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Efficacia drogante e recidiva: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. Si è confermato che l’efficacia drogante di una sostanza sussiste anche per quantità inferiori alla dose singola, se il principio attivo è elevato. Inoltre, è stata ritenuta legittima l’applicazione dell’aumento per la recidiva, data la perseveranza dell’imputato nell’attività criminale nonostante i precedenti specifici e lo stato di detenzione domiciliare.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Efficacia Drogante e Recidiva: la Cassazione fa il Punto

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su due temi centrali in materia di stupefacenti: il concetto di efficacia drogante e i presupposti per l’applicazione dell’aumento di pena per la recidiva. La decisione offre importanti chiarimenti su come la giurisprudenza valuti la reale pericolosità di una sostanza, anche quando ceduta in piccole quantità, e la personalità criminale dell’imputato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo a quattro mesi di reclusione e ottocento euro di multa per il reato di spaccio di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli stupefacenti. La sentenza, emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, veniva impugnata dall’imputato dinanzi alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha basato il proprio ricorso su due principali motivi:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Si contestava la condanna per la cessione di sostanza stupefacente, sostenendo che non vi fossero prove sufficienti circa la sua concreta capacità drogante.
2. Applicazione ingiustificata della recidiva: Si lamentava l’aumento della pena per la recidiva, ritenendolo immotivato.

Analisi della Cassazione sull’efficacia drogante

La Suprema Corte ha giudicato il primo motivo manifestamente infondato. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione congrua e logica, non sindacabile in sede di Cassazione. Il ricorrente, infatti, si era limitato a contrapporre una propria valutazione dei fatti, senza evidenziare vizi giuridici o palesi illogicità nella decisione impugnata.

Il punto cruciale della motivazione risiede nei risultati della consulenza tecnica. Quest’ultima aveva accertato un’elevata quantità di principio attivo (pari al 79%) nella dose ceduta. Sebbene la quantità complessiva fosse leggermente inferiore alla dose singola media, l’alta concentrazione del principio attivo era stata ritenuta sufficiente a dimostrare l’efficacia drogante della sostanza. La Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato di spaccio è configurabile anche per quantitativi inferiori alla dose singola, a meno che non si tratti di quantità talmente minime da non poter in alcun modo alterare lo stato psicofisico dell’assuntore.

La Valutazione sulla Recidiva

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ricordato che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, il giudice non può applicare automaticamente l’aumento per la recidiva, ma deve valutare in concreto se la reiterazione dei reati sia sintomo di una effettiva pericolosità sociale e di una maggiore riprovevolezza della condotta.

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente evidenziato che l’imputato:

* Aveva numerosi precedenti penali, anche specifici per reati in materia di stupefacenti.
* Aveva commesso il reato mentre si trovava agli arresti domiciliari per fatti analoghi.

Questo comportamento dimostrava, secondo la Corte, una chiara dedizione all’attività criminale e una spiccata capacità a delinquere, rendendo pienamente giustificato l’aumento di pena per la recidiva.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure proposte erano di merito e non di legittimità. La difesa non ha saputo scalfire il solido impianto argomentativo della sentenza d’appello, che si basava su prove concrete (la consulenza tecnica) e su una corretta applicazione dei principi giuridici consolidati, sia in tema di efficacia drogante sia in tema di recidiva. La decisione di condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende è la diretta conseguenza di un ricorso ritenuto privo di fondamento.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce due principi fondamentali. Primo: ai fini della sussistenza del reato di spaccio, ciò che conta è la qualità e la concentrazione del principio attivo, più che la quantità lorda della sostanza ceduta. La concreta efficacia drogante può essere provata anche in presenza di dosi minime. Secondo: la recidiva non è un automatismo, ma il risultato di una valutazione ponderata sulla personalità dell’imputato, dove la perseveranza nel commettere reati, specialmente durante misure restrittive, è un indice inequivocabile di pericolosità sociale.

Quando una sostanza ha ‘efficacia drogante’ ai fini del reato?
Una sostanza ha efficacia drogante quando, a prescindere dalla quantità totale, contiene una concentrazione di principio attivo sufficiente a produrre effetti psicotropi. Secondo la Corte, una percentuale elevata (nel caso specifico, il 79%) è prova sufficiente, anche se la dose è inferiore a quella media singola.

Come viene giustificato l’aumento di pena per la recidiva?
L’aumento non è automatico ma richiede una valutazione concreta da parte del giudice. È giustificato quando la ripetizione dei reati indica una reale pericolosità sociale dell’autore. Nel caso specifico, i plurimi precedenti, anche specifici, e il fatto di aver commesso il reato mentre era agli arresti domiciliari, hanno dimostrato una spiccata capacità criminale che legittimava l’aggravante.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non di merito. Non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella del giudice delle fasi precedenti. Un ricorso è inammissibile se si limita a proporre una diversa ricostruzione dei fatti senza denunciare una violazione di legge o un vizio logico palese nella motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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