Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33582 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33582 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Pisa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/06/2023 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni della parte civile che ha chiesto la conferma della condanna; lette le conclusioni scritte della difesa, che ha insistito nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari del 12 aprile 2019 – che assolveva COGNOME NOME dal reato a lei ascritto di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen., perché il fatto non sussiste – a seguito di appello della parte civile, RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e NOME COGNOME, condannava
l’imputato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede.
La contestazione a carico della RAGIONE_SOCIALE NOME è quella di avere distribuito volantini pubblicitari del suo servizio commerciale, contenenti il patronimico “COGNOME“, così eludendo l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro in data 13 novembre 2013 emessa in favore di COGNOME e COGNOME, soci della RAGIONE_SOCIALE, con sede in Trebisacce, con la quale le era inibito l’uso del patronimico COGNOME nell’insegna della sua attività commerciale. Il fatto è stato accertato il 20 luglio 2014.
Il Tribunale di Castrovillari aveva assolto l’imputata, ritenendo che il comportamento censurato esulasse dall’ambito applicativo dell’art. 388, secondo comma, cod. pen., non potendosi ricondurre alle ipotesi tassative previste dalla norma e cioè proprietà, possesso e credito.
La Corte di appello di Catanzaro ha ritenuto fondato l’appello della parte civile, poiché, in sede di reclamo, il Tribunale delle imprese adito riteneva configurata la violazione del diritto alla proprietà industriale, subspecie di tutela all’insegna, in quanto l’utilizzo del patronimico “COGNOME” era idoneo a ingenerare confusione tra i clienti, così da vanificare la finalità dell’insegna mantenuta dalla parte civile con l’atto di acquisto, di fungere da segno distintivo dell’esercizio commerciale. La Corte d’appello ha ritenuto che la condotta della RAGIONE_SOCIALE realizzasse una violazione conclamata della proprietà industriale, alla cui tutela era intervenuto il provvedimento cautelare ex art. 700 cod. proc. civ.
In altre parole, la Corte di appello ha reputato che il provvedimento cautelare, con il quale il giudice civile inibisce, per concorrenza sleale, l’uso di u marchio o di una insegna, attiene alla tutela della proprietà industriale e intellettuale, per cui il comportamento diretto a eluderne l’esecuzione integra il reato previsto dall’art. 388, secondo comma, cod. pen.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione Di NOME NOME, deducendo, come unico motivo, la violazione di legge in relazione alla condanna al risarcimento del danno.
Rileva la difesa che l’art. 388 cod. pen. è stato novellato in più occasioni, l’ultima nel 2018 con l’introduzione del comma terzo, con espressa previsione a tutela della proprietà industriale: «la stessa pena si applica a chi elude l’esercizio di un provvedimento del giudice che prescrive misure inibitorie o correttive a tutela dei diritti di proprietà industriale”.
Le condotte contestate all’imputata sono state commesse nell’anno 2015, dunque ben prima dell’entrata in vigore del comma terzo dell’art. cit., che,
pertanto, non potrebbe trovare applicazione net caso di specie per il principio di irretroattività della norma penale incriminatrice.
La Corte d’appello, dunque, pur in assenza di norma specifica a tutela della proprietà industriale, avrebbe ritenuto punibile la condotta .31=2MM
La proprietà di cui al secondo comma dell’articolo suindicato si riferisce esclusivamente al diritto reale dominicale, di cui agli artt. 832 e seg. cod. civ. / e l’indicata impostazione è confermata proprio dalla riforma del 2018, che, invece, ha voluto estendere tale tutela anche alla proprietà industriale con l’introduzione del comma terzo.
Il tribunale delle imprese, inoltre, GLYPH non avrebbe parlato di proprietà industriale, essendosi limitato a evidenziare come l’uso del patronimico “COGNOME” fosse idoneo a ingenerare confusione sulla appartenenza dei segni distintivi e, per tale via, a concretare una condotta di concorrenza sleale nei confronti della società ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Deve premettersi che, all’epoca dei fatti, era, effettivamente, dibattuto in giurisprudenza se configurasse o meno il reato di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen., l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice per la cessazione di attività di concorrenza sleale (art. 2598 cod. civ.).
Da un lato si sosteneva che tale pronuncia non rientrava tra le tipologie di provvedimenti del giudice civile a difesa della proprietà, possesso e credito, alle quali la norma apprestava tutela penale (Sez. 6, Sentenza n. 21305 del 07/05/2009, COGNOME, Rv. 244146 – 01.). Dall’altro si evidenziava, invece, che la proprietà industriale rientrava nel concetto di proprietà di cui al secondo comma art. 388 cod. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 65 del 25/10/2004 -dep. 04/01/2005Ranieri, Rv. 230860 – 01).
Ciò detto, erra la difesa nel sostenere che, proprio perché parte della giurisprudenza negava la sussistenza del reato e la norma di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen. non tutelava espressamente l’elusione dei provvedimenti del giudice civile a difesa della proprietà, possesso e credito, la norma in questione, come modificata con l’introduzione del comma terzo in epoca successiva alla commissione dei fatti, non poteva trovare applicazione in virtù del principio di irretroattività della norma sfavorevole.
3.1.Tale principio trova applicazione solo con riferimento all’accertamento della penale responsabilità, che, nel caso in questione, non si pone, essendosi il reato prescritto prima del giudizio di appello e vedendo il ricorso unicamente sugli interessi civili.
4.Esaminando il ricorso in tale prospettiva, lo stesso deve, allora, ritenersi infondato, dal momento che la Corte di appello di Catanzaro, adita sugli interessi civili, ha motivatamente aderito all’orientamento interpretativo esistente all’epoca dei fatti, che ha anticipato la tutela normativamente introdotta con d. lgs. 11 maggio 2018, n. 21. Nessuna censura, pertanto, può essere mossa a tale decisione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 13 giugno 2024
Il Presidente