Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2332 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2332 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso ed il decreto impugnato.
Considerato che il giudice dell’esecuzione ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., la domanda di rideterminazione della pena e di eliminazione dell’ergastolo avanzata nell’interesse di NOME COGNOME trattandosi d mera riproposizione di analoga istanza già dichiarata inammissibile con ordinanza del 5 febbraio 2024 e di altra richiesta con la quale è stato dichiarato, con provvedimento de 15 luglio 2024, il non luogo a provvedere in ordine alla domanda di scioglimento del cumulo per la quale sono stati inviati gli atti per competenza al magistrato sorveglianza;
Rilevato che il ricorrente non si confronta con il ragionamento svolto dal giudice dell’esecuzione limitandosi a riproporre la richiesta senza dedurre in alcun modo la novità della stessa;
Considerato, in ogni caso, che la domanda è manifestamente infondata poiché la pretesa del ricorrente di ottenere la commutazione dell’ergastolo nella reclusione di durata fissata in anni trenta di reclusione non ha fondamento giuridico poiché non esiste norma di legge nell’ordinamento che la consenta. Il principio di riserva di legge in materi penale riguarda tanto le disposizioni incriminatici, quanto quelle che sanciscono le pene e non può essere eluso. Il richiamo per analogia, operato in ricorso, alle vicende giudicate con la nota sentenza della Corte EDU nel caso RAGIONE_SOCIALE Italia del 17 settembre 2009, non è pertinente, in quanto, come affermato da consolidato e mai contraddetto orientamento interpretativo di questa Corte, soltanto colui che sia stato condannato alla pena dell’ergastolo con sentenza passata in giudicato può richiedere in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. a condizione che sia stato ammesso al giudizio abbreviato e che la sentenza di condanna sia stata emessa all’esito di tale giudizio (Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Montenegro, Rv. 275324; Sez. 1, n. 20933 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255388; Sez. 1, n. 4075 del 04/12/2012, COGNOME, Rv. 254212; Sez. 1, n. 5134 del 11/01/2012, COGNOME, Rv. 251857). Non è stato dedotto, né dimostrato, che il ricorrente abbia riportato condanna a pena perpetua all’esito di giudizi celebrati col rito abbreviato, sicché difettan condizioni essenziali per estendere i principi affermati dalla Corte sopranazionale e dalla giurisprudenza di legittimità. Inoltre, non sussiste al riguardo dubbio di incostituziona della disciplina legale dell’ergastolo, come dedotto in ricorso in riferimento al principi uguaglianza: non è il caso, né l’arbitrio giudiziale a stabilire che alcuni condannati, defi in ricorso e nelle memorie difensive “pochi privilegiati”, possano conseguire la
trasformazione della pena perpetua in quella temporanea della reclusione per trenta anni e che ad altri tale possibilità sia immotivatamente preclusa, quanto la imprescindibil condizione dell’aver richiesto ed ottenuto l’ammissione al rito abbreviato in un lasso d tempo specifico. Si tratta di un evento processuale specifico, dal quale dipende l’applicazione di una disciplina particolare. Infatti, con la sentenza n. 210 del 20 sollecitata dalle Sezioni Unite, la Corte costituzionale ha ritenuto che «la sentenz COGNOME non consenta allo Stato italiano di limitarsi a sostituire la pena dell’ergasto applicata in quel caso, ma lo obblighi, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, porre riparo alla violazione riscontrata a livello normativo e a rimuoverne gli effetti confronti di tutti i condannati che si trovino nelle medesime condizioni di COGNOME»; «che detto obbligo non trova ostacolo nell’avvenuta formazione del giudicato e che alla sostituzione della pena – la quale non postula la necessità di una “riapertura de processo” – può procedere il giudice dell’esecuzione». Tale conclusione riguarda però «”esclusivamente l’ipotesi in cui si debba applicare una decisione della Corte europea in materia sostanziale, relativa ad un caso che sia identico a quello deciso e non richieda la riapertura del processo”, ipotesi nella quale soltanto può giustificarsi “un incidente legittimità costituzionale sollevato nel procedimento di esecuzione nei confronti di una norma applicata nel giudizio di cognizione”». Assume allora rilievo decisivo per la fattispecie ora in esame, secondo quanto evidenziato anche da Corte cost. n. 235 del 2013, il fatto che la stessa si differenzi dal caso COGNOME sotto il profilo dirimente mancata ammissione del ricorrente al giudizio abbreviato e che la questione sollevata non investe, perciò, direttamente l’entità della riduzione di pena conseguente al giudizi abbreviato celebrato, ma attiene ai profili esclusivamente procedurali della, oramai irrimediabilmente preclusa, possibilità di riconoscere come celebrato, o di celebrare ex novo, il rito alternativo denegato. E che la situazione processuale del ricorrente non si riferibile a norma sostanziale, ma alla disciplina sull’accesso al rito, alla quale non che annettersi natura processuale, è confermato, non solo dalla citata decisione della Corte cost. n. 235 del 2013 a proposito della non esportabilità dell’arresto della sentenza COGNOME a situazioni in cui il giudizio alternativo non è stato celebrato, ma anche dall decisione della Corte europea in data 27/04/2010, COGNOME c. Italia in ordine al regime transitorio previsto dal comma 1 dell’art. 4-ter d.l. n. 82 del 2000, in cui si è osser che «gli Stati contraenti non sono obbligati dalla Convenzione a prevedere dei procedimenti semplificati : ad essi incombe soltanto l’obbligo, allorquando t procedure esistono e sono adottate, di non privare un imputato dei vantaggi che vi si collegano». Ne consegue che la natura processuale della disciplina rende inattaccabile il giudicato già formatosi. In termini assolutamente conformi e mai smentiti militano tutte le pronunce di questa Corte, sino alle più recenti note (sez. 7, n. 730 del 16/10/2019 dep. 2020, COGNOME, n.m,; sez. 1, n. 49878 del 29/11/2019, COGNOME, n.m.; sez. 1, n. 4 it9 39355 del 26/02/2019, COGNOME, n.m.; sez. 7, n. 39220 del 17/04/2019, Mole, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
n.m.; sez. 7, n. 28929 del 17/04/2019, COGNOME, n.m.; sez. 7, n. 30578 del 13/09/2018, Barcella, n.m.). Si noti poi che con l’ultima pronuncia citata è stata dichiar manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale, sollevata in termini analoghi a quanto dedotto in ricorso, e ciò in perfetta aderenza alle osservazion della Consulta contenute nell’ordinanza n. 235 del 2013, sicché non sussistono ragioni per discostarsi da tale decisione. Quanto al tema della compatibilità dell’istit dell’ergastolo con i principi stabiliti nella sentenza della Corte EDU del 9 luglio 2013 caso Vinter ed altri contro Regno Unito, nn. 66069/09, 130/10 e 3896/13 va rammentato che detta pronuncia, esaminando la questione della violazione dell’art. 3 della Convenzione da parte delle disposizioni della legislazione britannica e gallese, che comminano l’ergastolo obbligatorio in caso di commissione dei più gravi reati, fra i qual l’omicidio, senza possibilità di riduzione, se non in casi eccezionali valutati dal mini della giustizia ed accolti per motivi umanitari, limitati ai casi di malattia in fase ter o d’invalidità grave, ha stabilito che agli Stati contraenti è riconosciuto un margine apprezzamento nel decidere la durata appropriata di una pena detentiva per reati particolarmente gravi, comprese le pene perpetue inflitte a delinquenti adulti, condizione che le stesse siano riducibili nel senso che al detenuto l’ordinamento deve riconoscere una qualche prospettiva di liberazione. Se la legislazione nazionale garantisca la possibilità di riesame della pena dell’ergastolo effettivo e l’eventuale commutazione, sospensione o cessazione o comunque l’accesso alla liberazione su condizione, tanto è sufficiente a garantirne la conformità all’art. 3 della Convenzione. decisione citata, non soltanto ha condotto lo scrutinio di norme di ordinamento giuridico di altro paese, non di quello italiano, ma ha formulato principi più generali, che appaion perfettamente rispettati dalla legislazione nazionale, nella quale l’ergastolo quale pen perpetua è suscettibile di riduzione proprio per effetto della liberazione condiziona (Corte EDU sez. 2, 11/10/2011, Schuchter c. Italia, n. 68476/10; Grande Camera, 12/2/2008, COGNOME c. Cipro, no 21906/04), che garantisce di diritto e di fatto trasformazione della pena di durata illimitata in temporanea ed offre al condannato aspettative di scarcerazione qualora presenti i requisiti pretesi dalle norme di riferiment E’ interessante riscontrare che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte sovranazionale ha riconosciuto che la condanna al carcere a vita non si pone di per sé in contrasto con l’art. 3 o con altre disposizioni della Convenzione, che non la vietano e non riconoscono al condannato il diritto ad ottenere la liberazione sotto condizione, né d vedere riesaminata la propria posizione in vista dell’applicazione di un condono o di una interruzione definitiva della pena, mentre il possibile conflitto con l’art. 3 è ravvi quando le previsioni normative configurino l’ergastolo come “incompressibile”, ossia immutabile nella durata pari alla vita del condannato e non abbreviabile nel corso dell’esecuzione per la negazione di qualsiasi prospettiva di successiva liberazione. Ciò che rileva è dunque l’astratta possibilità di riduzione del trattamento sanzionatorio a Corte di Cassazione – copia non ufficiale
stregua degli strumenti esecutivi previsti dalla legislazione interna, anche se no giurisdizionalizzati, ma affidati ad autorità amministrativa, non il rischio che, ricorrendo in concreto i presupposti e le condizioni richiesti, la pena a vita effettivamente scontata per intero. Nel caso in esame, per quanto già esposto, non emerge che a Internicola sia in assoluto precluso l’accesso alla liberazione condizionale alla stregua delle disposizioni vigenti e quindi che la sottoposizione a pena perpetua, pe la sua posizione sia irrisolvibile ed immodificabile, ponendosi in insanabile contrasto co le norme comunitarie che vietato trattamenti inumani e degradanti, oppure la tortura. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 72 cod. pen., nella parte in cui prevede l’applica della pena dell’ergastolo, in relazione all’asserita natura perpetua di tale sanzione, p conseguente contrasto con l’art. 27, comma terzo Cost., in considerazione, da un lato, della connotazione polifunzionale della misura, in quanto comprensiva delle finalità di prevenzione, generale e speciale, nonché di difesa e di rieducazione sociale e, dall’altro, dell’esistenza di una disciplina di esecuzione che consente di escludere, in concreto, la perpetuità della stessa (Sez. 1, n. 34199 del 12/04/2016, Aquila Rico, Rv. 267656; Sez.1, n. 43711 del 24/09/2015, A, Rv.265074). In senso analogo – e per la manifesta infondatezza della questione posta – si è anche annotato che con l’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario, l’ergastolo ha cessato di essere una pena perpetua, quindi non può dirsi contraria al senso di umanità; inoltre, non è incompatibile con la grazia con la possibilità di un reinserimento incondizionato del condannato nella società libera (Sez.1, n. 33018 del 29/03/2012, COGNOME, Rv.253430). La questione di costituzionalità proposta è stata, del resto, già affrontata dalla Corte costituzionale (Corte cost., n. 1 del 27 aprile 1994) che ha respinto i temi prospettati. Richiamando la costante posizione assunta sul tema della coerenza dell’ergastolo con la finalità rieducativi della pena prescritta dall’art. 27, comma 3, Cost. (sentenze n. 264 del 1974; n. 306 del 1993; n. 282 del 1989; n. 107 del 1980; n. 179 del 1973 e n. 12 del 1966) , la Consulta ha ricordato che “avuto riguardo al momento dinamico dell’applicazione della pena, il precetto costituzionale appare comunque soddisfatto dal legislatore che ha da tempo esteso all’ergastolano non solo l’istituto della liberazione condizionale.., ma anche alt misure premiali che anticipano il reinserimento come effetto del suo sicuro ravvedimento da comprovarsi da parte del giudice.. Tutti gli anzidetti correttivi finiscono con l’inci sulla natura stessa dell’ergastolo che non è più quella concepita alle sue origini dal codic penale del 1930”. Ha concluso che i correttivi apportati dal legislatore hanno “progressivamente finito per togliere ogni significato al carattere della perpetuità” de pena. A conclusioni difformi non può pervenirsi nemmeno a ragione dell’intervento della sentenza del 13 giugno 2019, emessa dalla CEDU nel caso RAGIONE_SOCIALE. Invero, la Corte Europea ha ricordato che il sistema convenzionale non consente che l’esecuzione di una pena avvenga senza operare il reinserimento sociale del condannato e senza Corte di Cassazione – copia non ufficiale
consentirgli la possibilità di recuperare la libertà personale e ha considerato il ergastolo ostativo, previsto dalla legislazione italiana, contrario all’art. 3 CEDU, ladd comporta una presunzione assoluta di pericolosità sociale del detenuto che non abbia collaborato con la giustizia. In attuazione dei medesimi principi, la Corte costituziona con la sentenza n. 253 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis Ord. pen. nella parte in cui non consente al detenuto condannato all’ergastolo c.d. ostativo di accedere al permesso premio se non qualora abbia collaborato con la giustizia o abbia ottenuto l’accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile. Anche la Consulta ha censurato la presunzione assoluta di pericolosità sociale, insita nella condanna per i più gravi reati, che ha ritenuto fondare una presunzione soltanto relativa superabile qualora siano acquisiti elementi positivi, in grado di dar conto della cessazione del vincolo di appartenenza alla criminalità organizzata, elementi che non possono consistere nel regolare comportamento carcerario o nella mera partecipazione al percorso rieducativo. La disamina dei pronunciamenti citati convince della correttezza del rilievo conclusivo dell’ordinanza in esame, per la quale «né la sentenza CEDU del 13.6.2019 né la sentenza della C. Cost. n. 253/19 consentono la conversione automatica della pena dell’ergastolo». A siffatta disamina, che è chiara, comprensibile, aderente ai dat normativi ed all’interpretazione giurisprudenziale e che esterna in modo congruo le ragioni della decisione con sapienti e pertinenti richiami, il ricorso oppone in term indifferenti e noncuranti la inumanità e la contrarietà alla dignità umana della perpetui dell’ergastolo senza nemmeno curarsi di approfondire la posizione esecutiva del proponente, l’eventuale proposizione di istanze respinte e l’impossibilità di conseguire l liberazione condizionale.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa nella proposizione di tale impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo liquidare in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.