Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 36019 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 36019 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Giulianova (TE) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte d’appello di L’Aquila.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Teramo in data 29 gennaio 2024, rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo eroina a lei ascritto.
Avverso la sentenza, l’imputata – per il tramite del difensore di fiducia – ha presentato ricorso affidato ad un unico motivo con cui viene dedotta la violazione di legge in relazione all’art. 49 cod. pen.
Ha segnalato il difensore che il quantitativo di stupefacente (i.e. eroina), rinvenuto nella disponibilità della COGNOME, non possedeva efficacia drogante per il principio attivo – pari a 9 mg – inferiore a quello previsto dal d.m. dell’Il aprile 2006. Sussiste, pertanto, il ragionevole dubbio circa la idoneità della condotta a modificare l’assetto neuropsichico dell’assuntore e quindi a configurare l’ipotesi di reato in contestazione.
RILEVATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. La Corte territoriale ha confermato il tema di accusa richiamando un orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non può a priori escludersi l’efficacia drogante della sostanza stupefacente nei confronti di soggetti non dipendenti fsebbene possegga un principio inferiore a quello previsto dal d.m. dell’Il aprile 2006, «salvo che si tratti di dosi talmente esigue da consentire di affermarne l’assoluta idoneità ad incidere sull’assetto neuropsichico dell’utilizzatore» ( ex multis Sez. 4 n 21814 del 12/05/2010, Renna, Rv 247278). Dunque, per i Giudici di merito, il fatto che l’imputata detenesse eroina con un principio attivo pari a 9 mg, inferiore rispetto alla soglia minima pari a 25 mg prevista dal citato decreto, non consentiva di escludere che la sostanza potesse avere efficacia drogante.
1.2. Il tema- su cui si incentra l’unico motivo di ricorso- impone di affrontare la vexata quaestio della offensività della condotta di detenzione di stupefacente ai fini di cessione a terzi nelle ipotesi in cui il principio attivo posseduto dalla sostanza detenuta ai fini di spaccio risulti essere inferiore alla soglia minima prevista. L’argomento è stato affrontato dalla Corte di cassazione che, tuttavia, è pervenuta a soluzioni non sempre sovrapponibili in ordine alla necessità di accertare il superamento della soglia ex lege prevista ai fini della integrazione del reato.
Ed infatti, con le Sezioni Unite “Kremi” (cfr sent. n 9973 del 21/09/1998) si era ritenuto che la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza stupefacente, oggetto di spaccio, potesse non superare la cosiddetta “soglia drogante” non avesse rilevanza ai fini della punibilità del fatto. Tanto in considerazione del fatto che i beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell’ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani generazioni, sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante. Nel solco di questa esegesi si collocano numerose successive sentenze di questa Corte (cfr Sez. 5, n. 3354 del 26/10/2010, Rv.249748; Sez. 4, n. 32317 del 03/07/2009; Sez. 5, n. 5130 del 04/11/2005, COGNOME).
Nondimeno. numerose altre sentenze, pur a ridosso delle citate Sezioni Unite, hanno affermato l’opposto principio, secondo cui il reato di cui all’art. 73 cit. d.P.R. «può dirsi integrato solo qualora venga dimostrato, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio o comunque ceduta sia di entità tale da poter produrre un concreto effetto drogante» (Sez. 6, n. 16154 del 02/02/2011 Rv. 249880; Sez. 4, n. 21814 del 12/05/2010 Rv. 247478; Sez. 4, n 6207del 19/11/ 2008, COGNOME).
Tale orientamento ha ricevuto un autorevole avallo da una più recente decisione delle Sezioni unite che, sebbene riguardi lo specifico settore della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, ha stabilito il principio- che tuttavia può essere esteso a tutti i casi di detenzione ai fini di cessione- in base al quale il giudice deve verificare in concreto l’offensività della condotta, cioè l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile (così Sez. Un. n. 28605 del 24 aprile 2008, COGNOME).
Anche questa Sezione (ex multis, Sez. 6, n. 6928 del 13/12/2011 Rv. 252036; Sez. 6, n. 8393 del 22/11/2013, Cecconi, Rv. 254857) si è mossa nel tracciato delle Sezioni Unite “Di COGNOME“, là dove nel superare le affermazioni delle precedenti Sezioni Unite “Krenni”, ha precisato che «il principio di offensività opera su un duplice piano, quello della previsione normativa, “sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo”, che configura l’offensività in astratto, e quello dell’applicazione giurisprudenziale, “quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato” (offensività in concreto)».
1.3. Il Collegio intende ribadire i precedenti di questa Sezione, secondo cui non può ravvisarsi il delitto previsto dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, quando la sostanza ceduta, pur essendo compresa nelle tabelle allegate alla legge, sia priva di qualsiasi efficacia farmacologica e quindi inidonea a produrre l’effetto drogante a causa della percentuale insufficiente di principio attivo.
Ed invero, nell’ambito dei reati relativi agli stupefacenti – che pongono in pericolo, in forme più o meno incisive, la salute degli assuntori – diventa essenziale la dimostrazione della probabilità dell’evento lesivo, attraverso la verifica dell’efficacia drogante della sostanza. In una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative ai reati di pericolo, il principio di offensività va letto in chiave “concreta”, di guisa che si richiede al giudice di verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva. Solo se la sostanza sia «inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno
la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta: «la indispensabi connotazione di offensività in generale di quest’ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile» (Corte cost. n. 360/1995).
1.4. Nel caso in oggetto, la sentenza impugnata f nel valorizzare /ai fini della responsabilità / un dato ex se potenzialmente neutro è, dunque, pervenuta ad un giudizio di colpevolezza in violazione del principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. La norma in questione enuncia una regola di giudizio che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell’imputato; ed invero, condizione per la pronuncia della sentenza di condanna è che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 3, n. 5602 del 21/1/2021, Rv. 281647; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299; Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, Giampà, Rv. 247449).
Ebbene, l’accertamento nella sostanza detenuta dalla imputata di un principio attivo in misura percentuale, peraltro, significativamente inferiore alla soglia minima ex lege prevista e la mancata segnalazione da parte dei giudici di merito di elementi ulteriori a supporto del tema di accusa lasciano margini di ingresso alla critica finale della difesa in ordine al ragionevole dubbio che l’eroina potesse in concreto incidere e alterare il benessere neuropsichico dell’assuntore. A ciò consegue, in forza dei principi di diritto richiamati in punto della necessaria verifica della c.d. “offensività in concreto”, il ragionevole dubbio in ordine alla configurabilità del reato in contestazione.
In forza di tali premesse, ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso, 01/10/2025