Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10048 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10048 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Polignano NOME nato a Roma il 29/12/1968
avverso la sentenza del 12/7/2024 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con note d’udienza
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/7/2024, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia emessa il 31/1/2024 dal locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e condannato – con rito abbreviato – alla pena di due anni, otto mesi di reclusione e 9mila euro di multa.
Propone ricorso per cassazione il Polignano, deducendo í seguenti motivi:
violazione dell’art. 73 contestato in relazione agli artt. 192, 442 e 533 cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con motivazione viziata, che non terrebbe conto di numerosi e decisivi elementi, tra i quali: 1) il fatto che il carabiniere COGNOME avesse riferito soltanto de relato; 2) il mancato ritrovamento di stupefacente nell’abitazione del ricorrente; 3) la piena ritrattazione del teste COGNOME, che avrebbe dichiarato – contrariamente alle iniziali sommarie informazioni – di avere venduto stupefacente al ricorrente, non di averlo acquistato da lui. Del tutto illogico, poi, sarebbe il richiamo in sentenza all stupefacente rinvenuto in un luogo, al piano sottostante, invero accessibile anche dall’appartamento di proprietà di una società (RAGIONE_SOCIALE. Il differente grado di principio attivo tra questa sostanza e quella sequestrata al COGNOME, inoltre, confermerebbe che le stesse non farebbero capo alla medesima partita;
violazione dell’art. 69 cod. pen.; erroneo aumento di pena. La Corte di appello avrebbe ribadito l’errore compiuto dal primo Giudice, in quanto l’aumento applicato sulla pena base (pari a 2 anni di reclusione) avrebbe dovuto condurre ad una pena di 3 anni di reclusione, non di 4, con la conseguenza che la riduzione per la scelta del rito avrebbe dovuto infine condurre ad una pena di 2 anni di reclusione (e 9.000 euro di multa), inferiore a quella irrogata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato limitatamente al secondo motivo.
Con riguardo alla prima censura, in punto di responsabilità, il Collegio non riscontra affatto il vizio motivazionale denunciato, peraltro con ampio richiamo ad argomenti di merito inammissibili in questa sede, poiché volti ad ottenere una differente e non consentita rilettura degli elementi di prova: entrambe le sentenze, infatti, hanno adeguatamente giustificato la pronuncia di condanna, prendendo in esame – con argomento del tutto solido e logico – tutti gli elementi risultanti dagli atti e suscettibili di essere valutati con rito abbreviato, nonché quelli che il prim Giudice aveva deciso di acquisire personalmente, a muover dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, radicalmente mutate tra la fase investigativa e quella del giudizio.
4.1. In particolare, è stato sottolineato che la tesi difensiva per la quale ricorrente non avrebbe ceduto cocaina al COGNOME, ma la avrebbe da questi acquistata, si scontrava con plurimi elementi di segno contrario: a) dagli atti emergeva che gli operanti avevano assistito alla cessione, descrivendola a verbale nei termini di cui all’imputazione, ossia con il COGNOME nella veste di cedente; b) appena fermato, il COGNOME aveva dichiarato di aver acquistato cocaina dal ricorrente; c) la versione difensiva risultava smentita dal fatto che nell’abitazione del Polignano non era stata trovata alcuna dose di stupefacente; d) qualora, poi,
quella asseritamente ceduta dal COGNOME fosse stata quella rinvenuta nel vano seminterrato, non sarebbe verosimile la tesi della detenzione per uso personale, in quanto nel medesimo contesto erano stati sequestrati vari oggetti necessari per la successiva cessione (sostanza da taglio, bilancino di precisione con tracce di cocaina, materiale per il confezionamento, un foglio manoscritto con numeri e nominativi).
4.2. Quanto, poi, alla differente versione resa dal COGNOME innanzi al Giudice, la Corte di appello ne ha sottolineato l’assoluta inverosimiglianza: in sede di sommarie informazioni testimoniali, appena fermato, il soggetto si era infatti espresso in termini molto chiari (che la sentenza riporta analiticamente), tali da non poter far sorgere alcun dubbio circa il ruolo di cedente coperto dal Polignano. La stessa sentenza di merito, peraltro, ha anche affrontato il presunto stato di ubriachezza che avrebbe colpito in quel contesto il COGNOME, tale da indurlo a dichiarazioni non veritiere: con congruo argomento, infatti, questa tesi è stata ritenuta inattendibile perché sprovvista di qualunque riscontro, mai neppure menzionato in atti e, peraltro, difficilmente compatibile con le stesse dichiarazioni, invero precise, puntuali e dettagliate.
4.3. In ordine, infine, alla cocaina ed al già citato materiale trovato nel seminterrato, entrambe le sentenze hanno diffusamente rilevato che quei luoghi erano facilmente accessibili al ricorrente, in possesso di tutte le chiavi necessarie. La Corte di appello, inoltre, ha ritenuto inverosimile che l’intercapedine nella quale era stata trovata la cocaina fosse stata nella disponibilità di terze persone, e che queste sole avessero li messo la sostanza: premesso che tale versione non aveva ricevuto alcun riscontro, in senso contrario deponeva che il differente locale di accesso all’intercapedine era completamente in disuso ed in stato di abbandono, così da rendere inverosimile che ipotetici soggetti terzi vi avessero nascosto la cocaina ed il connesso materiale.
L’affermazione di responsabilità, pertanto, non può essere censurata, ed il ricorso sul punto deve essere dichiarato inammissibile.
Con riguardo, poi, al secondo motivo di impugnazione, in tema di trattamento sanzionatorio, lo stesso ricorso risulta invece fondato.
6.1. Il Tribunale, confermato anche sul Punto dalla Corte di appello, ha individuato la pena base in 2 anni di reclusione e 9.000 euro di multa; ne ha poi disposto l’aumento “della metà ex art. 99 c.p.” per la recidiva, così però erroneamente giungendo la pena di 4 anni di reclusione e 14.500 euro di multa (corretti dalla Corte d’appello in 13.500 euro), per poi applicare la diminuente per il rito abbreviato. Ebbene, come correttamente affermato nel ricorso, l’aumento della pena detentiva, dovuto a recidiva, avrebbe dovuto condurre ad una misura
di 3 anni di reclusione, non di 4, cosicché la sanzione detentiva finale avrebbe dovuto essere pari a 2 anni di reclusione.
6.2. La sentenza, pertanto, deve essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. La stessa pena, infatti, ben può essere rideterminata da questa Corte – ai sensi dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen. – in presenza d tutti gli elementi necessari, così da esser quantificata in due anni di reclusione e 9.000 euro di multa (pena base: 2 anni di reclusione e 9.000 euro di multa; aumentata della metà per la recidiva a 3 anni di reclusione e 13.500 euro di multa; ridotta per il rito abbreviato).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in anni due di reclusione ed euro 9.000 di multa. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2025
Il C nsigliere estensore
Il Presiderke