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Erogazioni pubbliche: reato con residenza fittizia

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna condannata per indebita percezione di erogazioni pubbliche. L’imputata aveva ottenuto contributi post-sisma dichiarando falsamente che un immobile, reso inagibile dal terremoto, fosse la sua residenza principale. La Corte ha ritenuto le prove contro di lei, come i consumi energetici quasi nulli, schiaccianti e ha confermato che le somme ricevute costituiscono profitto illecito da confiscare, indipendentemente dal loro successivo utilizzo.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Erogazioni Pubbliche e Residenza Fittizia: La Cassazione Conferma la Condanna

Ottenere aiuti statali in momenti di difficoltà, come dopo un terremoto, è un diritto fondamentale. Tuttavia, questo diritto si basa su un patto di fiducia con lo Stato, che richiede dichiarazioni veritiere. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la gravità delle false attestazioni finalizzate a percepire indebitamente erogazioni pubbliche, confermando una condanna per il reato previsto dall’art. 316-ter del codice penale. Il caso analizza il concetto di ‘dimora abituale’ e le conseguenze della sua falsa dichiarazione.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Contributo Post-Sisma

In seguito al sisma del 2016, una donna richiedeva e otteneva il ‘contributo di autonoma sistemazione’, per un importo complessivo di oltre 10.000 euro. Per accedere a tali fondi, aveva dichiarato che l’immobile di sua proprietà, reso inagibile dal terremoto, costituiva la sua abitazione principale, abituale e continuativa. Le indagini successive, condotte anche dal Comune erogatore, avevano però sollevato seri dubbi sulla veridicità di tale affermazione, portando a una condanna per indebita percezione di erogazioni pubbliche e falsità ideologica (quest’ultima assorbita nel primo reato) sia in primo grado che in appello.

I Motivi del Ricorso e le giustificazioni dell’imputata

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un’errata valutazione dei fatti da parte dei giudici di merito. A sua discolpa, sosteneva che il basso consumo di energia elettrica non fosse un elemento decisivo, adducendo le seguenti giustificazioni:

* Era separata di fatto dal marito e viveva nell’abitazione in questione.
* Il suo lavoro di architetto la portava spesso fuori regione.
* Quando si trovava in paese, consumava i pasti presso l’abitazione della madre o della sorella e tornava a casa solo per dormire.
* Aveva affittato un altro appartamento nello stesso comune dopo l’inagibilità, dimostrando il suo legame con il territorio.

Contestava inoltre la confisca della somma, sostenendo di averla utilizzata per far fronte alle esigenze abitative e di averla successivamente restituita integralmente al Comune.

L’Analisi della Corte: prove oggettive sulle erogazioni pubbliche

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo inammissibile. I giudici hanno ritenuto la motivazione della Corte d’appello completa, logica e priva di vizi. Il ‘quadro probatorio’ a carico dell’imputata è stato definito ‘granitico’ e basato su elementi oggettivi inconfutabili:

1. Consumi Irrisori: I dati sui consumi di energia elettrica e idrica per gli anni 2015 e 2016 erano prossimi allo zero, con picchi solo nei periodi estivi e festivi, un andamento incompatibile con una residenza stabile, anche per una persona sola.
2. Confronto con Altra Utenza: I consumi dell’abitazione dell’ex marito, nello stesso periodo, erano invece in linea con la media nazionale per un nucleo familiare di quattro persone.
3. Inagibilità Preesistente: Una parte dell’immobile (il piano terra) risultava catastalmente inagibile già dal 2010, ben prima del sisma, e non poteva quindi costituire luogo di dimora abituale.

Le testimonianze a favore dell’imputata sono state giudicate insufficienti a scalfire la solidità di queste prove oggettive. La Corte ha ribadito che la ‘dimora abituale’ non è una scelta arbitraria, ma una situazione di fatto che deve emergere dalle consuetudini di vita e dalle relazioni sociali.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha sottolineato che, per il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, il profitto illecito è costituito dalla somma stessa indebitamente ricevuta. L’utilizzo successivo di tale somma, anche se per scopi apparentemente leciti come pagare un affitto, è irrilevante ai fini della configurazione del reato e della confisca. La stessa restituzione del denaro, avvenuta dopo la sentenza di appello, non elimina la natura illecita del profitto originario e potrà, al massimo, essere fatta valere in sede di esecuzione della pena, ma non nel giudizio di legittimità.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: l’accesso a fondi pubblici si fonda sulla correttezza e veridicità delle dichiarazioni. Dati oggettivi come i consumi delle utenze possono costituire prova decisiva per smascherare una residenza fittizia. La successiva destinazione dei fondi o la loro restituzione non sanano l’illecito commesso. La confisca del profitto, anche per equivalente, rimane una conseguenza diretta del reato, a tutela dell’integrità e della corretta allocazione delle risorse pubbliche.

Quando la richiesta di fondi pubblici diventa reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche?
Diventa reato quando si ottengono contributi, come quelli per l’autonoma sistemazione post-sisma, fornendo dichiarazioni false su presupposti essenziali, come la stabile e continuativa residenza in un immobile dichiarato inagibile.

Come viene determinata la ‘dimora abituale’ ai fini legali in un processo penale?
La dimora abituale non si basa su una semplice dichiarazione anagrafica, ma su una valutazione concreta dei fatti. Elementi oggettivi come i consumi di utenze (acqua, luce), le abitudini di vita e le relazioni sociali sono considerati prove decisive per stabilire se una persona vive effettivamente e stabilmente in un luogo.

La restituzione del denaro ottenuto illecitamente annulla il reato o la confisca?
No. Secondo la sentenza, la restituzione della somma percepita indebitamente non elimina il reato né la confisca del profitto. La somma stessa è considerata il profitto illecito. La restituzione è una circostanza che può essere valutata in una fase successiva, quella dell’esecuzione della sentenza, ma non influisce sulla legittimità della condanna e della confisca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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