Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31850 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31850 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Garbagnate Milanese (Mi) il 5 dicembre 1984;
avverso la ordinanza n. 1303/2024 SIGE della Corte di appello di Milano del 12 dicembre 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta, altresì, la memoria di replica redatta nell’interesse del ricorrente dagli av NOME COGNOME del foro di Milano, e NOME COGNOME del foro di Roma, con la quale si è insistito per raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 12 dicembre 2024 la Corte di appello di Milano ha rigettato l’incidente di esecuzione presentato dalla difesa di NOME e con il quale, secondo quanto si legge nell’atto in questione, detta difes aveva chiesto, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., la revoca della senten emessa in data 17 novembre 2023 dalla citata Corte di appello in quanto l’imputato era già stato processato e condannato per i medesimi fatti con sentenze emesse dalla medesima Corte territoriale in data 7 febbraio 2018 e in data 15 settembre 2021; in particolare, aggiunge il giudice della esecuzione, la difesa del COGNOME aveva chiesto la revoca della sentenza emessa dalla Corte di Milano in data 7 febbraio 2018 in quanto l’imputato è stato condannato per una pluralità di violazione dell’art. 8 del dlgs n. 74 del 2000, laddove, essen stati i reati commessi dalla stessa persona, sia pure in diverse vesti, on favorire un unico altro soggetto, sarebbe stato necessario unificare le divers condotte commesse in guisa di reato unico per ciascuno degli anni di imposta cui si riferivano le fatture relative alle operazioni fittizie di volta in volta em in sede di incidente di esecuzione il Tempesta aveva, altresì, chiesto la revoc della sentenza emessa dalla Corte di Milano in quanto con essa egli era stato condannato, in violazione di quanto previsto dall’art. 9 del dlgs n. 74 del 2000 sia in relazione alla violazione dell’art. 2 del medesimo dlgs sia per la violazio dell’art. 8 di esso.
Ancora precisa il giudice della esecuzione che in occasione del ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente aveva chiesto che, ai sensi dell’art. cod. proc. pen., fosse dichiarata la continuazione fra i reati oggetto de sentenze emesse dalla Corte di appello in data 7 febbraio 2018 e 15 settembre 2021 ed i delitti giudicati con sentenza emessa dalla Corte di appello di Triest in data 16 maggio 2023.
Avendo la Corte di appello di Milano rigettato l’incidente di esecuzione, il COGNOME ha interposto ricorso per cassazione, sviluppando tre articolati motivi di impugnazione.
Un primo motivo concerne, sotto un primo aspetto, la violazione di legge ed il vizio di motivazione per non avere il giudice della esecuzione rilevato, a sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., la circostanza che i giudici del merito violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., avevano ritenuto di dovere condannare il Tempesta per una pluralità di reati aventi ad oggetto la violazione dell’art del dlgs n. 74 del 2000, omettendo di raggruppare la emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, in ragione del singolo anno di imposta cui l
stesse si riferivano, senza tenere conto della circostanza legata alla identità o meno del soggetto che di tali fatture si sarebbe dovuto giovare; in via subordinata il ricorrente ha lamentato il fatto che, in ogni caso, quanto alla sentenza n. 889 emessa dalla Corte di appello in data 7 febbraio 2018, il Tempesta aveva emesso, in diversi anni di imposta, fatture relative ad operazioni inesistenti delle quali sui sarebbe dovuta giovare una sola società commerciale, la RAGIONE_SOCIALE, di tal che, quanto meno relativamente a questa sentenza, sarebbe sussistente la violazione del principio della violazione della regola del ne bis in idem.
Con un secondo motivo il ricorrente si lamenta del fatto che lo stesso, con la ricordata sentenza della Corte di appello di Milano del 7 febbraio 2018 sia stato condannato sia per la violazione dell’art. 8 che per la violazione dell’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, cosa che violerebbe l’art. 9 del citato decreto legislativo.
Infine con il terzo motivo egli lamenta che la Corte di appello di Milano, con la ordinanza impugnata, abbia rigettato il motivo di ricorso a suo tempo presentato di fronte ad essa, e tendente alla affermazione della applicabilità del regime della continuazione fra i reati oggetto delle sentenze emessa dalla detta Corte territoriale e quella pronunziata dalla Corte di Trieste in data 16 maggio 2023, confermativa di precedente sentenza emessa dal Tribunale di Pordenone, con la quale il Tempesta era stato ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta.
In data 23 aprile 2025 la difesa del COGNOME faceva pervenire – in replica alle conclusioni del Procuratore generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso – una memoria con la quale ha insistito, invece, per l’accoglimento di quello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, solo parzialmente fondato, deve essere, pertanto, accolto per quanto di ragione.
Come dianzi accennato il ricorso del Tempesta si presentet formulato attraverso la proposizione di tre motivi di impugnazione; di questi il primo è, a sua volta, articolato in questioni logicamente fra loro subordinate.
Con il primo motivo di doglianza la difesa del ricorrente lamenta invocando la violazione di legge ed in vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Milano nel provvedere, con la ordinanza impugnata, in ordine all’incidente dì esecuzione originariamente introdotto dall’attuale ricorrente – la mancata applicazione in sede esecutiva del regime del ne bis in
idem essendo stato condannato, secondo l’avviso del ricorrente, il Tempesta con più sentenze irrevocabili emesse in relazione allo stesso fatto, cioè avere egli emesso fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire ad altri la evasione fiscale; sotto altro profilo, sempre illustrato con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente si lagna della mancata revoca degli aumenti di pena disposti a suo carico ai sensi dell’art. 81, cpv, cod. pen. con sentenza del Tribunale di Monza, riformata (deve ritenersi in pejus) dalla Corte di appello di Milano con sentenza n. 889 del 7 febbraio 2018, sebbene la circostanza che il Tempesta abbia emesso le fatture per operazioni inesistenti – bensì in qualità di legale rappresentante di diverse società, ma tutte nell’interesse di una sola utilizzatrice delle medesime fatture, la RAGIONE_SOCIALE – avrebbe dovuto comportare non la pluralità di reati commessi nell’ambito di ogni singolo anno di imposta, ma la loro unicità, risultando, pertanto, illegale l’aumento di pena disposto ex art. 81, cpv, cod. pen. sul presupposto della pluralità dei reati, ancorché unificati dalla medesimezza del disegno criminoso.
Il motivo di ricorso, per le ragioni che saranno ora illustrate, non ha pregio.
Quanto al primo dei due profili dedotti – con il quale si invoca la unicità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti in ragione di ciascun anno di imposta cui le predette fatture si riferiscono, senza che abbia significato la circostanza che la medesima persona fisica abbia o meno emesso le predette fatture spendendo una sola qualità ovvero diverse qualità – osserva il Collegio come l’assunto sulla base del quale è articolato il ragionamento del ricorrente, cioè che, in caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti relative al medesimo periodo di imposta, si configura un unico reato che si consuma alla data di emissione dell’ultima della fatture relativa al singolo periodo di imposta, senza che, come sostenuto dal ricorrente, abbia rilievo la qualità rivestita dall’emittente (assunto, peraltro, non estraneo alla esegesi giurisprudenziale di questa Corte; si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 marzo 2022, n. 9440, rv 282918, secondo la quale il reato ex art. 8 del dlgs n. 74 del 2000, commesso nella veste di legale rappresentante di diverse società o di titolare di diverse ditte, che si concretizzi nell’emanazione di fatture per operazioni inesistenti in diversi periodi dello stesso anno di imposta per conto di più società o ditte, deve essere ritenuto unico; analogamente, sia pure con riferimento alla ipotesi delittuosa dì cui all’art. 10quater del dlgs n. 74 del 2000, si veda Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 ottobre 2024, n. 39478, rv 287108), è stato oggetto di un meditato ripensamento cui adesso, da parte di questo Collegio, si aderisce convintamente
intendendosi, pertanto, dare ad esso la opportuna continuità (si veda, infatti, per gli argomenti di seguito riportati: Corte di cassazione, Sezione Feriale. 11 agosto 2023, n. 34824, in particolare le pagine 17 e seg della motivazione).
E’ stato, infatti, osservato che una pluralità di indici sistematico-normativi debbano indurre a ritenere che l’eventualità che l’emissione di fatture per operazioni inesistenti sia stata realizzata da un unico soggetto persona fisica ma attraverso la espressione di soggettività diverse dal punto di vista tributario sia tale da integrare, per ciascun dei periodi di imposta cui l’operazione si sia riferita, un singolo, distinto, reato quante sono appunto le soggettività rilevanti dal punto di vista tributario dal singolo soggetto agente adoperate.
Un primo argomento è dato dal fatto che, se è vero che dal punto di vista della unicità temporale deve farsi riferimento al singolo periodo di imposta nell’ambito del quale le fatture o gli altro documenti sono emessi, sarebbe ben possibile che questo, data la qualità di volta in volta rivestita dall’emittente le fatture, non sia uniformemente individuabile, atteso che la cadenza sovrapponibile all’anno solare, tipica della tempistica del periodo di imposta riguardante le persone fisiche o le società di persone, potrebbe non coincidere con quella riferibile alla società di capitali della quale l’emittente persona fisica sia l’amministratore legale o di fatto.
In tale caso l’adesione alla tesi della unicità del reato presenterebbe degli evidenti problemi applicativi; invero, posto che, per consolidata giurisprudenza, il momento consumativo del reato de quo viene collocato in quello in cui viene emessa l’ultima fattura riferita al singolo periodo di imposta, ove i periodi di imposta riguardanti il soggetto giuridico in nome del quale il documento è stato emesso non fossero omogenei, si porrebbe una non semplice problematica in relazione alla individuazione, appunto, del momento consumativo del reato.
Ed altra aporia di sistema sarebbe riscontrabile ove si consideri che l’utilizzatore delle fatture relative ad operazioni inesistenti, ove presenti nel singolo anno solare più dichiarazioni mendaci, risponderebbe di una pluralità di reati, mentre, aderendo alla tesi che, per semplicità, definiremo “monistica”, per l’emittente il reato continuerebbe a restare unico.
Ancora più evidenti sono le problematiche di sistema evidenziabili a seguito della novella introdotta nella legge n. 231 del 2001 in forza della entrata in vigore del decreto-legge n. 124 del 2019, convertito, con modificazioni, con legge n. 157 del 2019.
Infatti, la estensione, operata attraverso la introduzione dell’art. 25quinquiesdecies nella legge n. 231 del 2001, alle società della responsabilità per gli illeciti tributari ivi compresa la violazione dell’art. 8 del dlgs n. 74 del 2000, seguendo la ricostruzione in chiave “monistica” del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sebbene si tratti di emissione realizzata da una medesima persona fisica ma in qualità di legale rappresentante (o comunque di amministratore) di diverse realtà soggettive impersonali, condurrebbe al paradossale risultato, che ogni singola società rappresentata dovrebbe rispondere per le fatture emesse a suo nome, in tale senso ipotizzandosi la realizzazione di tanti autonomi illeciti quante sono le società rappresentate, mentre il soggetto emittente risponderebbe di un unico reato.
Ritiene, infine il Collegio che una più profonda ragione di sistema debba indurre a privilegiare, in una fattispecie quale è quella ora in esame, la ricostruzione in chiave “pluralistica” del reato in questione.
Invero, nella materia penal-tributaria la soggettività dell’autore del reato non va rilevata in chiave naturalistica, quindi riferita esclusivamente alla soggettività fisica del soggetto agente, ma va vista in chiave normativa, dando risalto, appunto, alla soggettività tributaria della “persona” (fisica o giuridica) agente; pertanto, laddove un singolo individuo operi attraverso distinte figure giuridicamente rilevanti sotto il profilo normativo, è come se agissero distinti soggetti, ciascuno dei quali responsabile delle condotte poste in essere a suo nome.
Nessuno dubiterebbe della pluralità di reati nella ipotesi in cui un unico soggetto occultasse o distruggesse le scritture contabili di una pluralità di soggetti tenuti, invece, alla loro conservazione (non tragga in inganno, sul punto la decisione assunta da: Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 settembre 2015, n. 38375, rv 264761, nella quale la unicità del reato ora indicato è rivendicata ad onta della pluralità tipologica dei documenti occultati o distrutti, ma non in funzione della pluralità dei soggetti cui la stessa era riferibile), parimenti deve ritenersi nella ipotesi in cui un unico soggetto, tuttavia nella qualità di legale rappresentante o comunque di amministratore di diverse società, emettesse, a nome di ciascuna di esse ed al fine di consentire a terzi la evasione fiscale, distinte fatture per operazioni inesistenti.
Per le ragioni che sono state espresse si ritiene che il primo dei profili di doglianza formulati dal ricorrente non sia fondato, avendo i giudici del merito ritenuto la pluralità dei reati commessi dal Tempesta, anche in un unico periodo di imposta, avendo questi emesso nel corso di tale periodo fatture per
operazioni inesistenti spendendo la qualità di amministratore e legale rappresentante di soggetti tributari fra loro distinti.
Per ciò che attiene al secondo profilo, cioè il rigetto della revoca degli aumenti di pena disposti con la sentenza della Corte di appello di Milano n. 8373 del 2023 ex art. 81, cpv, cod. pen. sulla scorta della ritenuta pluralità dei reati commessi, sebbene essi siano riferibili ad un medesimo periodo di imposta e siano stati realizzati al fine di consentire l’evasione delle imposte ad un unico soggetto (la RAGIONE_SOCIALE), osserva il Collegio – anche a voler ritenere superato un antico precedente che legittima, in una fattispecie quale quella ora in esame, l’intervento del giudice della esecuzione ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen. solo nel caso in cui siano stata emesse a carico del condannato una pluralità di sentenze relative allo stesso fatto, ma non nel caso in cui la pluralità di condanne per uno stesso fatto sia disposta, come nella presente fattispecie, con una sola sentenza (Corte di cassazione, Sezione ii penale, 28 febbraio 1992, n. 701, rv 189347) – che sulla base degli argomenti dianzi sviluppati, la sussistenza della pluralità dei reati, unificati dal vincolo della continuazione in quanto espressione di un medesimo disegno criminoso deriva dal fatto che il Tempesta ha speso, nell’emettere le fatture in questione, diverse soggettività giuridiche.
Tale considerazione rende evidente la infondatezza della pretesa del ricorrente, avendo, invece, coerentemente proceduto il giudice della esecuzione, una volta esclusa la sussistenza del bis in idem, nell’escludere la revoca di tutti gli aumenti disposti ex art. 81 cpc, cod. pen. in sede di cognizione.
Infondato è anche il successivo secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la erronea applicazione dell’art. 9 del dlgs n. 74 del 2000, il quale prevede che, in deroga a quanto previsto dall’art. 110 cpd. pen., chi abbia emesso le fatture relative ad operazioni inesistenti, anche se una tale decisione sia stata deliberata a seguito di intesa con il soggetto che, successivamente, utilizzerà tali documenti nella propria dichiarazione fiscale, non risponderà, a titolo di concorso nel reato, anche dell’illecito da questo commesso; né, peraltro, costui sarà considerato concorrente nel reato di cui all’art. 8 del dlgs n. 74 dei 2000.
Una tale disposizione, infatti, non riguarda (né, a ben vedere, potrebbe riguardare) l’ipotesi in cui il medesimo soggetto – rappresentando, come suoi dirsi, “due parti in commedia” – sia stato, secondo la logica successione temporale delle condotte, dapprima l’emittente di fatture relative ad operazioni
inesistenti e, successivamente, l’utilizzatore fraudolento di tali documenti (cos fra le altre: Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 gennaio 2023, n. 2859 rv 284067; Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraio 2017, n. 5434, rv 269279).
E’, infatti, di tutta evidenza che in questo caso non potrebbe parlarsi d deroga alla ordinaria normativa sul concorso di persone nel reato, posto che la relativa disciplina postula, quale inderogabile elemento logico, che sia riscontrabile una pluralità di soggetti agenti persone fisiche; elemento che i una fattispecie quale è quella descritta non è presente, di tal che il richia all’art. 9 del dlgs n. 74 del 2000 appare del tutto fuorviante quanto a posizione del Tempesta.
E’, infine, invece, fondato il terzo motivo di impugnazione, riguardante la richiesta di applicazione del regime della continuazione ex art. 81, cpv. cod. pen. fra i reati oggetto delle due sentenze n. 889 del 7 febbraio 2018 (emessa in grado di appello dalla Corte milanese sui fatti già giudicati in data 10 febbra 2017 dal Tribunale di Monza) e del 15 settembre 2021 (emessa dalla Corte di appello di Milano a conferma della sentenza n. 7578 del Tribunale di tale medesima città) ed i fatti giudicati con la sentenza n. 93 del 2022 del Tribunal di Pordenone, confermata dalla Corte di Trieste con sentenza del 16 maggio 2023, avente ad oggetto un’imputazione di bancarotta a carico dell’odierno ricorrente.
Una tale istanza è stata, infatti, ritenuta inammissibile dalla Cort ambrosiana con la ordinanza ora in scrutinio in ragione del motivo che “quest’ultima sentenza (cioè la sentenza della Corte giuliana n.d.e.) h espressamente escluso il vincolo della continuazione fra i reati tributari e bancarotta”.
Il principio, pur correttamente affermato in linea astratta, è stat tuttavia, malamente declinato dalla Corte di appello di Milano quanto alla presente fattispecie.
E’, infatti, ben vero che il disconoscimento, in sede di cognizione, dell continuazione tra determinati reati impedisce al giudice dell’esecuzione, successivamente adito, di riconoscere il vincolo in questione (in tale senso, fr le molte: Corte di cassazione, Sezione I penale, 24 settembre 2021, n. 35460, rv 282001; Corte di cassazione, Sezione I penale, 7 aprile 2017, n. 17881, rv 271401), ma una tale regola si applica alle sole ipotesi nelle quali il giudice
merito si sia espressamente pronunziato nel senso della esclusione della continuazione.
Nel caso ora in esame, invece, la Corte di appello dì Trieste, non ha formulato alcun giudizio di merito in ordine alla esistenza o meno del vincolo della medesimezza del disegno criminoso fra i fatti oggetto delle sentenze dianzi ricordate avendo, invece, segnalato la inammissibilità della istanza formulata di fronte ad essa dalla difesa del COGNOME non avendo essa formato oggetto pur potendolo essendo divenuta definitiva la sentenza del Tribunale di Monza già in data 9 novembre 2018 – del gravame proposto di fronte alla predetta Corte di appello avverso sentenza pronunziata dal Tribunale di Pordenone il 28 gennaio 2022; la relativa domanda è stata, infatti, formulata, secondo quanto riportato dalla Corte di appello di Trieste nella sentenza del 16 maggio 2023, solo in occasione del deposito di una memoria difensiva in data 28 aprile 2023.
Una tale ipotesi – cioè quella della intempestiva prospettazione della questione avente ad oggetto la continuazione fra reati giudicati in sedi diverse e della conseguente omessa valutazione della fondatezza della pretesa stante la ritenuta inammissibilità della stessa nella sede ove essa era sta tardivamente presentata – appare esattamente sovrapponibile a quella della mancata prospettazione di fronte al giudice della cognizione della questione medesima (ed evidentemente della conseguente mancanza di un qualche scrutinio da parte di tale giudice sul merito della stessa); fattispecie qu ultima descritta nella quale, per radicata giurisprudenza di questa Corte, l questione è suscettibile di essere presentata per la prima volta di fonte giudice della esecuzione per essere da questo esaminata e giudicata (cfr. infatti ex multis: Corte di cassazione, Sezione I penale, 16 giugno 2020, n. 18343, rv 279188; Corte di cassazione, Sezione I penale, 16 gennaio 2020, n. 1613, rv 277914).
L’erronea applicazione che, alla luce dei rilievi ora formulati, il giudi della esecuzione ha fatto dell’art. 671 cod. proc. pen., impone, esclusivamente sul punto dianzi ricordato, l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione personale, giudicherà sulla esistenza o meno del vincolo della continuazione fra i fatti pe i quali il Tempesta è stata condannato con le ricordate sentenza della Corte di appello di Milano e della Corte di appello di Trieste.
Nel resto, come già osservato, il ricorso deve invece essere rigettato.
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Annulla la ordinanza impugnata limitatamente al vincolo della continuazione tra i reati di cui alle sentenze del 7 febbraio 2018 e del 15 settembre 2021 dell Corte di appello di Milano e i reati di cui alla sentenza della Corte di appello Trieste del 16 maggio 2023, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidend