Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30666 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30666 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nata in Cina il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/12/2023 del Tribunale di Padova visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 11 dicembre 2023, e depositata il 18 dicembre 2023, il Tribunale di Padova, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha respinto l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo a fini
di confisca delle quote della società “RAGIONE_SOCIALE” di cui ella è soci accomandataria.
Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal G.i.p. del Tribunale di Venezia in data 27 dicembre 2021 per reati di cui agli art. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 ascritti a NOME COGNOME quale amministratrice di fatto delle società “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“. Il provvedimento di sequestro emesso dal G.i.p. del Tribunale di Venezia ha riguardato diciotto persone, tutte indagate per reati di cui agli artt. e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, i quali avrebbero comportato un’evasione a titolo di imposte dirette e indirette per complessivi 21.761.976,50 euro. A seguito di istanza di riesame proposta da due coindagati, NOME COGNOME e NOME COGNOME, il Tribunale di Venezia ha dichiarato l’incompetenza del Tribunale di Venezia e la competenza del Tribunale di Padova. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia ha trasmesso gli atti del procedimento al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova, il quale ha chiesto al G.i.p. del Tribunale di Padova l’adozione di un nuovo provvedimento di sequestro nei confronti di tutti gli indagati, a norma dell’art. 27 cod. proc. pen. Il G.i.p. del Tribunale di Padov ha rinnovato il provvedimento di sequestro esclusivamente nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, ma ha dichiarato il non luogo a provvedere per tutti gli altri indagati, ritenendo perdurante l’efficacia del decreto di sequestro emesso dal G.i.p. del Tribunale di Venezia in data 27 dicembre 2021.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando tre motivi, preceduti da una premessa, nella quale si ripercorre lo svolgimento del procedimento e si puntualizza che la richiesta di dissequestro si riferiva non solo alle quote della “RAGIONE_SOCIALE“, ma a tutti i beni sottopost vincolo e riconducibili alla ricorrente.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art 27 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di inefficacia della misura cautelare reale.
Si deduce che l’ordinanza impugnata ha illegittimamente escluso l’applicazione della previsione dell’art. 27 cod. proc. pen., in forza della quale, caso di dichiarazione di incompetenza della misura cautelare, questa, a pena di inefficacia, deve essere rinnovata entro venti giorni dal giudice competente.
Si rappresenta che il G.i.p. del Tribunale di Padova ha escluso l’applicazione della disciplina di cui all’art. 27 cod. proc. pen., ritenendo che tale disciplina stretta interpretazione e che la dichiarazione di incompetenza, emessa a seguito di impugnazione degli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME, non potesse estendersi
agli altri coindagati in forza della regola dell’effetto estensivo di cui all’art. cod. proc. pen.
Si rappresenta che, con l’atto di appello, la difesa dell’attuale ricorrente aveva evidenziato come i reati contestati alla stessa era tutti in concorso o con NOME COGNOME, o con NOME COGNOME, e che ciò erroneamente è stato escluso dal Tribunale nell’ordinanza impugnata: si precisa che i capi di accusa 3, 4, 5, 6 e 19 sono contestati sia all’attuale ricorrente, sia a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, mentre i capi di accusa 20, 21, 22 e 28 sono contestati sia all’attuale ricorrente, sia a NOME COGNOME. Si aggiunge, per completezza, che tutti i ventotto capi di accusa formulati nell’originario provvedimento di sequestro del G.i.p. del Tribunale di Venezia sono ascritti a NOME COGNOME. Si segnala, inoltre, che l’incompetenza per territorio è stat rilevata in ragione di un criterio oggettivo, e precisamente in ragione della sede delle società mediante le quali sarebbero stati commessi detti reati, ossia del criterio rilevante a norma dell’art. 18, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 per i reati di cui agli artt. 4 e 5 medesimo d.lgs.
Si conclude che l’effetto estensivo della decisione in tema di incompetenza per territorio costituisce una necessità, perché altrimenti, per uno stesso reato, vi sarebbero due giudici competenti sulla stessa misura. Si evidenzia, inoltre, che l’estensione degli effetti favorevoli dell’impugnazione non fondata su motivi esclusivamente personali, con riferimento a un decreto di sequestro per reati commessi in concorso tra più imputati, è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (si cita Sez. U, n. 34623 del 26/06/2002, Di COGNOME, Rv. 222261 – 01). Si rileva, ancora, che sussistono tutti i presupposti richiesti dalla giurisprudenza per l’operatività della regola dell’estensione degl effetti favorevoli dell’impugnazione, e cioè: 1) l’origine unitaria e cumulativa de procedimento nei confronti dell’attuale ricorrente, di COGNOME e di NOME COGNOME; 2) l’identità dei reati; 3) l’estraneità dell’attuale ricorrente al giudizio di ri nel quale è stata dichiarata l’incompetenza; 4) il fondamento dell’incompetenza su motivi non personali.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 2639 cod. civ., 40 cpv. cod. pen. e 125 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza della qualifica di amministratrice di fatto dell’attuale ricorrente in relazione alle impre mediante le quali sarebbero stati commessi i reati in contestazione.
Si deduce che l’ordinanza impugnata ha illegittimamente ritenuto sussistente la qualifica di amministratrice di fatto dell’attuale ricorrente in relazione imprese mediante le quali sarebbero stati commessi i reati in contestazione.
Si premette che sia l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Padova, sia l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Venezia hanno ritenuto NOME e NOME
COGNOME amministratori di fatto di tutte le società utilizzate per commettere i reati in contestazione, e che già questo dato risulta incompatibile con l’assunto posto a base delle accuse a carico dell’attuale ricorrente.
Si osserva, poi, che gli elementi valorizzati per ritenere l’attuale ricorrent amministratrice di fatto delle ditte mediante le quali sarebbero stati commessi i reati a lei contestati sono costituiti: a) dalla sua presenza presso i locali di t imprese; b) dalla titolarità della società concedente in sublocazione i locali alle precisate ditte; c) la coincidenza tra la p.e.c. di alcune di queste ditte la p.e. fornita dall’attuale ricorrente per il proprio conto personale. Si precisa che: a) l attività di pedinamento e di osservazione non hanno consentito di individuare la presenza dell’attuale ricorrente nei locali delle imprese in questione; b) i contratt di sublocazione costituiscono legittime operazioni economiche; c) non è stato mai concretamente approfondito quale sia stato l’uso della p.e.c. in questione per verificare se l’attuale ricorrente l’abbia mai utilizzata o comunque abbia mai compiuto atti di gestione delle precisate società. Si evidenzia, poi, che gli elementi valorizzati a carico dell’attuale ricorrente, in ogni caso, non sono indicativi di u esercizio concreto e continuativo delle funzioni di amministratore, quale attività di gestione o cogestione dell’impresa, fatto necessario, secondo la giurisprudenza, per affermare la qualifica di amministratore di fatto (si citano tra le altre: Sez. n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023; Sez. 5, n. 4941 del 26/10/2020, dep. 2021; Sez. 5, n. 27557 del 20/07/2020). Si rileva, inoltre, che le deduzioni sopra richiamate in ordine alla inconsistenza, irrilevanza e genericità degli elementi valorizzati a carico dell’attuale ricorrente e alla loro inidoneità a far riten sussistente la qualifica di amministratrice di fatto della stessa sono state del tutt ignorate dall’ordinanza impugnata, sebbene puntualmente proposte, così determinandosi un vizio di mancanza di motivazione. 2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art 321 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del periculum in mora. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si deduce che l’ordinanza impugnata ha illegittimamente ritenuto sussistente il periculum in mora, in quanto ha addotto, a fondamento dello stesso, condotte non dell’attuale ricorrente, bensì del figlio di questa, NOME COGNOME, costituite dall’effettuazione di rimesse di denaro verso la Cina. Si osserva che: a) non vi sono elementi per ritenere che queste operazioni di trasferimento di denaro del figlio dell’attuale ricorrente siano state realizzate con il consenso di questa; b) non è precisato queste rimesse quando siano state effettuare e per quali importi; c) le precisate operazioni potrebbero essere state compiute nell’interesse proprio di NOME COGNOME, in quanto questi, prima del 2021, si è trasferito definitivamente in
Cina. Si rappresenta che, quindi, vi è difetto di un pericolo concreto ed attuale di dispersione dei beni sottoposti a vincolo.
Con memoria presentata nell’interesse dell’attuale ricorrente in replica alla requisitoria del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, l’AVV_NOTAIO fornisce alcune precisazioni sulle censure esposte nei motivi del ricorso.
In particolare, si sottolinea che l’istanza di revoca non può essere ritenuta inammissibile perché avrebbe dovuto essere presentata al G.i.p. del Tribunale di Venezia: si osserva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’istanza di cessazione di efficacia della misura ex art. 27 cod. pro pen. deve essere presentata innanzitutto al giudice che ha ricevuto gli atti, e, solo qualora questi si dichiari incompetente, al giudice che ha emesso per primo la misura. Si rappresenta, poi, quanto alle censure enunciate nel secondo e nel terzo motivo del ricorso, che non vi è alcuna preclusione a proporre le stesse, in quanto l’attuale ricorrente non ha mai proposto istanza di riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato con riguardo alle censure formulate nel primo motivo, per le ragioni di seguito precisate, con assorbimento delle ulteriori questioni proposte negli altri due motivi del ricorso.
La questione posta nel primo motivo di ricorso attiene all’applicabilità dell’istituto dell’estensione dell’impugnazione di cui all’art. 587 cod. proc. pen. ne caso di dichiarazione dell’incompetenza del giudice che ha disposto l’applicazione di una misura cautelare reale.
L’applicabilità dell’istituto dell’estensione dell’impugnazione di cui all’ar 587 cod. proc. pen. con riguardo a provvedimenti emessi in materia di misure cautelari reali è principio oggi affermato dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, all’esito di un percorso articolato, sviluppatosi per gradi.
3.1. In una prima fase, le Sezioni Unite avevano escluso che, nel procedimento di riesame relativo a misure cautelari reali, si potesse produrre l’effetto estensivo dell’impugnazione a vantaggio di chi fosse rimasto estraneo a tale procedimento, ferma restando l’ammissibilità dell’estensione degli effetti favorevoli della decisione a condizione che questa non fosse fondata su motivi personali di uno degli impugnanti e che il procedimento stesso fosse sorto e si fosse svolto in modo unitario e cumulativo (Sez. U, n. 34623 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222261 – 01).
Questo orientamento si allineava dichiaratamente all’analogo indirizzo espresso in materia di misure cautelari personali dalle Sezioni Unite (il riferimento è a Sez. U, n. 41 del 22/11/1995, dep. 1996, Ventura, Rv. 203635 – 01), e ne richiamava, in modo testuale, alcune argomentazioni. In particolare, si rilevava che: a) «la frammentazione e l’autonomia dei relativi procedimenti incidentali scaturenti da un iniziale provvedimento cautelare a struttura plurima permette, inoltre, per il margine di discrezionalità concessa al giudicante nella valutazione delle singole posizioni, una diversità di valutazioni e di decisioni che, pur avendo natura provvisoria e strumentale, impedisce l’applicabilità dell’art. 587»; b) «l’autonomia e le caratteristiche del rito incidentale – improntato a specialità semplicità e tempestività – non consentono l’applicabilità del principio estensivo dell’impugnazione ai rimedi previsti negli articoli citati »; c) «nell’ipotesi di procedimento incidentale che sorga e si svolga in modo unitario e cumulativo, è sempre possibile, sulla base dei principi propri dell’ordinamento processuale, estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione stessa, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento» (le frasi riportate sono tratte da Sez. U, Di COGNOME, cit.).
3.2. Questo indirizzo, però, è stato posto progressivamente in discussione nell’ambito delle misure cautelari personali.
Alcune decisioni, da subito, hanno iniziato a formulare un distinguo, ammettendo, almeno in linea di principio, l’estensione degli effetti favorevoli della decisione emessa nel procedimento cautelare dal tribunale del riesame nei confronti dei coindagati non impugnanti, quando gli stessi non abbiano preso parte al procedimento per non aver neppure proposto l’impugnazione o perché il loro gravame sia stato dichiarato inammissibile (Sez. 2, n. 6273 del 14/12/1999, dep. 2000, Bonforte, Rv. 216353 – 01).
E altre pronunce, poi, hanno ulteriormente ampliato la sfera di operatività dell’effetto estensivo dell’impugnazione in materia cautelare, osservando che la frammentazione del procedimento, derivante dalla diversità dei mezzi di impugnazione proposti, non preclude l’estensione degli effetti favorevoli della decisione, allorché il vizio del provvedimento cautelare sia così radicale da essere necessariamente comune a tutti i coindagati (così Sez. 5, n. 21641 del 24/03/2004, Monteforte, Rv. 229193 – 01), o emerga per effetto di una decisione cautelare della Corte di cassazione, la quale esprima un mutamento di giurisprudenza fondato sull’interpretazione di una norma processuale conforme a principi di legalità ordinaria e costituzionale, la cui portata applicativa sia tale accomunare tutti i coindagati titolari della medesima posizione processuale (Sez. 5, n. 30428 del 30/06/2011, Corone! Ullari, Rv. 250809 – 01).
3.3. L’espresso riconoscimento, da parte delle Sezioni Unite, dell’operatività dell’effetto estensivo dell’impugnazione anche in caso di procedimenti di impugnazione formalmente autonomi è successivamente avvenuto proprio con riguardo alle misure cautelari reali.
Precisamente, Sez. U, n. 19046 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252529 – 01, ha affermato che l’istituto di cui all’art. 587 cod. proc. pen. è applicabile anche i materia di procedimenti relativi alle misure cautelari, atteso il disposto di cu all’art. 61, comma 2, cod. proc. pen., il quale estende alla persona sottoposta alle indagini ogni disposizione relativa all’imputato. Ha poi osservato, avendo riguardo al caso da essa specificamente esaminato, che l’impugnazione autonomamente proposta da uno dei coindagati avverso un provvedimento interlocutorio non determina la frammentazione del procedimento, quando lo stesso prosegue unitariamente nei confronti di tutti i ricorrenti, ma comporta soltanto un’anticipazione di decisione su uno degli aspetti procedurali.
Peraltro, nell’occasione, le Sezioni Unite hanno anche evidenziato che il limite all’applicabilità dell’istituto, così come previsto proprio dall’art. 587 cod. pr pen., è costituito dalla natura dei motivi posti a fondamento della decisione da estendere: precisamente, questi motivi, nel caso di concorso nel medesimo reato, non debbono essere «esclusivamente personali», mentre, nel caso di reati diversi, ma riuniti, non solo non debbono essere «esclusivamente personali», ma debbono anche riguardate «violazioni della legge processuale».
3.4. La successiva giurisprudenza risulta in linea con il principio espresso da Sez. U, COGNOME, cit.
In una decisione specificamente relativa a misure cautelari reali, si è ribadito che, nel procedimento di riesame, l’estensione agli altri coindagati degli effetti favorevoli della decisione emessa presuppone che il procedimento incidentale si svolga in modo unitario e cumulativo, ma si è precisato che detta disciplina opera anche se i coindagati non abbiano proposto impugnazione, ovvero se l’impugnazione proposta sia stata dichiarata inammissibile, e non invece quando questa sia stata esaminata nel merito con decisione diversa ed incompatibile con quella di cui si chiede l’estensione (Sez. 2, n. 54298 del 16/09/2016, COGNOME, Rv. 268633 – 01).
Altra pronuncia, poi, ha affermato l’applicabilità in linea di principio dell’istit di cui all’art. 587 cod. proc. pen. in caso di distinti procedimenti di impugnazione di un unitario decreto di sequestro preventivo proprio richiamando il principio espresso da Sez. U, COGNOME, cit. (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 31241 del 14/09/2020, Vizzini, Rv. 279887 – 01).
Ancora, è stato recentemente ribadito anche il principio in forza del quale, in tema di effetto estensivo dell’impugnazione in materia cautelare, la
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frammentazione del procedimento derivante dalla diversità dei mezzi di impugnazione proposti non preclude l’estensione degli effetti favorevoli della decisione allorché il vizio del provvedimento cautelare sia così radicale da essere necessariamente comune a tutti i coindagati (vds. Sez. 6, n. 10809 del 08/01/2021, Iraci, Rv. 280844 – 01, relativa a misure cautelari personali).
Ad avviso del Collegio, deve essere non solo confermato il principio dell’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 587 cod. proc. pen. anch procedimenti relativi a misure cautelari reali nei confronti dei coindagati non impugnanti, ma anche precisato che detto principio comporta, in favore di costoro, sebbene rimasti estranei al giudizio di impugnazione, l’estensione della dichiarazione di incompetenza per materia o per territorio pronunciata in tale giudizio, quando attiene al medesimo reato, ed è divenuta definitiva.
4.1. Innanzitutto, non vi sono ragioni per rimettere in discussione il principio enunciato da Sez. U, COGNOME, cit. sull’applicabilità dell’istituto dell’estensi dell’impugnazione anche in materia di misure cautelari.
Lo stesso, infatti, poggia su una precisa base normativa, l’art. 61, cod. proc. pen., e risulta ormai seguito da numerose decisioni.
E, anzi, lo stesso, a maggior ragione, si impone allorché il vizio del provvedimento cautelare sia necessariamente comune a tutti i coindagati. In questa ipotesi, infatti, non viene in alcun modo in rilievo l’esigenza di assicurar al giudicante un margine di discrezionalità nella valutazione delle singole posizioni, ossia quello che, come indicato in precedenza al § 3.1, costituiva il principale argomento sistematico a fondamento della soluzione contraria. ,
ol; 4.2. Occorre poi precisare che i motivi attinenti a questionittompetenza, salvo eccezioni tassativamente previste, non solo non sono «esclusivamente personali», ma attengono anche ad un elemento necessariamente comune a tutti i coindagati.
Invero, in questa prospettiva, sia pure non con riguardo a misure cautelari, si è espressamente precisato che gli effetti della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione in merito alla eccezione di incompetenza per territorio si estendono anche ai coimputati non impugnanti (Sez. 2, n. 26771 del 25/03/20121, COGNOME, Rv. 281551 – 01).
Ma, soprattutto, e in termini generali, deve rilevarsi che le statuizioni sull competenza relative al medesimo reato attengono ad un elemento necessariamente comune a tutti i coindagati. Invero, il codice di rito prevede il concorso di persone nel reato come criterio di connessione che unifica per tutti la competenza per materia e per territorio (cfr., in particolare, gli artt. 12, 15 e cod. proc. pen.). Inoltre, secondo l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite, le regole sulla competenza derivante dalla connessione operano anche con
riferimento a procedimenti distinti, perché non sono nemmeno subordinate alla pendenza dei diversi procedimenti nello stesso stato e grado (così, in particolare, Sez. U, n. 27343 del 28/02/2013, Taricco, Rv. 255345 – 01, la quale, a base della sua conclusione, ha rimarcato che anche quello basato sulla connessione è criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza).
4.3. Va infine segnalato che l’estensione dell’impugnazione può operare solo al verificarsi dell’evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall’imputato diligente.
In proposito, è sufficiente rilevare che l’estensione dell’impugnazione di cui all’art. 587 cod. proc. pen., secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza in relazione al giudizio di merito, costituisce rimedio straordinario (cfr., per tutte, Sez. U, n. 9 del 24/03/1995, Cacciapuoti, Rv. 201305 – 01, e Sez. 1, n. 9929 del 18/02/2020, COGNOME, Rv. 278688 – 01), come tale, perciò, idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante solo al verificarsi dell’evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall’imputato diligente (Sez. 5, n. 15446 del 17/02/2004, COGNOME, Rv. 228758 – 01).
5. Deve poi precisarsi, in considerazione dello specifico rilievo formulato nella requisitoria del Procuratore generale, che la competenza a decidere sulla richiesta di estensione dell’impugnazione ex art. 587 cod. proc. pen. non spetta necessariamente al giudice che ha emesso l’originario provvedimento nei confronti del coindagato rimasto estraneo al giudizio dei cui effetti intende giovarsi.
Invero, il giudice competente a pronunciarsi sulla richiesta di revoca di una misura cautelare è esclusivamente quello presso il quale si trova il pubblico ministero che, in quel momento, ha la disponibilità degli atti (cfr. Sez. 3, n. 16463 del 08/02/2024, COGNOME, in motivazione).
5.1. In proposito, è utile premettere che, con riguardo alle richieste di revoca o sostituzione delle misure cautelari, la disciplina in tema di determinazione della competenza del giudice discende innanzitutto dal combinato disposto degli artt. 279 cod. proc. pen. e 91 disp. att. cod. proc. pen.
L’art. 279 cod. proc. pen. prevede: «Sull’applicazione e sulla revoca delle misure nonché sulle modifiche delle loro modalità provvede il giudice che procede. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari».
L’art. 91 disp. att. cod. proc. pen., rubricato «Giudice competente in ordine alle misure cautelari», recita: «Nel corso degli atti preliminari al dibattimento, provvedimenti concernenti le misure cautelari sono adottati, secondo la rispettiva
competenza, dal tribunale in composizione collegiale o monocratica, dalla corte d’assise, dalla corte di appello o dalla corte di assise di appello; dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti a norma dell’art. 590 del codice, provvede il giudice che ha emesso la sentenza; durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato».
Sulla base di queste disposizioni, la giurisprudenza costantemente afferma, in linea generale, che, in tema di misure cautelari personali, per «giudice che procede» competente ai sensi dell’art. 279 cod. proc. pen. deve intendersi, l’ufficio che ha la materiale disponibilità degli atti (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 47398 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271854-01, ma anche Sez. 3, n. 36532 del 12/05/2015, Ciminiello, Rv. 264731-01).
5.2. Con specifico riferimento alla individuazione del giudice per le indagini preliminari competente, poi, viene in rilievo l’art. 328, comma 1, cod. proc. pen.
La disposizione appena citata statuisce: «Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato provvede il giudice per le indagini preliminari».
Questa disposizione, letta in combinato disposto con quelle precedentemente riportate, fa ritenere, innanzitutto, che il giudice per le indagini prelimi competente a provvedere sulle richieste di revoca o sostituzione delle misure cautelari è esclusivamente quello del tribunale presso il quale si trova il pubblico ministero che la ha disponibilità degli atti.
Non sembra infatti plausibile escludere, in tema di revoca o sostituzione di misure cautelari, la competenza del giudice per le indagini preliminari presso il quale si trova il pubblico ministero che ha la disponibilità degli atti, in assenza disposizioni utili a sostenere tale soluzione, e quando, anzi, l’ordinamento tende a privilegiare la contiguità materiale tra giudice e atti ai fini dell’individuazione competenza in materia.
E, d’altro canto, non può postularsi un radicamento della competenza del giudice per le indagini preliminari che ha disposto la misura per la ragione che egli ha adottato tale provvedimento. Il sistema, infatti, non prevede la pendenza di alcun procedimento presso l’ufficio del giudice per le indagini preliminari fino all’esercizio dell’azione penale o alla richiesta di archiviazione.
Né, ancora, è ipotizzabile una competenza concorrente di più giudici diversi, perché questa opzione si porrebbe in contrasto con il principio del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost., in quanto consentirebbe alle parti di scegliersi il giudice.
5.3. L’art. 328, comma 1, cod. proc. pen., inoltre, induce ad escludere che il giudice per le indagini preliminari presso il quale “non” si trova il pubblico minister
che ha la disponibilità degli atti abbia il “potere” di pronunciarsi sulle richieste revoca o sostituzione delle misure cautelari precedentemente adottate.
Invero, la disposizione appena citata prevede che il giudice per le indagini preliminari provvede sulle richieste delle parti «ei casi previsti dalla legge», linea, del resto, con quanto statuito dall’art. 121, comma 2, cod. proc. pen., in forza del quale: «Sulle richieste ritualmente formulate il giudice provvede ».
E, anzi, proprio in coerenza con questi rilievi, in giurisprudenza è stato ritenuto abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere, ha disposto la sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari, successivamente alla trasmissione degli atti, a cura del pubblico ministero procedente, alla procura distrettuale, con conseguente radicamento della competenza funzionale in capo all – onnologo” giudice per le indagini preliminari, in quanto in tal modo determina una stasi processuale ai fini dell’esercizio del potere di impugnazione ad opera dell’ufficio di Procura (così Sez. 2, n. 24813 del 24/07/2020, Coretti, Rv. 279655-01).
5.4. Le conclusioni accolte non pongono sacrifici al diritto di difesa.
Invero, la richiesta di revoca o sostituzione della misura può sempre essere proposta al giudice per le indagini preliminari presso il quale si trova il pubblic ministero che ha la disponibilità degli atti, e con riguardo a tutti i profili rile tanto in tema di gravi indizi di colpevolezza, quanto di esigenze cautelari.
5.5. Le conclusioni esposte sono in linea con quanto osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 1991, la quale ha escluso che la trasmissione degli atti da parte del P.M. procedente a quello incardinato presso il giudice ritenuto competente, in difetto di pronuncia di un giudice, comporti l’applicazione della disciplina di cui all’art. 27 cod. proc. pen.
Il Giudice delle Leggi, infatti, ha evidenziato: «nemmeno può dirsi violato il diritto di difesa, che ben può essere esercitato chiedendo la revoca della misura o al giudice presso il cui ufficio è il pubblico ministero che ha ricevuto gli atti ovve qualora egli declini la propria competenza – allo stesso giudice che l’ha emessa» (Corte cost., sent. n. 262 del 1991, in motivazione, § 3).
Con queste affermazioni, sembra utile sottolinearlo, la Corte costituzionale ha anche espressamente precisato che giudice competente a decidere sulla richiesta di revoca della misura dopo la trasmissione degli atti ex art. 54 cod. proc. pen. ad altro ufficio di Procura è il «giudice presso il cui ufficio è il pubblico ministero ha ricevuto gli atti», e soltanto quando questo giudice «declini la propria competenza», il giudice che ha emesso la misura.
Una volta affermate sia l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 587 proc. pen. in caso dichiarazione di incompetenza nei procedimenti relativi a misure
cautelari reali a favore dei coindagati non impugnanti, quando la stessa attiene al medesimo reato ed è divenuta definitiva, sia la competenza del giudice presso il pubblico ministero che ha la disponibilità degli atti a pronunciarsi sull’istanza d revoca di una misura cautelare disposta da altro giudice, non solo deve essere disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, ma deve essere anche dichiarata l’inefficacia sopravvenuta del decreto di sequestro del G.i.p. nei confronti dell’attuale ricorrente.
6.1. Innanzitutto, va evidenziato che, nella specie, sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’istituto dell’estensione dell’impugnazione.
Invero: a) il sequestro preventivo è stato disposto con un unico decreto dal G.i.p. del Tribunale di Venezia sia nei confronti dell’attuale ricorrente, sia ne confronti dei due indagati che, proponendo istanza di riesame al Tribunale di Venezia, hanno ottenuto la dichiarazione di incompetenza per territorio; b) il decreto di sequestro nei confronti dell’attuale ricorrente è stato emesso con riferimento a reati ascritti tutti in concorso alla stessa e a NOME COGNOME, ossia uno de due coindagati che hanno ottenuto la dichiarazione di incompetenza per territorio (e alcuni anche in concorso con l’altro dei due coindagati); c) l’ordinanza del Tribunale del riesame di Venezia, che, in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME e dell’altro coindagato, ha dichiarato la competenza del Tribunale di Padova in ordine all’adozione del provvedimento di sequestro per i reati ascritti a quest’ultimo e al coindagato, non risulta impugnata o caducata; d) dopo la pronuncia del Tribunale del riesame di Venezia, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Venezia ha trasmesso gli atti al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Padova, ed il procedimento risulta in atto pendente davanti a quest’ultimo.
Deve perciò concludersi che: a) correttamente è stato adito con la richiesta di revoca del decreto di sequestro preventivo fondata sull’applicazione dell’istituto dell’estensione dell’impugnazione il G.i.p. del Tribunale di Padova, in quanto giudice presso il quale era incardinato l’ufficio del pubblico ministero avente, in quel momento, la disponibilità degli atti del procedimento; b) erroneamente dapprima il G.i.p. del Tribunale di Padova e poi il Tribunale del riesame di Padova hanno escluso l’applicabilità dell’istituto dell’estensione dell’impugnazione e, di conseguenza, della disciplina prevista dall’art. 27 cod. proc. pen.
6.2. Ciò posto, sulla base di quanto dispone l’art. 27 cod. proc. pen., va rilevata la cessazione di efficacia del sequestro nei confronti dell’attuale ricorrente.
Invero, a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., le misure disposte dal giudice incompetente cessano di avere effetto se, entro venti giorni dalla trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli artt. 291, 317 e 321 cod. proc. pen.
6.3. La constatazione dell’intervenuta cessazione dell’efficacia del sequestro preventivo nei confronti dell’attuale ricorrente determina l’assorbimento delle ulteriori censure, formulate nel secondo e nel terzo motivo.
Queste censure infatti, attengono, rispettivamente, alla sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora, quali requisiti per l’applicazione della misura divenuta ormai inefficace.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Dichiara l’inefficacia del decreto di sequestro del G.i.p. del Tribunale di Venezia del 27/12/2021, limitatamente alla posizione di COGNOME. Ordina la restituzione alla sola ricorrente di quanto sequestratole. Manda alla cancelleria per l’immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso in data 31/05/2024.