Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30252 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30252 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato ad Altino il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2023 della Corte d’appello di Campobasso visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/06/2022, il Tribunale di Larino dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di ricettazione continuata di due assegni bancari per essere tale reato (che era stato commesso in data anteriore e prossima al 04/06/2013) estinto per prescrizione.
Il Tribunale di Larino reputava in particolare che: a) il fatto si dovesse ritenere di particolare tenuità, ai sensi del secondo (ora quarto) comma dell’art. 648 cod. pen.; b) pertanto, il reato si prescrivesse in sei anni (corrispondenti, evidentemente, al massimo della pena edittale stabilita dal secondo – ora quarto – comma dell’art. 648 cod. pen. per la ricettazione di particolare tenuità).
Tale sentenza veniva appellata dal Procuratore generale presso la Cor d’appello di Campobasso, il quale deduceva che la particolare tenuità del fatto di ricettazione costituisce una circostanza attenuante, con la conseguenza che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, si doveva avere riguardo alla pena stabilita, per il reato non attenuato, dal primo comma dell’art. 648 cod. pen. e, quindi, alla pena di otto anni.
Con sentenza del 26/10/2023, la Corte d’appello di Campobasso, dopo avere disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ritenuto che il fatto non si potesse considerare di particolare tenuità, in riforma della sentenza del 01/06/2022 del Tribunale di Larino, dichiarava il COGNOME colpevole del reato di ricettazione continuata a lui contestato e, concesse all’imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva infraquinquennale, lo condannava alla pena di un anno di reclusione ed € 500,00 di multa.
Avverso tale sentenza del 26/10/2023 della Corte d’appello di Campobasso, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 597 dello stesso codice per avere la Corte d’appello di Campobasso «operato la valutazione di un punto della decisione di primo grado non censurato con i motivi di appello del pubblico ministero».
Il ricorrente rappresenta che il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Campobasso, nell’appello da lui proposto contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Larino, aveva impugnato esclusivamente il punto di tale sentenza relativo all’affermata estinzione del reato per prescrizione mentre non aveva impugnato il punto della stessa sentenza relativo all’affermata particolare tenuità del fatto.
Ciò rappresentato, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Campobasso, con l’escludere la particolare tenuità del fatto, avrebbe violato l’art. 597 cod. proc. pen., perché aveva «operato una valutazione di un punto su cui era precluso l’accertamento poiché non specificamente devoluto con l’atto di appello che si limitava, invece, ad impugnare il punto relativo alla dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato».
Il ricorrente afferma che, venendo qui in rilievo un appello avverso una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non potrebbero «trovare applicazione i principi giurisprudenziali in tema di appello del Pubblico Ministero avverso una sentenza di proscioglimento», in particolare, il «principio per cui l’appello del Pubblico Ministero avverso la sentenza di proscioglimento ha effetto pienamente devolutivo».
Pertanto, il punto della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità, «non essendo stato oggetto di specifica impugnazione da parte del pubblico ministero, risultava intangibile».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen. per «omessa disapplicazione della recidiva contestata; in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.’ l’omessa motivazione «in relazione all’applicazione della recidiva contestata».
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Campobasso, nel riconoscere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, avrebbe tuttavia del tutto omesso di motivare con riguardo al riconoscimento di tale circostanza aggravante soggettiva, ai fini del quale «è necessaria una attenta valutazione della gravità dell’illecito commesso in relazione alla maggior attitudine a delinquere manifestata dal reo, nonché la valutazione sulla continuità con le precedenti condanne», atteso che «olo così è giustificato un maggior intervento punitivo».
Il COGNOME rappresenta che i propri precedenti penali «sono risalenti nel tempo», sicché la sua ricaduta nell’illecito non si potrebbe ritenere sintomatica di maggiore colpevolezza e pericolosità. Ciò troverebbe conferma anche nella decisione della Corte d’appello di Campobasso di ritenere la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva e, quindi, di non applicare alcun aumento di pena per tale circostanza aggravante.
Pertanto, la Corte d’appello di Campobasso «avrebbe dovuto disapplicare la recidiva e, per l’effetto, dichiarare estinto il reato per intervenuta prescrizione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è fondato.
1.1. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno da tempo chiarito «che l’appello del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria emessa dal giudice del dibattimento, salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti dell’originaria contestazione, ha effetto “pienamente devolutivo”, attribuendo tradizionalmente al giudice ad quem gli ampi poteri decisori elencati negli artt. 515 comma 2 cod. proc. pen. 1930 e 597 comma 2 lett. b) del vigente codice di rito (Sez. Un., 31/3/2004, COGNOME, Cass. pen. 2004, 2746). Ciò comporta, da un lato, che il giudice dell’appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della motivazione della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate con i motivi di appello, e dall’altro che l’imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte
le istanze difensive che concernono la ricostruzione probatoria del fatto e la sussistenza delle condizioni che configurano gli estremi del reato, in riferimento alle quali il giudice dell’appello non può sottrarsi all’onere di esprimere le sue determinazioni» (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231675-01. Successivamente, nello stesso senso: Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, COGNOME, Rv. 268671-01).
Tali principi erano in effetti già stati enunciati dalle Sezioni unite con precedente sentenza COGNOME (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME, Rv. 227359-01), nella quale la Corte di cassazione aveva parimenti affermato che «l’appello del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria emessa dal giudice del dibattimento, salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti dell’originaria contestazione, attribuisce tradizionalmente al giudice ad quem gli ampi poteri decisori elencati nell’art. 515, comma 2, c.p.p. del 1930 e nell’art. 597 c.p.p., comma 2, lett. b) , ed ha uguale effetto “pienamente devolutivo”, secondo l’art. 428, comma 6, c.p.p., l’appello del pubblico ministero contro la sentenza di non luogo a procedere emessa dal G.u.p. . Con la conseguenza, da un lato, che il giudice dell’appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e riconsiderare anche i punti della motivazione della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica nell’atto d’impugnativa e, dall’altro, che l’imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze difensive che concernono la ricostruzione del fatto e la sussistenza delle condizioni che configurano gli estremi del reato, in riferimento alle quali il giudice dell’appello ha l’obbligo di valutazione».
1.2. Posto che tali principi devono essere senz’altro ribaditi, occorre peraltro tenere conto delle peculiarità di ciascun atto di appello del pubblico ministero.
Nel caso di specie, come si è visto nella parte in fatto, il Tribunale di Larino aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di ricettazione continuata sugli assunti che: a) il fatto si dovesse ritenere d particolare tenuità, ai sensi del secondo (ora quarto) comma dell’art. 648 cod. pen.; b) la ricettazione di particolare tenuità si prescrivesse in sei anni.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Campobasso aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Larino deducendo che la particolare tenuità del fatto costituisce una circostanza attenuante della ricettazione, con la conseguenza che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, si doveva avere riguardo alla pena stabilita dal primo comma dell’art. 648 cod. pen. – cioè alla pena di otto anni e non, quindi, alla pena di sei anni, come aveva ritenuto il Tribunale di Larino – sicché, pertanto, il reato non si era estinto p prescrizione.
Risulta quindi evidente come tale censura del pubblico ministero presupponesse la sussistenza della circostanza attenuante della particolare tenuità del fatto, con la conseguenza che il punto della decisione del giudice di primo grado concernente il riconoscimento di tale circostanza attenuante si doveva perciò ritenere, in modo parimenti evidente, non essere stato oggetto dell’impugnazione dello stesso pubblico ministero e, perciò, non essere stato devoluto alla cognizione del giudice di appello.
Da ciò discende che il rammentato effetto “pienamente devolutivo” dell’appello del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento consentiva senz’altro alla Corte d’appello di Campobasso, come essa ha fatto: a) da un lato, di ritenere – adottando una decisione che è sostanzialmente corretta, atteso che la Corte di cassazione ha da tempo chiarito che l’ipotesi attenuata prevista dall’attuale quarto comma dell’art. 648 cod. pen. non costituisce un’autonoma previsione incriminatrice ma una circostanza attenuante speciale, con la conseguenza che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, si deve avere riguardo alla pena stabilita dal primo comma del suddetto articolo (Sez. 2, n. 14767 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 269492-01; Sez. 2, n. 4032 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 254307-01; Sez. 2, n. 38803 del 01/10/2008, COGNOME, Rv. 24145001) – che il contestato reato di ricettazione non si fosse estinto per prescrizione; b) dall’altro lato, di disporre la riapertura dell’istruttoria dibattimental ricostruire il fatto, di qualificarlo giuridicamente e di condannare l’imputato per reato di ricettazione dei due assegni.
Il suddetto effetto devolutivo dell’appello del pubblico ministero, ancorché “pieno”, non consentiva invece, nella presente fattispecie, alla Corte d’appello di Campobasso di ritenere che il fatto di ricettazione da essa attribuito all’imputato non fosse di particolare tenuità e, quindi, di negare la sussisi:enza della relativa circostanza attenuante di cui all’allora secondo comma dell’art. 648 cod. pen., atteso che, come si è detto, il punto della decisione del giudice di primo grado concernente il riconoscimento di tale circostanza attenuante non era stato oggetto di censura da parte del pubblico ministero appellante e non era, perciò, stato devoluto alla cognizione della stessa Corte d’appello.
Con l’escludere la stessa circostanza attenuante, la Corte d’appello di Campobasso è pertanto incorsa nel denunciato vizio di ultrapetizione (in ordine al quale, sempre relativamente all’appello del pubblico ministero, vedi Sez. 2, n. 35011 del 09/06/2010, Scalzo, Rv. 248180-01, la quale ha affermato il principio secondo cui viola il divieto di reformatio in peius il giudice d’appello il quale, chiamato a pronunciarsi su impugnazione del pubblico ministero che contesti il riconoscimento all’imputato delle attenuanti generiche e il giudizio di equivalenza di esse rispetto alla recidiva, aggravi la pena inflitta dal primo giudice, senza che
ne sia stata censurata dall’impugnante anche la quantificazione, in guanto il suo potere si esaurisce con la conferma o la negazione delle attenuanti concesse in primo grado e con la formulazione del giudizio di bilanciamento delle circostanze, sicché la nuova determinazione della pena integra un’ipotesi di ultrapetizione).
Da quanto si è detto discende pertanto che il fatto di ricettazione attribuito all’imputato deve essere (ri)qualificato, come era stato fatto dal Tribunale di Larino, come ricettazione di particolare tenuità ex art. 648, quarto comma, cod. pen.
Anche il secondo motivo è fondato.
Si deve premettere che il Collegio condivide l’orientamento della Corte di cassazione secondo cui l’interesse dell’imputato a impugnare la sentenza che ha riconosciuto la recidiva sussiste anche nel caso in cui non sa conseguito alcun aumento di pena per effetto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti (come è avvenuto nella specie). Ciò in quanto tale circostanza aggravante esplica comunque i suoi effetti sia con riguardo alla concessione dei benefici penitenziari, sia in relazione alle condizioni per la riabilitazione, sia rispetto all’estinzione de pena per effetto del decorso del tempo (Sez. 2, n. 14653 del (17/03/2024, R., Rv. 286209-01).
Tanto COGNOME premesso COGNOME in ordine all’interesse all’impugnazione, quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 27478201). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tr
fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 270419-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Campobasso ha applicato la recidiva senza fornire alcuna motivazione, negli adeguati necessari 1:ermini che si sono detti, in ordine alle ragioni della ritenuta sussistenza di tale circostanz aggravante, essendosi in proposito limitata ad affermare che: «ossono concedersi al COGNOME le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, attesa, in particolare, l’esigenza di adeguare la pena all’oggettiva gravità del fatto» (pag. 3 della sentenza impugnata).
Pertanto, il fatto deve essere qualificato ex art. 648, quarto comma, cod. pen., e la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per un nuovo giudizio su tale punto alla più vicina Corte d’appello di Salerno.
Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., nel dispositivo, deve essere dichiarata l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità.
Ciò in quanto, anche senza considerare la contestata recidiva, tenuto conto delle sospensioni del corso della prescrizione durante il giudizio di primo grado che risultano dalla scheda di cui all’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen. (da 16/12/2015 al 22/06/2016, giorni 189, per impedimento del difensore; dal 24/05/2017 al 14/02/2018, giorni 266, per adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze; dal 07/10/2018 al 22/05/2019, giorni 196, per impedimento del difensore; dal 04/12/2019 al 18/11/2020, giorni 350, per adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze), il reato non è, a oggi, prescritto.
P.Q.M.
Qualificato il fatto ex art. 648, comma quarto, cod. pen., annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d’appello di Salerno. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Così deciso il 13/06/2024.