Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35323 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35323 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato a Bologna il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 25 maggio 2023, la Corte di appello di Bologna, pronunciando in parziale riforma della sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, e la condanna del medesimo alla pena di due anni di reclusione, ed ha revocato d’ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in primo grado.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME avrebbe emesso, al fine di consentire alla “RAGIONE_SOCIALE” l’evasione di imposte, una fattura per operazioni inesistenti, per l’importo di 378.000,00 euro oltre IVA pari ad 83.160,00 euro, in data 4 settembre 2014.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, nonché vizio di motivazione per travisamento della prova, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo all’assenza del dolo specifico necessario ai fini della configurabilità della fattispecie contestata.
Si deduce che non è stata raggiunta la prova in ordine alla sussistenza del dolo specifico richiesto per l’integrazione della fattispecie, ossia la prova che le fatture per operazioni inesistenti siano state emesse con il fine di consentire a terzi, nella specie la “RAGIONE_SOCIALE“, di dichiarare il falso al Fisco e di evadere l imposte. Si evidenzia che l’imputato ha detto di aver effettuato una consulenza e di essere stato perciò retribuito, e, una volta appreso l’errore nella emissione della fattura, per averla fatta rilasciare dalla “RAGIONE_SOCIALE” di cui era all’epoca amministratore, di avere subito posto rimedio effettuando immediatamente lo storno. Si precisa che il contratto di consulenza non richiede forma scritta, e che l’impossibilità di fornire una prova documentale della prestazione effettuata deriva dal fallimento della “RAGIONE_SOCIALE” e dalle carcerazioni sofferte dall’imputato. Si aggiunge che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’errore contabile, relativo a un’operazione realmente effettuata, scusa il reato contestato nel caso in cui l’errore stesso non fosse funzionale a consentire a terzi l’evasione d’imposta (si cita Sez. 3, n. 34570 del 20/09/2021, COGNOME).
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 62-bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo al diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
Si deduce che la Corte ha illegittimamente valutato i precedenti a carico dell’imputato come ostativi della concessione RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, omettendo di considerare la loro modesta gravità, e non ha tenuto conto del fatto che l’imputato, procedendo allo storno, ha mostrato resipiscenza.
Si deduce, in secondo luogo, che i giudici non hanno fornito una motivazione idonea in ordine alla determinazione della pena, basando il proprio giudizio unicamente sulle ragioni per cui non sono state concesse le attenuanti generiche./
2.3 Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione a norma dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla revoca d’ufficio della sospensione condizionale della pena.
Si deduce che la Corte ha illegittimamente revocato d’ufficio il beneficio del sospensione condizionale della pena in difetto di impugnazione del Pubblico ministero. Si segnala che: a) manca una disposizione espressamente attributiva di tale potere al giudice della cognizione; b) l’art. 597, comma 3, cod. proc. p esclude il potere de giudice di appello di revocare i benefici quando l’impugnazio è proposta unicamente dall’imputato; c) la revoca d’ufficio del beneficio de sospensione condizionale della pena, anche nel giudizio d’esecuzione, dove è espressamente consentita, è ammessa solo se le cause ostative ex art. 164, quart comma, cod. pen. non fossero già note al giudice di primo grado, con la conseguenza che il giudice che dispone la revoca deve, a tal fine, svolge un’opportuna verifica, acquisendo il fascicolo del giudizio (si cita Sez. U, n. 3 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381 – 01). Si precisa, inoltre, che la condann valorizzata per la revoca della sospensione della pena, siccome pronunciata i primo grado il 20 dicembre 2018, era già nota al giudice di primo grado de presente processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Diverse da quelle consentite, o comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l’affermazione dell sussistenza del dolo specifico, deducendo che la fattura in contestazione è st emessa per errore, in quanto corrispondeva ad una prestazione effettiva, ed stata immediatamente “stornata” una volta accertato l’errore.
2.1. Ai fini dell’esame RAGIONE_SOCIALE censure indicate, è utile richiamare i pri giurisprudenziali consolidati in tema di dolo specifico richiesto per l’integraz del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Innanzitutto, merita di essere evidenziato che l’evasione d’imposta non elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture o altri documenti operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richies per la punibilità dell’agente, ed è perciò necessario che l’emittente RAGIONE_SOCIALE fatt proponga il fine di consentire a terzi l’evasione RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi o sul v aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento ( tra le tante, Sez. fer., n. 31142 dell’11/08/2022, COGNOME, Rv. 283708 – 01, e 3, n. 39359 del 24/09/2008, COGNOME, Rv. 241040 – 01).
Va poi rilevato che, ai fini della configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non è necessario, sotto il profilo soggettivo, che il fine di favorire l’evasione fiscale di terzi attraverso l’utilizzo RAGIONE_SOCIALE fatture emesse si esclusivo, essendo integrato anche quando la condotta sia commessa per conseguire anche un concorrente profitto personale (vds., ex plurimis, Sez. 3, n. 39316 del 24/05/2019, Tosi, Rv. 277162 – 01, e Sez. 3, n. 44449 del 17/09(2015, Colloca, Rv. 265442 – 01).
2.2. La sentenza impugnata ricostruisce analiticamente i fatti da cui inferisce il dolo specifico dell’attuale ricorrente.
La Corte d’appello, in particolare, rappresenta che: a) l’imputato, in data 4 settembre 2014, ha emesso una fattura per conto della società “RAGIONE_SOCIALE“, di cui era amministratore di fatto e vice-presidente (la presidente formalmente era la moglie), verso la “RAGIONE_SOCIALE“, per l’importo di 378.000,00 euro oltre IVA pari a 83.160,00 euro, con la causale: «corrispettivo relativo all’incarico professionale conferito in data 8 febbraio 2014»; b) la fattura è stata registrata dalla “RAGIONE_SOCIALE“, poi dichiarata fallita, e riven da personale dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; c) nonostante le richieste dei funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sia la “RAGIONE_SOCIALE“, sia la “RAGIONE_SOCIALE“, la quale s occupava della gestione di una squadra di pallacanestro, non sono state in grado di esibire documentazione extracontabile a supporto, né per quanto riguarda il contratto di «incarico professionale», né per quanto concerne il pagamento della prestazione; d) nel corso degli accertamenti effettuati dall’RAGIONE_SOCIALE, il legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE” ha riferito la fattura ad una consulenza dell’attuale imputato, prestata attraverso una «ventina» di incontri, ed è stata pagata mediante la cessione di quote della società alla moglie dell’attuale ricorrente; e) il consulente della “RAGIONE_SOCIALE“, con mail in data 3 dicembre 2014, ore 19,23, ha invitato in termini perentori l’attuale ricorrente a procedere allo storno della fattura, perché «oggettivamente inesistente»; f) l’attuale ricorrente, con mail del 4 dicembre 2014, ore 10,59, ha risposto di provvedere immediatamente allo storno della fattura, ed ha poi subito dopo inviato altra mail con allegata una nota di accredito corrispondente; g) l’attuale ricorrente, titolare di una licenza di Sali e tabacchi, nel corso del processo, ha riferito la fattura ad una consulenza prestata per la dematerializzazione RAGIONE_SOCIALE azioni della “RAGIONE_SOCIALE“, pur precisando di non poter produrre alcun documento, per il tempo trascorso e le carcerazioni sofferte. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base di questi elementi, la Corte d’appello conclude innanzitutto che la fattura è falsa sia soggettivamente, perché emessa dalla società “RAGIONE_SOCIALE“, sicuramente estranea alla prestazione, come ammesso dallo stesso imputato, sia oggettivamente, perché non vi è nessun elemento da cui poter semplicemente ipotizzare l’effettuazione di una prestazione
tecnicamente complessa e di ingentissimo valore da parte di soggetto sprovvisto di specifiche competenze professionali e in assenza di qualunque documentazione.
Conclude, poi, che, in considerazione degli elementi acquisiti, l’emissione della fattura aveva come unico fine quello specifico di consentire alla “RAGIONE_SOCIALE” un ingentissimo risparmio fiscale.
2.3. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
Invero, l’accertamento, correttamente motivato, della falsità soggettiva ed oggettiva della fattura, l’ingente importo recato dalla stessa (pari a 378.000,00 euro di imponibile oltre a 83.160,00 euro per IVA), e la sua registrazione nelle scritture contabili della società destinataria costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti per poter concludere che il fine perseguito dall’agente mediante il rilascio del documento, siccome anche oggettivamente mendace, fosse quello di consentire alla “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” un elevato risparmio fiscale.
D’altro canto, le censure enunciate dal ricorrente, più che evidenziare vizi logici o giuridici della sentenza impugnata, si limitano a proporre una diversa interpretazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie.
Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano il diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena, deducendo che il fatto non è grave e l’imputato, stornando la fattura, ha mostrato resipiscenza.
Invero, premesso che, ai fini della concessione del beneficio di cui all’art. 62bis cod. pen., occorre la dimostrazione di elementi positivi (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640 – 01), e che può avere dirimente valenza ostativa anche l’esistenza di una pluralità di precedenti penali (vds. Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444 – 01), la sentenza impugnata correttamente ha escluso l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuati generiche. La Corte d’appello, infatti, evidenzia non solo l’assenza di elementi favorevoli, ma anche che l’imputato, ancora in sede di appello, fino al momento di rendere dichiarazioni spontanee, non aveva dato segni di resipiscenza, in quanto sosteneva di non aver mai emesso la fattura in contestazione, così accusando implicitamente di ciò la moglie, quale presidente della “RAGIONE_SOCIALE“, ed è inoltre gravato da numerosi e rilevantissimi precedenti penali, tra cui quello per il reato di associazione per delinquere.
Quanto poi alla determinazione della pena irrogata, la misura della stessa, pari a due anni di reclusione, e quindi molto prossima al minimo edittale, è correttamente giustificata in ragione dell’intensità del dolo, dell’entità della somma indicata nella falsa fattura, e dell’assenza di segni di resipiscenza.
Manifestamente infondate sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano la decisione della Corte d’appello di revocare d’ufficio la sospensione condizionale della pena.
Occorre premettere che, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice di appello può revocare di ufficio la sospensione condizionale della pena concessa, in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di cause ostative, a condizione che le stesse non fossero documentalmente note al giudice che ha concesso il beneficio (cfr., tra le tante, Sez. 3, n.42004 del 05/10/2022, COGNOMEo, Rv. 283712 – 01, e Sez. 3, n. 56279 del 24/10/2017, Principalli, Rv. 272429 – 01).
Ciò posto, nella specie, la sentenza impugnata ha posto a fondamento della sua decisione tre condanne divenute irrevocabili tra 1e2 novembre 2019 e il 16 febbraio 2022, quindi tutte successive alla pronuncia di primo grado, siccome emessa il 14 febbraio 2019. Di conseguenza, la Corte d’appello ha revocato la sospensione condizionale legittimamente, perché ha provveduto sulla base di cause ostative che non potevano essere note al giudice che ha concesso il beneficio.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in data 20/06/2024.