Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31786 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 31786 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Sesto San Giovanni il 30/06/1964
avverso la sentenza del 11/03/2025 del G.i.p. del Tribunale di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 11/03/2025, il G.i.p. del Tribunale di Bologna, su richiesta dell’imputato e con il consenso del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ritenuta la continuazione tra il reato sub iudice di riciclaggio aggravato (tra l’altro, dall’avere agito al fine di agevolare l’attività della ‘ndrangheta particolare, del sodalizio `ndranghetistico emiliano di cui l’imputato faceva parte), e i reati già giudicati con la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 06/03/2024, divenuta definitiva il 20/07/2024, applicava a NOME COGNOME la pena di nove mesi di reclusione, in aumento rispetto alla pena allo stesso irrogata con la menzionata sentenza della Corte d’appello di Bologna.
Avverso l’indicata sentenza del 11/03/2025 del G.i.p. del Tribunale di Bologna, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a unico motivo, con il quale il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 416-bis.1 cod. pen., la violazione di legge per l’erronea
qualificazione giuridica del fatto con riferimento alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui al suddetto art. 416-bis.1 cod. pen.
Il ricorrente deduce che il G.i.p. del Tribunale di Bologna non avrebbe «considera come nel procedimento principale per tutti i reati fine è stata esclusa la finalità agevolativa della predetta associazione mafiosa. Il G.u.p. nell’avallare l’ipotesi accusatoria del P.M. non ha considerato gli snodi argomentativi della sentenza principale, così incorrendo in un error in iudicando». Alla luce delle motivazioni della menzionata sentenza della Corte d’appello di Bologna le quali «escludono che la cosca traesse vantaggio dall’attività criminosa dei singoli associati», il G.i.p. del Tribunale di Bologna avrebbe «erroneamente ritenuto sussistere la circostanza aggravante speciale, non offrendo peraltro una giustificazione al perché per tale reato sia ravvisabile la finalità agevolativa de sodalizio».
In base al nuovo comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
Ciò posto, si deve ricordare che la Corte di cassazione ha costantemente affermato che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto – ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati -, il quale configurabile quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, NOME COGNOME Rv. 28302301; Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116-01), dovendosi escludere l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (Sez. 6, n. 3108 del 08/01/2018, COGNOME Rv. 272252-01) o che denunci errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dalla stessa contestazione e dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842-01; Sez. 6, n. 25617 del 25/06/2020, NOME COGNOME Rv. 279573-01; Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 275971-02).
Ciò rammentato, si deve rilevare che l’unico motivo di ricorso non evidenzia un errore manifesto che sarebbe stato commesso col qualificare il fatto attribuito all’imputato come aggravato dalla cosiddetta agevolazione mafiosa, cioè una qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo 3) dell’imputazione, atteso che, con tale capo d’imputazione, al Bologna era stata contestato di avere agito al fine di agevolare l’attività della ‘ndrangheta e, in particolare, del sodalizio `ndranghetistico emiliano di cui egli faceva parte al momento dei fatti, con la conseguenza che la censura del ricorrente investe in realtà aspetti in fatto e probatori che non risultano con immediatezza dalla contestazione.
Trattandosi di impugnazione proposta contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti dopo l’entrata in vigore della menzionata novella di cui alla legge n. 103 del 2017, il cui art. 1, comma 62, ha aggiunto all’art. 610 cod. proc. pen. il comma 5 -bis, il ricorso deve essere trattato nelle forme de plano, ai sensi del secondo periodo di quest’ultimo comma.
Per le ragioni sopra indicate, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 09/09/2025.