frutto di travisamento della prova.
Del resto, è la stessa sentenza impugnata – alla p. 54 – ad ammettere che il primo incontro tra NOME e COGNOME NOME è avvenuto 1’8 maggio 2005, avendo NOME COGNOME fornito il contatto di NOME a COGNOME e «tale circostanza rappresenta una evidente frattura logica nella ricostruzione della sentenza che pretende di attribuire al ricorrente condotte pregresse di cui non vi è alcuna prova» (così alla p. 4 del ricorso).
Dunque, COGNOME si recava a Rosarno 1’8 maggio 2005 ed acquistava da un soggetto rimasto ignoto e presentatogli da NOME un modesto quantitativo di droga che, però, raggiunta Catanzaro, si scopriva essere completamente diversa da quanto concordato; quindi – come dà atto la sentenza – iniziavano i tentativi da parte di COGNOME di incontrare NOME, che gli aveva presentato il venditore, per ottenere la restituzione del denaro versato all’ignoto autore della truffa; nondimeno la sentenza attesta che, almeno sino ad agosto 2005 (quando COGNOME veniva arrestato), NOME e NOME non si erano più incontrati.
Da quanto riferito appare, ad avviso del ricorrente, manifestamente illogico e contraddittorio che NOME possa avere ceduto droga a COGNOME prima dell’8 maggio 2005, data sino alla quale i due nemmeno si conoscevano.
Quanto specificamente all’episodio dell’8 maggio 2005, la Corte di merito “si arrampica sugli specchi”, secondo la RAGIONE_SOCIALE, per sostenere che “il fumo” non è droga leggera ma cocaina; e ciò richiamando una telefonata, intercettata, del 17 giugno 2005, alla quale è estraneo NOME ed in cui COGNOME spiega di avere fumato cocaina e che quella che si trova Rosarno è superiore per qualità a quella degli “zingari” di Catanzaro: onde l’inferenza logica, che il ricorrente censura additandola 5 apodittica e meramente congetturale, tra la conversazione del 17 giugno 2005 e l’episodio dell’8 maggio 2005; e ciò trascurando che dagli atti emerge che 1’8 maggio si è verificata una vera e propria truffa in danno di COGNOME, tanto da potersi ipotizzare che ciò che ha ricevuto nell’occasione non fosse nemmeno qualificabile come sostanza stupefacente (nelle conversazione
intercettata lo stesso lamenta avere ricevuto della semplice “terra”). Ciò che comprova ulteriormente che il paragone tra il 17 giugno e 1’8 maggio 2005 è mal posto e fuorviante, oltre che conseguenza di un evidente travisamento.
2.2. Con il secondo motivo censura ulteriore violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto all’episodio dell’8 maggio 2005, avendo proprio la sentenza impugnata spiegato (alla p. 17) che COGNOME era stato vittima di raggiro da parte di NOME, circostanza che nel prosieguo della sentenza verrebbe peraltro stravolta. Quanto accaduto 1’8 maggio 2005 non avrebbe nemmeno i connotati del fatto penalmente rilevante, atteso che l’asserita proposta di vendita di sostanza stupefacente non ha assunto nel caso concreto i contorni della serietà e della concretezza.
Né potrebbe riqualificarsi la condotta di NOME come condotta di offerta e messa in vendita, in quanto la stessa, a ben vedere, si è rivelata insussistente, atteso il raggiro pacificamente operato, dato che la sostanza consegnata non era stupefacente. Donde la inconfigurabilità persino del tentativo, non essendo la ipotetica proposta né realizzabile né seria. Infatti non è punibile, per concorde affermazione giurisprudenziale (si richiamano plurimi precedenti di legittimità), la mera “vanteria” di chi offre droga di cui non ha la disponibilità; né lo è chi cede sostanza che droga non è.
In definitiva, mancherebbe la «formazione progressiva delle volontà di acquisto e di vendita dello stupefacente che avrebbe consentito di ricondurre la condotta ascritta all’NOME all’ipotesi delittuosa stigmatizzata dall’art. 73 Dp 309/90, sia nella forma consumata che in quella tentata. In ogni caso la contestazione mossa al ricorrente, e per la quale è intervenuta condanna, è di aver ceduto sostanza stupefacente e non quella di offerta e messa in vendita di sostanza stupefacente, del che vi sarebbe comunque stata una violazione di legge per mancata correlazione tra la concotta contestate quella valorizzata/riqualificata in sentenza» (così alla p. 15 del ricorso).
2.3. Con il terzo motivo NOME si duole della violazione dei commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e di mera apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’argomento difensivo, totalmente trascurattidalla Corte di appello, del prezzo della droga, indicato alle pp. 23-24 della sentenza impugnata (con riferimento alla intercettazione progressivo n. 299 del 17 giugno 2005), in 55-60 euro all’etto: ergo, indiscutibilmente, droga leggera, avendo la cocaina un prezzo notoriamente di gran lunga superiore. Ciò comporterebbe rilevantissime conseguenze sia sulla qualificazione giuridica sia sulla pena sia anche sulla prescrizione, prescrizione che sarebbe, ad avviso del ricorrente, sicuramente
maturata (risalendo i fatti al 2005). Si segnala, dunque, un’ulteriore frattura logica del ragionamento e travisamento della prova.
2.4. Oggetto del quarto motivo è la violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e, nel contempo, carenza, illogicità e contraddittorietà dell’apparato giustificativo in relazione al mancato riconoscimento del fatto di lieve entità.
La giustificazione svolta dalla Corte territoriale alla p. 59 (incentrata su: gravità del fatto, frequente rifornimento di cocaina purissima in favore di spacciatore proveniente da fuori provincia, dimensione “multiterritoriale”, precedenti penali di NOME) è del tutto apparente, se non mancante, in quanto, per le ragioni esposte ai punti precedenti, non si se NOME abbia dato la droga e, nell’affermativa, di quale tipo, di che qualità, con quale frequenza e ripetitività né a quale prezzo: onde tutto il ragionamento dei giudici di merito per escludere la invocata riqualificazione sarebbe meramente apparente, se non già mancante.
2.5. Infine, con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 62-bis, 81 e 133 cod. pen. e mera apparenza, illogicità e contraddittorietà della sentenza in punto di trattamento sanzionatorio equo e di dosimetria della pena.
Alla p. 59 la Corte di appello di Reggio Calabria scrive di muovere dal minimo edittale di otto anni di reclusione, mentre il minimo, come noto, è di sei anni di reclusione. E da otto anni scende, operata la diminuzione per il rito, a cinque anni e quattro mesi di reclusione, oltre a 20.000,00 euro di multa. Se invece fosse partita – correttamente – dalla sanzione di sei anni, sarebbe dovuta scendere a quattro anni di reclusione, significativamente inferiore alla pena in concreto applicata (di cinque anni e quattro mesi di reclusione).
Si evidenzia anche la violazione dell’art. 133 cod. pen., per avere prescelto una sanzione non in linea con la necessità di “individualizzazione” del trattamento sanzionatorio, e anche dell’art. 62-bis cod. pen., per non avere inteso riconoscere le attenuanti c.d. generiche. Infatti, il diniego sulla base della pretesa “ripetitività” delle condotte (come si legge alla p. 59 della sentenza impugnata) è, come si è già detto, basato su un evidente travisamento delle emergenze istruttorie.
Si domanda, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
2.6. E’ stata tempestivamente chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE la discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è parzialmente fondato, nei limiti e per le ragioni di cui appresso.
2. Con il primo motivo, come si è visto, si contesta la violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione al capo A). Ad avviso del ricorrente, dal contenuto delle intercettazioni non si potrebbero ricavare le conseguenze che ne traggono i giudici di merito; si sarebbe, infatti, in presenza di mere congetture; COGNOME, l’acquirente, ed NOME, il compratore, in realtà, si sarebbero conosciuti soltanto 1’8 maggio 2005, non prima; peraltro, 1’8 maggio COGNOME sarebbe stato truffato, avendo ricevuto sostanza diversa da quella pattuita, che COGNOME, intercettato, definisce “terra”, sicchè la sostanza probabilmente nemmeno avrebbe efficacia drogante; vi sarebbero insanabili contraddittorietà illogiche interne alla stessa motivazione della sentenza, ad esempio, l’impiego del termine “fumo” per indicare droga non già leggera ma pesante.
2.1.Ciò posto, la sentenza del Tribunale (alla p. 34) colloca temporalmente l’inizio dei rapporti tra NOME e COGNOME 1’8 maggio 2005, allorquando COGNOME, su proposta di tale NOME COGNOME, autotrasportatore, chiama NOME per telefono, presentandosi come l’amico di COGNOME, “quello degli autotrasporti”, indice che prima di allora NOME e COGNOME non si conoscevano.
In prosieguo la decisione di primo grado (alla p. 35) dà atto che COGNOME si lamenta della droga che ha acquistato a Rosarno la sera dell’8 maggio, tanto da dire ad NOME che nelle “bottiglie” non c’era “vino” ma “acqua”. Al che NOME, che si autodefinisce “persona seria”, così come un proprio (non precisato) cugino, provvede ad organizzare un incontro per il pomeriggio del 9 maggio, incontro che, in effetti, avviene a Rosarno nella data e nell’ora stabilite e nel corso del quale (scrive il Tribunale alla p. 35) avviene la sostituzione della droga risultata non gradita all’acquirente. All’incontro risolutivo non è presente NOME, con il quale successivamente NOME colloquia per telefono lasciando intendere di non essere molto contento delle condizioni economiche dello scambio (p. 35).
Da altre telefonate intercettate il 17 maggio 2005 – prosegue la sentenza di primo grado (p. 35) – emerge che COGNOME effettua un altro viaggio a Rosarno, dopo avere avuto il “via libera” da NOME, il quale si trova altrove, con nuovo accesso il 18 maggio, essendo insorto qualche problema.
Si descrive poi un altro viaggio a Rosarno il 24 maggio 2005, rispetto al quale COGNOME chiede a NOME rassicurazioni prima di partire (p. 36); e vi sono telefonate nei giorni 30 maggio e 22 giugno 2005 tra COGNOME ed NOME finalizzate ad altri incontri (p. 36 della sentenza del Tribunale).
Nel corso di conversazione in ambientale in auto la sera del 17 giugno 2005 tra COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, il primo spiega agli interlocutori che è possibile acquistare cocaina di qualità – anche – a Rosarno da una persona di circa 30 anni , che ha una ditta di trasporti, al prezzo di 55-60 euro al grammo, persona da cui ha
direttamente acquistato e che ha svolto anche la funzione di mediatore (p. 36 della sentenza del G.u.p., ove si dà atto di altri riferimenti alla cocaina comprata a Rosarno fatti da COGNOME conversando in auto il 1° luglio 2005).
Il Tribunale aggiunge che gli spostamenti da Catanzaro a Rosarno non soltanto non sono negati da COGNOME ma risultano anche dalla localizzazione satellitare del telefono (p. 37) e conclude per la sussistenza della prova della responsabilità della cessione effettuata in data 8 maggio 2024, segnalando la imprecisione decapo di accusa, che parla di condotte antecedenti, mentre ne sono emerse di successive delle quali si dà espressamente atto (p. 37), pur non potendo – ovviamente – pronunziarsi condanna.
2.2. La sentenza di appello (alla p. 47) identifica colui che viene contattato da COGNOME per NOME attraverso la intestazione delle due utenze telefoniche, l’una con prefisso 333… ed ultimi numeri 558 e l’altra con prefisso 339… ed ultimi numeri 269, e sottolinea la circostanza che l’intermediario che ha messo in contatto COGNOME ed NOME, cioè NOME COGNOME, ha effettivamente una ditta di autotrasporti, così come NOME, cui si è fatto ricorso per trovare la droga (p. 47).
Poi valorizza specialmente il contenuto della intercettazione ambientale del 17 giugno 2005, in cui COGNOME rapparesenta a COGNOME e a COGNOME di potersi rifornire di cocaina di buona qualità a Rosarno, conversando del prezzo, che viene indicato come conveniente, data la qualità, e precisando che il fornitore della cocaina è colui che sta fornendo il “fumo” facendo riferimento a diversa tipologia di droga che ha acquistato, ma continuando a parlare di cocaina, talora espressamente nominata, di buona qualità, a buon prezzo, cioè 60-65 euro, a differenza di quella che costa meno ma che è di cattiva qualità, che si può reperire dallo “zingaro” (pp. 47-54 della sentenza di appello).
Inoltre, la sentenza impugnata, alla stregua di quanto appreso dalla conversazione a tre testè riferita, analizza il contenuto dei dialoghi intercettati tra COGNOME ed NOME, a partire da quello dell’8 maggio 2005 (pp. 54-56), risultando l’incontro e le successive lamentele di COGNOME perché la droga acquistata a Rosarno non sarebbe “vino” ma “acqua” e conterebbe “terra”, sicchè NOME, che precisa essere una “persona seria”, organizza un incontro per risolvere il problema per il 9 maggio, incontro che, in effetti avviene a Rosarno.
Ulteriori telefonate intercettate del 17 giugno e dell’11 e del 24 maggio 2005 forniscono altri dettagli conformi alle emergenze già acquisite (pp. 56-57).
La Corte di appello conclude (alle pp. 58-59) che sussiste la cessione dell’8 maggio 2005, episodio nel quale NOME ha avuto il ruolo di mediatore tra venditore e acquirente, oltre ad altri, cronologicamente successivi, non contestati dal P.M.
2.3. Discende che il primo motivo di ricorso si concentra sulla prima parte della sentenza (che recepisce l’informativa della polizia giudiziaria) ma non si
confronta con la parte di sintesi e di valutazione critica delle risultanze che si è riferita, essendo stato l’imputato condannato solo per i fatti dell’8 maggio 2005.
Quanto al secondo motivo (con il quale si lamenta ulteriore violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione, assumendosi anche l’impossibilità di riqualificare la cessione contestata come avvenuta 1’8 maggio 2005 in offerta in vendita ovvero in tentativo), è assorbito dalle considerazioni svolte in relazione al primo, apparendo il ragionamento dei giudici di merito congruo, logico ed immune da vizi sindacabili in sede di legittimità.
In relazione al terzo motivo (secondo cui il prezzo della droga indicato alle pp. 23-24 della sentenza impugnata è di 55-60 euro all’etto, quindi non si sarebbe in presenza di droga pesante ma di droga leggera, con le ovvie conseguenza in tema di qualificazione del reato, di pena e di prescrizione), in realtà le sentenze di merito indicano espressamente il prezzo al grammo, non all’etto (v., ad es., pp. 23 e 50 di quella di appello e p. 36 di quella di primo grado): l’asserzione del ricorrente, quindi, risulta destituita di fondamento.
In riferimento al quarto motivo (con il quale si denunzia il mancato riconoscimento del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990), alla p. 59 della sentenza impugnata si legge che la gravità dei fatti, il frequente rifornimento di cocaina di buona qualità (fenomeno accertato incidentalmente dai giudici di merito in motivazione, pur in difetto di contestazione del P.M.), la dimensione multiterritoriale dell’azione ed i precedenti penali di NOME impediscono sia di ricondurre il fatto all’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 sia di riconoscere le circostanze attenuanti generiche.
Si tratta di motivazione sufficiente, non illogica e non incongrua; ed al riguardo si rammenta che alla p. 41 della sentenza di primo grado si sottolinea la gravità del fatto, i notevoli importi di denaro movimentati e la personalità dell’imputato.
Quanto all’ultimo motivo (in tema di trattamento sanzionatorio: la Corte di appello avrebbe inteso espressamente partire dal minimo edittale ma ha errato muovendo da otto, anzichè da sei, anni di reclusione; la pena, in ogni caso, sarebbe eccessiva ed ingiusta, essendo, comunque, illegittimo il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, peraltro valorizzando una “ripetitività” delle condotte insussistente e rutto di travisamento), occorre scindere il discorso.
6.1. A proposito delle attenuanti generiche, come si è già visto, la Corte territoriale (alla p. 59) sottolinea il rilievo stimato impeditivo della gravità
fatti, del frequente rifornimento di cocaina di buona qualità, della dimensione multiterritoriale dell’azione e dei precedenti penali dell’imputato; a ciò deve aggiungersi che il Tribunale aveva ritenuto (alla p. 39) la mancanza di elementi positivi per il riconoscimento delle generiche.
6.2. Diverso discorso deve farsi per la scelta della pena-base.
Infatti, alla p. 59, sestultima riga, della sentenza di appello, si indica espressamente il minimo editale come pari ad otto anni, anziché sei, di reclusione; nella mancanza di ogni indicazione al riguardo che possa rinvenirsi nella sentenza di primo grado (cfr. p. 41), si impone l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto; nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 15/05/2024.