Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8506 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8506 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME ( DETTO ANGELO) nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 27 maggio 2022, con la quale Siracusa NOME era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro milletrentadue di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (detenzione di gr. 10 di marijuana).
Il Siracusa, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge con riferimento all’efficacia drogante dello stupefacente sequestrato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956) ha evidenziato come la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resin integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, I. 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività; questa Corte nel suo massimo consesso ha ritenuto lecita l’attività di coltivazione di canapa (inerenti alle sole varie iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002) per le sole finalità tassativamente indicate dall’art. 2 della predetta legge (Sez. 3, n. 14244 del 17/01/2020, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 38850 del 19/07/2019, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 33081 del 26/6/2019, COGNOME, non massimata).
Tale principio si pone in linea di continuità con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la I. n. 242 del 2016 non consente la commercializzazione dei derivati della coltivazione della canapa.
La normativa, che disciplina e consente l’attività di coltivazione per i soli fini commerciali tassativamente elencati, esclude la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina, tenuto conto che i valori di tolleranza di THC consentiti dall’art. 4, comma 5, I. 2 dicembre 2016, n. 242, (tra 0,2 e 0,6%) si riferiscono solo al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione, non anche al prodotto oggetto di commercio.
La detenzione e la commercializzazione dei derivati della coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish), rimangono, pertanto, sottoposte alla disciplina di cui al d.P.R, cit. 4. La legge 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la sola coltivazione di detti prodotti per finalità espresse e tassative: la commercializzazione dei prodotti della coltivazione e le conseguenti condotte di detenzione e cessione di tali derivati continuano a essere sottoposte alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, a condizione che le sostanze presentino comunque un effetto drogante rilevabile (Sez. 6, n. 56737 del 27/11/2018, COGNOME, Rv. 274262).
Non risulta liberalizzata la commercializzazione del prodotto entro la soglia dello 0,5% di principio attivo, dovendosi a tal fine accertare nel concreto l’assenza di potenzialità drogante.
Ciò posto sui principi operanti in materia, va osservato che la difesa del Siracusa incentra il motivo di ricorso in esame esclusivamente sul dedotto mancato superamento della soglia del THC.
Al riguardo, essa si limita a sottolineare, in termini del tutto generici, la mancanza di effetto drogante della sostanza, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che ha richiamato l’esito del narcotest, il porzionamento pronto per la cessione a terzi e la dotazione di uno strumento utile a successive suddivisioni in dosi. Si poteva ragionevolmente presumere, pertanto, che la droga risultasse idonea a produrre un effetto psicotropo o stupefacente.
In relazione al secondo motivo di ricorso, va osservato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez..2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello, con motivazione lineare e coerente, non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce delle caratteristiche offensive della condotta, dell’intensità del dolo e dell’atteggiamento del Siracusa nella vicenda.
Il ricorrente non indica elementi a sé favorevoli idonei a disarticolare il percorso argonnentativo della sentenza impugnata, limitandosi ad evidenziare l’irrilevanza dei precedenti penali a suo carico, fattore che, al contrario di quanto dedotto dalla difesa, non ha formato oggetto di valutazione della Corte di merito.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.