Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3085 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3085 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata il 25/11/1956 a Acquasanta Terme avverso la sentenza del 08/03/2024 della Corte d’appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la condanna di NOME COGNOME COGNOME per il delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter cod. pen.), ritenendo in esso assorbita la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico di cui all’art. 483 cod. pen.
L’ipotesi di indebita percezione è ipotizzata per aver l’imputata chiesto ed ottenuto il contributo di autonoma sistemazione (per un importo complessivo di 10.221,07 euro) in relazione agli eventi sismici del 24 agosto 2016, dichiarando il falso quanto ai presupposti per l’ottenimento del contributo stesso, e cioè dichiarando che la sua abitazione principale, abituale e continuativa, divenuta inagibile a causa del sisma, era in Acquasanta Terme.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputata, che ha articolato i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Errata applicazione dell’art. 316-ter cod. pen. e vizio di motivazione.
La Corte di appello ha acriticamente condiviso la decisione del Tribunale, senza rispondere alle deduzioni in appello.
Posto che, per poter avanzare domanda di contributo unificato per l’autonoma sistemazione, il richiedente doveva certificare di avere l’abitazione principale, abituale e continuativa inagibile e che per “abitazione principale, abituale e continuativa” si intende quella in cui alla data dell’evento risultava stabilita l dimora abituale, erano stati richiamati gli insegnamenti di questa Corte in sede civile, secondo cui l’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali che, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento.
La Corte d’appello ha, invece, argomentato a partire dai soli dati relativi al consumo di energia elettrica, non tenendo in considerazione che la donna aveva precisato: 1) di essere di fatto separata dal marito sin dal 2004 e di essersi trasferita da allora presso l’abitazione di sua proprietà in Acquasanta Terme; 2) di trascorrere poco tempo in casa sia per via del lavoro svolto come architetto impegnata anche fuori Regione, sia perché consumava pasti in compagnia della sorella o della madre, facendo rientro nella propria abitazione solo per dormire; 3) di essere assistita quale medico di base da un dottore di Acquasanta Terme; 4) di aver affittato, dopo la dichiarazione di inagibilità della propria abitazione, un appartamento sempre sito in Acquasanta Terme.
La Corte d’appello ha ritenuto inconferenti e prive di riscontro tali deduzioni, senza attribuire rilievo alle dichiarazioni della sorella dell’imputata, la quale aveva confermato come quest’ultima si recasse spesso presso casa sua e anche presso la casa della comune madre e che aveva una stufa a pellet, nonché di altro teste, che aveva riferito di aver visto spesso l’imputata in paese, consumare i pasti presso l’albergo di famiglia presso il quale lui lavorava e di aver portato i sacchi di
pellet a casa dell’imputata. Il che destituisce di fondamento l’argomento usato dalla Corte di appello relativo al basso consumo di energia elettrica.
2.2. Vizio di motivazione quanto all’applicazione della confisca ex art. 322-ter cod. pen.
Nell’atto d’appello si era richiesta la revoca della confisca, deducendo l’insussistenza di un profitto ingiusto, considerato che l’imputato ha utilizzato la somma ricevuta a titolo di contributo di autonoma sistemazione per affittare altra abitazione nella stessa località.
I Giudici di secondo grado hanno replicato che le somme erogate a titolo di contributo di autonoma sistemazione, in difetto dei relativi presupposti di concedibilità e dunque indebitamente percepite, a prescindere da come siano state utilizzate, costituiscono esse stesse l’ingiusto profitto del reato, in tal modo, tuttavia, non accertando se fosse venuto meno l’asserito profitto del reato.
Inoltre, nel disporre la confisca diretta, non hanno specificato quali beni dovrebbero essere sottratti all’imputata, limitandosi a indicare la somma pari a C 10.221,07 e disponendone la confisca anche per equivalente
L’imputata, peraltro, dopo la sentenza di appello, ha restituito la somma e gli interessi al Comune di Acquasanta Terme.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è reiterativo, versato in fatto, e sollecita una rivalutazione delle risultanze probatorie non consentita in sede di legittimità, al cospetto di motivazione esente da vizi perché completa e coerente.
La Corte d’appello premette, infatti, come l’imputata avesse indicato quello per cui richiese i finanziamenti quale luogo della sua abitazione, facendo riferimento a due numeri civici (nn. 2 e 4) corrispondenti, rispettivamente, al piano inferiore e a quello superiore dello stesso stabile.
Aggiunge che, peraltro, la porzione di immobile al piano terra (civico INDIRIZZO) risultava catastalmente inagibile già dal 2010, sicché in nessun modo avrebbe potuto rappresentare per l’imputata un luogo di dimora abituale.
Circoscritta, pertanto, l’indagine al civico n. 4, reputa, poi, condivisibili affermazioni del Giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto i dati dei consumi dell’abitazione assolutamente incompatibili con la presenza in loco di un nucleo familiare monocomposto, come risultato già all’esito dell’istruttoria condotta dal Comune di Acquasanta Terme, che aveva dimostrato che i consumi degli anni 2015 e 2016 erano stati in alcuni casi prossimi o addirittura pari a zero, crescendo, per contro, nel periodo estivo e in corrispondenza delle festività.
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Precisa che non erano stati forniti elementi di supporto alla tesi dell’imputata in merito al consumo idrico e che il Comandante della locale stazione dei Carabinieri, aveva confrontato i dati dell’abitazione in oggetto con quelli dell’abitazione dell’asserito ex marito dell’imputata: dati risultati, invece, nel periodo di interesse, in linea con la media nazionale e compatibili con la presenza di un nucleo familiare di quattro persone.
Di conseguenza, motivatamente considera le dichiarazioni dei due testi a difesa (la sorella e il dipendente dell’albergo di proprietà della madre dell’imputata) inidonee a contrastare il «granitico quadro probatorio descritto», destituendo di fondamento anche le affermazioni per cui l’imputata era spesso impegnata per lavoro fuori Regione e che, quando si trovava ad Acquasanta Terme, soleva consumare i pasti con la sorella.
2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La risposta della Corte d’appello, riferita nel “ritenuto in fatto”, giuridicamente obbligata e come tale ineccepibile, essendo stato dato conto del profitto conseguito, suscettibile di confisca.
La mancata risposta ad ulteriori eccezioni difensive non vizierebbe la motivazione del provvedimento impugnato, stante la loro manifesta infondatezza (per tutte, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281).
La circostanza che sia stata prospettata la sopravvenuta restituzione della somma e degli interessi, in adempimento di un decreto ingiuntivo del Tribunale di Ascoli Piceno, non è deducibile in questa sede, involgendo un accertamento di fatto, fermo restando che la ricorrente potrà far valere ogni questione relativa all’insussistenza attuale del profitto nella debita sede esecutiva.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/12/2024