Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2792 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2792 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Capannori il 04-11-1957, avverso la sentenza del 18-04-2023 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni trasmesse dall’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 aprile 2023, la Corte di appello di Firenze confermava la decisione emessa dal Tribunale di Lucca il 26 ottobre 2020, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole di quattro episodi del reato di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 d 2000 (capi 1, 2, 3 e 4) e del reato ex art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capo 5), fatti a lui contestati nella veste di legale rappresentante dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE Meccaniche di COGNOME NOME e riferiti agli anni di imposta 2013 (capo 1), 2014 (capo 2), 2015 (capo 3) e 2016 (capo 4), mentre il reato ex art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capo 5) risulta accertato in Lucca il 6 novembre 2017.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello toscana, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa censura la produzione e l’utilizzo a carico dell’imputato del processo verbale di constatazione redatto il 6 novembre 2017 dalla Guardia di Finanza di Lucca, evidenziando che, quando la predetta P.G. ha iniziato a effettuare la verifica sull’imputato, vi erano già chiari indizi di reato, risultando per tabulas l’assenza di dichiarazione dei redditi per gli anni 2012 e 2013 e una dichiarazione dei redditi per gli anni 2014 e 2015 inferiore alle fatture rinvenute presso la Toscana RAGIONE_SOCIALE, il cui accertamento era stato già definito nel giugno 2017, per cui doveva procedersi nei confronti di COGNOME come se fosse un indagato, con conseguente inutilizzabilità di tutto ciò che è stato da lui dichiarato o acquisito.
Con il secondo motivo, si contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti ai capi da 1) a 4), avendo i giudic merito ritenuto irrilevante e inconsistente la documentazione prodotta nel corso del processo dell’imputato solo perché non esibita in sede di verifica, quando in realtà COGNOME aveva tutto il diritto di vedersi garantito il proprio diritto di di di tutelarsi anche con il silenzio, in forza del principio nemo tenetur se detegere.
A ciò si aggiunge che le fatture in esame riguardano gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 e che l’imputato ha prestato attività lavorativa per la Toscana Servizi solo part-time nel 2016 (10 giorni ad agosto e 28 giorni a novembre); quindi egli aveva tutto il tempo per dedicarsi ad altre attività lavorative, non richiedendo peraltro lavori fatturati mezzi o autorizzazioni particolari, consistendo in attività artigiana
Con il terzo motivo, le critiche difensive investono il giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000, non essendovi prova né della coscienza e volontà di COGNOME di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, né del fatto che tali fatture sono state effettivamente utilizzate dalla società ricevente, posto che non è dato evincere né dal processo verbale di constatazione, né dalle dichiarazioni del
teste COGNOME se le fatture sono state utilizzate e, in caso positivo, in quali termin e per quali anni, non essendo stata la Guardia di Finanza in grado di chiarire se vi sia stato qualche effetto positivo per la società ricevente.
Con il quarto motivo, ci si duole del giudizio sulla sussistenza del reato di cui all’art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capo 5), dovendosi considerare che se fosse vero che COGNOME ha occultato le fatture e la contabilità per non pagare le tasse, allora le fatture devono essere considerate veritiere; diversamente, se le fatture di cui ai capi di imputazione da 1) a 4) sono false, allora l’imputato non aveva nulla da evadere, perché non aveva prodotto alcun reddito per evadere le imposte: se infatti lo scopo della norma incriminatrice è punire chi occulta fatture o altri documenti contabili al solo scopo di ostacolare la ricostruzione degli elementi positivi di reddito da sottoporre a tassazione, non vi sarebbe spazio nel caso di specie per la configurabilità del reato contestato, posto che le fatture per attività inesistenti descritte nelle imputazioni non potevano costituire reddito imponibile.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sull’applicazione della recidiva, rilevandosi che i giudici di appello hanno omesso di considerare, da un lato, che i precedenti a carico di COGNOME risalgono a circa 8 anni prima e, dall’altro, che per il reato di cui all’art. 388 cod. pen. è stata concessa la sospensione condizionale della pena, per cui il reato medesimo doveva considerarsi estinto, mentre il reato ex art. 2 della legge n. 463 del 1983 risulta depenalizzato dal 2016, dovendosi quindi escludere l’esistenza di precedenti specifici a carico dell’imputato.
Il sesto motivo è infine dedicato al diniego delle attenuanti generiche e alla mancata riduzione della pena, non essendo stata valorizzata, almeno nell’ottica del trattamento sanzionatorio, la circostanza che il ricorrente, quando sono state emesse le fatture contestate, risultava essere dipendente delle ditte riceventi, con conseguente impossibilità di poter agire liberamente, avendo egli necessità di prestare attività lavorativa per poter provvedere alle proprie esigenze di vita.
2.1. Con memoria del 30 settembre 2024, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, in subordine rilevando che, qualora venga accolto il quinto motivo inerente l’erronea applicazione della recidiva, i reati di cui ai capi 1) e 2) sono prescritti, trattando di fatti commessi ante “riforma Orlando” del 2017, per cui, in caso di conferma della penale responsabilità dell’imputato, si chiede la rideterminazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Iniziando dal primo motivo, deve rilevarsi che lo stesso consiste nella sostanziale riproposizione di un tema già adeguatamente e ampiamente affrontato
nella sentenza impugnata (cfr. pag. 8-17), nella quale, rispetto all’utilizzabilità del processo verbale di constatazione del 6 novembre 2017, è stato sottolineato che, quando l’attività di verifica ha avuto inizio, gli operanti della Guardia di Finanza potevano avere contezza, al più, solo della sussistenza di indizi della presentazione di una dichiarazione infedele, non anche dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, ciò in quanto, nel corso delle operazioni, COGNOME non esibì alcun registro contabile obbligatorio, avendo avuto inizialmente un contegno poco collaborativo, salvo poi consegnare nel tempo, a più riprese, 104 fatture emesse tra il 2012 e il 2017, due estratti conto e alcune fatture relative ai consumi dell’abitazione di Capannori, indicata come luogo dove si svolgevano le lavorazioni meccaniche indicate nelle fatture. Si è dunque trattato di indagini articolatesi in complessi, prolungati e graduali accertamenti che solo nel tempo, attraverso l’incrocio delle informazioni di volta in volta acquisite dalla Guardia di Finanza, hanno consentito l’emersione degli indizi delle condotte illecite poi contestate, con la precisazione che mentre l’emissione di fatture per operazioni inesistenti si è delineata solo all’esito delle acquisizioni investigative, per il reato di dichiarazione infedele è stat invece necessario attendere la verifica del superamento della soglia di punibilità. È stato così escluso che, prima del completamento degli accertamenti dei finanzieri, fossero ravvisabili indizi di reità a carico dell’imputato, non potendo per altro verso la parziale produzione documentale di questi integrare, almeno a livello indiziario, la condotta di distruzione o di occultamento di documenti contabili. In tal senso, l’impostazione della Corte territoriale risulta coerente con il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 31223 del 04/06/2019, Rv. 276679 e Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Rv. 246599), secondo cui il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale e, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., giacché altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e quindi non è utilizzabile. Ne consegue che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito, a ciò aggiungendosi che, in materia di attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa, il momento a partire dal quale, nel corso di tale attività, sorge l’obbligo di rispettare le garanzie del codice di procedura penale è quello nel quale è possibile attribuire rilevanza penale al fatto, emergendone tutti gli elementi costitutivi, anche se ancora non possa essere ascritto a persona determinata, avendo in quest’ottica la citata sentenza n. 31223 del 2019 ribadito che anche il Corte di Cassazione – copia non ufficiale superamento della soglia di punibilità costituisce elemento costitutivo del reato.
Non può sottacersi, in ogni caso, che la Corte di appello ha ancorato il giudizi infondatezza dell’eccezione difensiva a due ulteriori dati, ossia, in primo luog genericità della contestazione circa il momento dell’insorgenza degli indiz l’indicazione degli atti ritenuti inutilizzabili, non essendo in particola spiegato dal ricorrente, con il necessario grado di specificità, in che moment indagini degli operanti, al di là dei primi approfondimenti esplorativi, avrebb consentito l’emersione non di meri sospetti, ma di concreti elementi idonei integrare, almeno a livello indiziario, gli estremi dei reati poi contestati.
In secondo luogo (e di conseguenza), i giudici di secondo grado hanno rimarcato il mancato assolvimento dell’onere difensivo di fornire la cd. prova di resiste non avendo cioè il ricorrente specificato quali parti del processo verbal constatazione sarebbero state utilizzate indebitamente a fini probatori, ciò a fr di una sentenza di primo grado che, nel ritenere provati i fatti contestati, valorizzato un diversificato compendio probatorio, costituito non solo e non tan dalle dichiarazioni dell’imputato alla Polizia giudiziaria, quanto piuttos soprattutto) dalle acquisizioni documentali e dalle dichiarazioni del mar. COGNOME Ora, con le pertinenti considerazioni della sentenza impugnata, il ricorso non confronta adeguatamente, per cui la censura difensiva deve essere disattesa.
Passando al secondo e al terzo motivo, suscettibili di trattazione unit perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che l’affermazione della pena responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 8 del d. Igs. 2000 (capi 1, 2, 3 e 4) non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa s In proposito deve premettersi che i reati contestati a COGNOME nei predetti concernono l’emissione da parte dell’imputato, quale legale rappresentant dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di fatture per operazion inesistenti in favore della RAGIONE_SOCIALE, negli anni 2013 (per un impon di 39.235 euro), 2014 (per un imponibile di 163.494 euro), 2015 (per u imponibile di 167.773 euro) e 2016 (per un imponibile di 85.941 euro).
Ciò posto, le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinat a integrarsi per formare un apparato motivazionale unitario, hanno compiuto un’adeguata rassegna delle prove raccolte, evidenziando che, alla luce degli es della verifica fiscale svolta dalla Guardia di Finanza di Lucca, le operazioni so alle fatture emesse dalla ditta individuale di Olivieri tra il 2013 e il 2 confronti della RAGIONE_SOCIALE dovevano essere ritenute inesistenti, ess del tutto inverosimile che tali prestazioni siano state rese dal ricorrente, i peraltro, nello stesso periodo in cui avrebbe dovuto svolgere le lavorazioni, er realtà un lavoratore subordinato alle dipendenze anche di altre società, ossia solo la RAGIONE_SOCIALE, destinataria delle fatture emesse dalla sua impr individuale, ma anche la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME.
Dunque, negli anni in cui sono state emesse le fatture, COGNOME era contestualmente dipendente a tempo pieno di altre imprese, che peraltro collaboravano e fatturavano con la Toscana servizi, per cui non si comprende in che modo il ricorrente avesse la possibilità materiale di svolgere le attività sottese alle fatture, attività che peraltro lo stesso imputato non ha chiarito in cosa sarebbero consistite. Come rilevato in modo pertinente dalla Corte di appello (pag. 21 della sentenza impugnata), ad assumere rilievo nel caso di specie non è il fatto che COGNOME non abbia firmato alcun patto di non concorrenza con le società dalle quali era stato assunto, ma è il dato che il ricorrente aveva assunto altrove un impegno lavorativo totalmente incompatibile con l’esecuzione da parte della sua impresa individuale di lavori che, almeno nominalmente, non erano né episodici né di scarso valore, non potendosi peraltro sottacere che è rimasta non provata la tesi difensiva dell’esistenza di un team di collaboratori dell’impresa amministrata da COGNOME come sottolineato dalla Corte territoriale, anche attraverso la puntuale disamina del contenuto delle non decisive dichiarazioni dei testi della difesa COGNOME e COGNOME. Dunque, in maniera non illogica, il reato di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000, rispetto a ognuna delle quattro annualità contestate, è stato ritenuto sussistente in ogni sua componente, oggettiva e soggettiva, e ciò anche in ragione dei rapporti tra l’imputato e la società destinataria delle fatture, ossia la RAGIONE_SOCIALE, alle cui dipendenze COGNOME come detto lavorava; in senso contrario correttamente non è stato ritenuto rilevante il fatto che la RAGIONE_SOCIALE non abbia utilizzato le false fatture contestate, dovendosi in proposito ribadire il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. Feriale, n. 31142 del 11/08/2022, Rv. 283708 e Sez. 3, n. 39359 del 24/09/2008, Rv. 241040), secondo cui, in tema di reati finanziari e tributari, l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo cioè necessario che l’emittente delle fatture, come ragionevolmente ritenuto nel caso di specie, si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. In definitiva, il giudizio delle due conformi sentenze di merito circa la sussistenza dei fatti illeciti e la loro ascrivibilità a COGNOME in quanto sorrett considerazioni razionali e coerenti con le convergenti acquisizioni probatorie disponibili, correttamente intese nella loro valenza dimostrativa, non presta il fianco alle censure difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito non consentiti in sede di legittimità, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimit
la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impug l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una mi capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Dì qui l’infondatezza delle doglianze riferite al reato di cui all’art. 8 del 74 del 2000 contestato ai capi 1, 2, 3 e 4.
3. Analogo discorso vale per le censure articolate nel quarto motivo riferi capo 5, avente ad oggetto il reato ex art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000, all’imputato per aver sottratto alla disponibilità dei verificatori della G Finanza di Lucca numerose fatture emesse nei confronti della propria clientel presso questa acquisite, ciò al fine di consentire alla propria impresa indivi alla RAGIONE_SOCIALE l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore a Anche in tal caso, la Corte di appello non ha mancato di confrontarsi co obiezioni difensive, superandone con considerazioni non illogiche. In particol nella sentenza impugnata (pag. 31-32) è stato evidenziato, da un lato, che Oli era il soggetto tenuto alla conservazione e alla regolare tenuta delle sc contabili e all’esibizione delle stesse agli operanti e, dall’altro, che specie vi è stata una sistematica sottrazione di documentazione contabile pe prolungato arco temporale, il che non ha consentito la complessiva ricostruzi dei redditi e del volume di affari della società amministrata dall’imputato. Sul punto, peraltro, questa Corte ha precisato (Sez. 3, n. 41683 del 02/03/ Rv. 274862) che l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affar dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, elemento costit del reato di cui all’art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000, non deve essere senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizi della documentazione mancante presso terzi o aliunde, avendo la pronuncia sopra richiamata altresì chiarito che, in tema di reati tributari, poiché la fat essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il destinatario dell’atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell’altra presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamen Avuto riguardo alle plurime fatture sottratte, per importi anche consistenti, i di appello hanno inoltre ragionevolmente ritenuto integrato l’elemento sogget della fattispecie, costituito dal dolo specifico di evadere le imposte sui redd valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, rilevando in tal s correlazione logica tra l’imputazione in esame e i fatti di cui ai capi 1, 2,
3.1. Orbene, anche in tal caso, a fronte di un apparato argomentativo illogico, le doglianze difensive (ri)propongono una diversa interpretazione dei probatori valorizzati dai giudici di merito, operazione questa che, tuttavia, è in precedenza evidenziato, è estranea al perimetro del giudizio di legittim
li
Le censure in punto di responsabilità sono risultate dunque prive di fondamento.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quinto motivo, avente ad oggetto la mancata esclusione della contestata e applicata recidiva. In proposito, deve premettersi che, come più volte chiarito da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Rv. 284425 e Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Rv. 270419), ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice. Nel caso di specie, tale valutazione risulta adeguatamente compiuta dalla Corte territoriale, essendo stati valorizzati nella sentenza impugnata i tre precedenti penali a carico dell’imputato, almeno uno dei quali della stessa indole (omesso versamento delle ritenute previdenziali) e connesso all’attività imprenditoriale esercitata da COGNOME per cui è stato evidenziato che la condotta criminosa in ordine alla quale si è proceduto costituiva espressione di una specifica capacità a delinquere, dovendosi solo aggiungere che, rispetto all’asserita depenalizzazione
del reato, non è stato fornito (neanche in questa sede) alcun principio di prova.
4.1. Avuto riguardo alla legittima applicazione della recidiva infraquinquennale, deve escludersi che il reato de quo sia ad oggi prescritto, posto che, per la più risalente delle contestazioni, ossia quella riferita al capo 1, il relativ termine massimo, alla luce del combinato disposto di cui agli art. 99, 157, 161 cod. pen. e 17 comma 1 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, si computa in 13 anni e 6 mesi, per cui la prescrizione massima matura a far data dal 1° luglio 2026.
Anche il sesto motivo, relativo al diniego delle attenuanti generiche, non è infine meritevole di accoglimento, avendo la Corte territoriale ragionevolmente valorizzato in senso ostativo (cfr. pag. 33-34 della sentenza impugnata) non solo i tre precedenti a carico dell’imputato (per i reati di sottrazione di cose sottoposte a pignoramento, omesso versamento delle ritenute previdenziali e lesioni personali, avendo NOME fruito per due volte della sospensione condizionale della pena, beneficio che però non lo ha evidentemente dissuaso dalla commissione di ulteriori reati), ma anche l’assenza di profili suscettibili di positivo apprezzamento, come ad esempio avrebbe potuto qualificarsi l’eventuale proposta di un ristoro, anche simbolico e parziale, delle conseguenze delle violazioni tributarie commesse.
Anche in tal caso il percorso argomentativo della sentenza impugnata resiste alle censure difensive, invero non adeguatamente specifiche, dovendosi ribadire la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché, come nella vicenda in esame, sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 08.10.2024