Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23041 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23041 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a FOGGIA il 02/03/2004
avverso la sentenza del 18/07/2024 del TRIBUNALE di FOGGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette/septffe le conclusioni del PG R
udito il difensore
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe il tribunale di Foggia applicava a Castriotta Vincenzo, ai sensi degli artt. 444 e ss., c.p.p., la pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati ex artt. 494, 495, e 337, cod. pen., in rubrica ascrittigli.
In particolare, si procedeva in sede penale nei confronti del COGNOME, in quanto quest’ultimo, sottoposto a un controllo ad opera di agenti della Polizia Stradale, alla richiesta di fornire le proprie generalità, riferiva falsamente di essere COGNOME NOME, nato a Foggia il 18.10.2002, esibendo all’uopo un verbale di perquisizione redatto a carico di quest’ultimo in data 15.4.2024, per poi darsi alla fuga, a bordo di un’autovettura, insieme con Refic Raif e NOME NOME.
La pena applicata a carico del prevenuto, era stata fissata nella misura di dieci mesi di reclusione, recependo l’accordo cui erano addivenute le parti nei seguenti termini: “pena base per il reato di cui all’art. 495, c.p., anni uno di reclusione, aumento di un mese per la continuazione con il reato di cui all’art. 494, c.p., e di due mesi per il reato di cui all’art. 337, c.p.,”, in modo da giungere alla pena di mesi quindici di reclusione, “ridotta per il rito alla pena finale di mesi dieci di reclusione”.
Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge in punto di riconducibilità della condotta in contestazione ad entrambi i reati di cui agli artt. 494 e 495, cod. pen., posto che, nel caso di specie, la fattispecie di cui all’art. 494, cod. pen., ha carattere sussidiario ed è assorbita da quella di cui all’art. 495, cod. pen.
Con requisitoria scritta del 22.2.2025 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, nella persona della dott.ssa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga accolto e che, in conseguenza dell’assorbimento, sia questa Corte a rideterminare l’entità del trattamento sanzionatorio.
Il ricorso va accolto, essendo sorretto da motivi fondati.
Preliminarmente si osserva che il ricorso dell’imputato è ammissibile, pur avendo ad oggetto una sentenza dei “patteggiamento”.
Ai sensi del disposto dell’art. 610, co. 5 bis, c.p.p., inserito nel corpo del codice di rito dall’art. 1, co. 62, della legge 23 giugno 2017, n. 103, con effetto dal 3 agosto del 2017, va, infatti, dichiarata, con procedura semplificata, l’inammissibilità dei ricorsi aventi ad oggetto, tra l’altro, le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, salvo che, in conformità alla previsione dell’art. 448, co. 2 bis, c.p.p., modificato dall’art. 1, co. 50, della citata legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso sia fondato su motivi (si intende, specifici) attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza.
Pertanto, è ammissibile il ricorso, come quello in esame, con si deduce l’erronea qualificazione giuridica del fatto.
Sul punto va, inoltre, ribadito il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, alla luce del quale in tema di patteggiamento, l’erronea qualificazione giuridica del fatto ritenuto in sentenza può costituire motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, solo quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione o sia frutto di un errore manifesto (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2018, Rv. 272026; Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, Rv. 281116; Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Rv. 283023).
Orbene, nel caso in esame, l’erronea qualificazione giuridica del fatto risulta manifesta già sulla base della descrizione del fatto contenuta nel capo b) dell’imputazione, senza che sia necessaria un’ulteriore attività valutativa.
Per costante insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 cod. pen., è sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica, come si evince dall’inciso «se il fatto non costituisce altro delitto contro la fede pubblica» contenuto nella norma incriminatrice; esso, tuttavia, in
tanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell’art. 494 cod. pen., sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica; viceversa, quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate, si ha concorso materiale di reati (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 4981 del 27/01/1998, Rv. 210600; Sez. 2, n. 8754 del 28/01/2005, Rv. 231147; Sez. 6, n. 13328 del 17/02/2015, Rv. 263076; Sez. 5, n. 9407 del 05/02/2025, Rv. 287742).
L’art. art. 494, cod. pen., costituisce, in altri termini, una norma di chiusura del sistema, non applicabile quando, come nel caso in esame, la condotta del soggetto attivo del reato si presenta come un fatto unico, non preceduto da una distinta attività di falsificazione, consistente nell’attribuirsi le false generalità del Bellosguardo, dichiarandole ai pubblici ufficiali impegnati in attività d’istituto, dunque rientrante nella fattispecie tipica di uno dei delitti contro la fede pubblica, quello di cui all’art. 495, c.p.
In questo senso del resto si è espressa in senso constante la giurisprudenza di legittimità, affermando che, in tema di reati contro la pubblica fede, poiché il delitto di sostituzione di persona ex art. 494, c.p., ha carattere sussidiario, allorquando l’induzione in errore, al fine di vantaggio o di danno, è commessa, come nel caso che ci occupa, mediante l’attribuzione di un falso nome o di una falsa qualità, in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico ovvero all’autorità giudiziaria, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall’art. 495, c.p., restando assorbito quello sussidiario di sostituzione di persona (cfr., ex plurimis, in questo senso Sez. 6, 19.5.1987, n. 8152, Rv. 176368; Sez. 5, 11.5.1981, n. 6977, Rv. 149780; Sez. 5, n. 45527 del 15/06/2016, Rv. 268468).
6. La fondatezza dei motivi di ricorso giustifica una pronuncia di annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, con rinvio al tribunale di Foggia per nuovo giudizio.
Ciò in quanto, l’annullamento, in sede di legittimità, della sentenza di patteggiamento che abbia recepito un accordo delle parti fondato
sull’erronea qualificazione giuridica del fatto va disposto senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice di merito perché proceda a nuovo
giudizio, in quanto detto vizio produce la nullità irrimediabile del patto con conseguente necessità di riportare la situazione processuale alla fase
precedente la sua stipula (cfr. Sez. 6, n. 7391 del 23/01/2013, Rv.
254877).
E invero, come è stato rilevato, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento relativa a plurimi reati, successivamente
unificati dal vincolo della continuazione, in luogo dell’unica fattispecie incriminatrice contestata, all’errore “in iudicando” non può porsi rimedio
eliminando la frazione di pena applicata in aumento, essendo necessario annullare senza rinvio la sentenza impugnata, con trasmissione degli atti
al giudice procedente, per consentire alle parti di rinegoziare l’accordo (cfr, ex plurimis, Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, Rv. 275971).
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Foggia per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma il 12.3.2025.