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Elemento psicologico ricettazione: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per concorso in ricettazione. Il ricorso era basato sulla presunta assenza dell’elemento psicologico del reato. La Suprema Corte ha stabilito che la motivazione della Corte d’Appello era logica e completa, confermando come il convincimento del giudice di merito, se ben argomentato, sia sufficiente a dimostrare la consapevolezza della provenienza illecita dei beni, ovvero l’elemento psicologico ricettazione.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elemento Psicologico Ricettazione: Quando la Motivazione è a Prova di Cassazione

L’analisi dell’elemento psicologico ricettazione è da sempre un tema centrale nel diritto penale. La consapevolezza della provenienza illecita di un bene è il fulcro che distingue questo grave reato da una condotta lecita. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per tornare su questo punto cruciale, chiarendo i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione con cui i giudici di merito accertano il dolo.

Il caso in esame riguarda un ricorso presentato avverso una sentenza di condanna per concorso in ricettazione, emessa da una Corte d’Appello di una città del Sud Italia. L’imputato lamentava un vizio di motivazione proprio in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico, ritenuto assente.

Il Fatto e il Motivo del Ricorso

L’imputato, condannato in secondo grado, ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a un unico motivo: la presunta erronea affermazione della sua responsabilità penale. Secondo la difesa, la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente dimostrato la presenza dell’elemento psicologico richiesto dall’art. 648 del codice penale, ovvero la consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni.

La difesa sosteneva, in sintesi, che la Corte d’Appello avesse errato nel ricostruire la sua volontà colpevole, fondando la condanna su elementi non sufficienti a provare, oltre ogni ragionevole dubbio, la sua malafede.

L’Analisi della Cassazione sull’Elemento Psicologico Ricettazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di legittimità hanno riscontrato che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione completa, logica e priva di vizi.

La Corte ha sottolineato come la sentenza di secondo grado avesse esaminato con attenzione la condotta dell’imputato, spiegando in modo non illogico le ragioni di fatto e di diritto che hanno portato al convincimento sulla sua colpevolezza. In particolare, è stata ritenuta corretta la valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie di cui agli artt. 110 (concorso di persone nel reato) e 648 (ricettazione) del codice penale.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della decisione risiede nel principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui la prova dell’elemento psicologico nella ricettazione può essere desunta anche da elementi indiretti. La Corte di Cassazione non riesamina i fatti, ma si limita a controllare la coerenza logica e la correttezza giuridica della motivazione del giudice di merito.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva, secondo la Cassazione, adeguatamente argomentato, sulla base delle circostanze concrete, il perché l’imputato non potesse non essere a conoscenza dell’origine illecita dei beni. Questa motivazione, essendo esente da vizi riconducibili all’art. 606, comma 1, lett. e) del codice di procedura penale (mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione), si sottrae a qualsiasi censura in sede di legittimità.

La Corte ha richiamato precedenti conformi, rafforzando l’idea che, una volta che il giudice di merito ha espresso un convincimento basato su una ricostruzione logica e coerente dei fatti, tale valutazione è insindacabile in Cassazione.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione per vizio di motivazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Se la sentenza impugnata spiega in modo logico e giuridicamente corretto perché l’imputato era consapevole della provenienza illecita della merce, non vi è spazio per un annullamento.

Per gli operatori del diritto, questa decisione conferma che la strategia difensiva non può limitarsi a una generica contestazione dell’elemento psicologico, ma deve individuare specifiche e manifeste illogicità nel percorso argomentativo del giudice. Per i cittadini, il messaggio è chiaro: la giustizia valuta la condotta complessiva e le circostanze di fatto per determinare la consapevolezza di chi acquista o riceve beni, e la giustificazione di non sapere può non essere sufficiente se smentita dalla logica degli eventi.

Quando un ricorso per vizio di motivazione sull’elemento psicologico della ricettazione è ritenuto infondato?
Un ricorso di questo tipo è ritenuto manifestamente infondato quando la Corte d’Appello ha fornito una motivazione logica, coerente e non contraddittoria per spiegare le ragioni di fatto e di diritto alla base del suo convincimento sulla colpevolezza dell’imputato, dimostrando la sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato.

Cosa deve dimostrare la Corte d’appello per confermare una condanna per ricettazione?
La Corte d’appello deve dimostrare, attraverso una motivazione esente da vizi logici, la configurabilità di tutti gli elementi del reato, inclusi quelli oggettivi (la provenienza del bene da un delitto) e quelli soggettivi (la consapevolezza di tale provenienza da parte dell’imputato), conformandosi ai principi consolidati della giurisprudenza di legittimità.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (nel caso specifico, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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