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Efficacia drogante: Cassazione su cannabis e reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un uomo condannato per la detenzione di 10 grammi di marijuana. La Corte ribadisce che la commercializzazione di derivati della cannabis, anche a basso THC, integra reato se non è provata la totale assenza di efficacia drogante. Negate anche le attenuanti generiche per la gravità della condotta.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

L’Efficacia Drogante della Cannabis: Quando la Detenzione è Reato?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8506/2024, torna a pronunciarsi su un tema di grande attualità: la rilevanza penale della detenzione di cannabis e il concetto di efficacia drogante. La decisione offre importanti chiarimenti sui limiti della commercializzazione dei derivati della canapa, anche quelli comunemente noti come “cannabis light”, ribadendo un principio fondamentale: la destinazione allo spaccio, anche di piccole quantità, fa presumere la pericolosità della sostanza.

I Fatti del Caso: Detenzione e Condanna

Il caso nasce dalla condanna di un uomo, confermata in primo e secondo grado, per la detenzione di 10 grammi di marijuana. La pena inflitta era di sei mesi di reclusione e una multa, in applicazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, che punisce i fatti di lieve entità legati agli stupefacenti.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su due principali motivi:
1. Violazione di legge: Si sosteneva la mancanza di efficacia drogante della sostanza sequestrata, contestando che questa potesse produrre effetti stupefacenti.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Si lamentava il diniego ingiustificato delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero potuto comportare una riduzione della pena.

L’Efficacia Drogante e i Limiti della Legge sulla Canapa Light

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nel primo motivo di ricorso. La Corte ha rigettato la tesi difensiva, richiamando la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 30475/2019, Castignani). Secondo questo orientamento consolidato, la cessione, la vendita e, in generale, la commercializzazione al pubblico di derivati della cannabis sativa L. (come foglie, infiorescenze, olio e resina) integrano il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990.

Questo principio vale anche se il contenuto di THC è inferiore ai valori indicati dalla legge n. 242/2016 sulla canapa industriale. L’unica eccezione si ha quando i derivati sono, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa. La legge del 2016, infatti, consente la sola coltivazione di canapa per finalità tassativamente elencate (es. tessili, alimentari) ma non liberalizza la commercializzazione delle infiorescenze per uso ricreativo.

Nel caso specifico, la difesa si era limitata a contestare genericamente l’effetto stupefacente, senza confrontarsi con le prove emerse nel processo: l’esito del narcotest, il porzionamento della sostanza già pronto per la cessione a terzi e il possesso di strumenti per ulteriori suddivisioni. Questi elementi, secondo la Corte, erano sufficienti a presumere che la droga fosse idonea a produrre un effetto psicotropo.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche: La Discrezionalità del Giudice

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ricordato che la concessione o l’esclusione delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto, rimesso alla discrezionalità del giudice di merito. Tale decisione non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica e non contraddittoria.

Il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, ma può basare la sua decisione su quelli che ritiene decisivi. Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva correttamente motivato il diniego sulla base delle caratteristiche offensive della condotta, dell’intensità del dolo e dell’atteggiamento complessivo dell’imputato, ritenendo tali elementi prevalenti su ogni altro.

Le motivazioni

Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Le argomentazioni della difesa sono state ritenute generiche e non in grado di scalfire la logicità della sentenza impugnata. Per quanto riguarda l’efficacia drogante, non è sufficiente invocare un basso livello di THC quando altri elementi indicano chiaramente la destinazione della sostanza al mercato illegale. Per le attenuanti, la valutazione del giudice di merito, se ben motivata, è insindacabile. L’inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un punto cruciale: la legge sulla canapa industriale non ha legalizzato la vendita di infiorescenze per uso personale. La detenzione di tali prodotti, se destinata alla cessione, rimane un reato. La prova della totale assenza di efficacia drogante spetta a chi la afferma e deve essere rigorosa, non potendosi basare solo sulla percentuale di principio attivo. Questa decisione conferma la linea dura della giurisprudenza nel contrastare lo spaccio di stupefacenti, anche quando si tratta di sostanze considerate “leggere”, e sottolinea l’ampia discrezionalità dei giudici di merito nel valutare la personalità dell’imputato ai fini della determinazione della pena.

La detenzione di cannabis con un basso livello di THC è sempre legale?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la vendita e la detenzione di derivati della cannabis (come infiorescenze e resina) costituiscono reato a meno che non sia provato che siano, in concreto, del tutto privi di qualsiasi efficacia drogante o psicotropa.

Cosa valuta il giudice per stabilire l’efficacia drogante di una sostanza?
Il giudice non si limita al solo dato del THC. Valuta un insieme di elementi, come l’esito del narcotest, il confezionamento della sostanza in dosi pronte per la vendita e la presenza di strumenti per la suddivisione, che possono indicare l’idoneità a produrre un effetto stupefacente.

Perché il giudice può negare le circostanze attenuanti generiche?
Il giudice può negare le attenuanti generiche motivando la sua decisione sulla base degli elementi che ritiene prevalenti, come le caratteristiche offensive della condotta, l’intensità del dolo (l’intenzione di commettere il reato) e l’atteggiamento dell’imputato, senza dover analizzare ogni singolo aspetto favorevole o sfavorevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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