Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44502 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44502 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Sciacca il 24/02/1963;
avverso la ordinanza del Tribunale di Palermo del 26/07/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il difensore avv. NOME COGNOME il quale ha dichiarato di non avere ricevuto la requisitoria scritta del P.G. senza nulla opporre e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del riesame, ha respinto l’impugnazione ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 4 luglio 2024, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziato dei delitti previsti e punit dagli artt. 416-bis e 416-ter cod. pen.
L’imputazione provvisoria riguardava i seguenti reati: 1) art. 416-bis, commi I, II, III, IV e VI cod. pen. per fatto parte – unitamente ad altri associati (tra c NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e numerosi altri soggetti) dell’associazione mafiosa Cosa nostra e dunque avvalendosi, insieme, della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti (contro l’incolumità individuale, la libertà personale e il patrimonio) per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri, per intervenire sulle istituzioni e la pubbl amministrazione. In particolare, a NOME COGNOME veniva contestato di avere promosso, diretto e organizzato la famiglia mafiosa di Sciacca, in questo ruolo impartendo direttive, presiedendo riunioni e incontri con gli altri associati e gestendo tutte le relative attività e affari illeciti, assicurando il collegamento con altre articolazioni territoriali di Cosa nostra e controllando le attività economiche sul territorio. Con la recidiva di cui all’art. 99, comma secondo n.1, cod. pen. In Sciacca e altre località della provincia di Agrigento e del territorio nazionale dal 19 giugno 2019 e con condotta perdurante; 2) art. 416-ter, comma II, cod. pen. per avere, in qualità di appartenente all’associazione mafiosa Cosa nostra, promesso di procurare voti a NOME COGNOME candidato alle elezioni per la nomina del consiglio comunale di Sciacca, nonché per avere promesso di procurarli mediante le modalità di cui all’art. 416-bis cod. pen. Con la recidiva di cui all’art. 99, comma II n.1., cod. pen. In Sciacca in data anteriore e prossima al 12 giugno 2022 e fino al 12 giugno 2022. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale di Palermo ha respinto la richiesta di riesame confermando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato per i reati oggetto di imputazione provvisoria, nonché le esigenze cautelari.
Inoltre, il giudice del riesame ha ritenuto infondata l’eccezione difensiva di inutilizzabilità degli atti investigat svolti successivamente all’8 ottobre 2021 poiché il Pubblico ministero avrebbe duplicato l’iscrizione della notizia di reato a carico dell’indagato (effettuata la prima volta 1’8 ottobre 2019), ponendo così le premesse perché venisse utilizzato surrettiziamente e in violazione dell’art. 407 cod. proc. pen., un secondo biennio di indagine dopo quello esauritosi nell’ottobre del 2021.
Avverso la sopra indicata ordinanza l’indagato per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza degli artt. 335, 405 e 407 del codice di rito ed il relativo vizio di motivazione per la mancata declaratoria di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni (ambientali, telefoniche e telematiche) disposte nel procedimento di cui all’elenco allegato al verbale di udienza e dell’annotazione di indagine della Guardia di Finanza del 24 novembre 2023; al riguardo osserva che tali violazioni avrebbero dovuto senz’altro determinare l’annullamento del provvedimento adottato dal Giudice per le indagini preliminari, ma che ciò nonostante il Tribunale ha respinto la richiesta di riesame senza fornire adeguata risposta alle censure da lui sollevate.
2.2. Egli ribadisce che la sua prima iscrizione nel registro degli indagati per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (commesso in Sciacca e altri luoghi della provincia di Agrigento dal luglio 2019 con condotta perdurante) risaliva al giorno 8 ottobre 2019 nell’ambito del procedimento n. 8684/2017 r.g.n.r. (successivamente iscritto al n.15207/2022); dalla data della iscrizione la Guardia di Finanza aveva svolto attività investigative sul conto di NOME COGNOME ottenendo l’autorizzazione ad effettuare intercettazioni.
Tali indagini erano durate circa due anni e, in particolare, dopo numerose proroghe le intercettazioni erano cessate alla data dell’8 ottobre 2021, vale a dire esattamente due anni dopo l’iscrizione, termine massimo ex art. 407 cod. proc. pen.
2.3. Alla scadenza di detto termine il Pubblico ministero anziché adottare uno dei provvedimenti previsti (chiedere l’archiviazione oppure chiudere le indagini e richiedere una misura cautelare) aveva effettuato una nuova iscrizione nel registro degli indagati a carico del Friscia in data 14 ottobre 2021 per analogo reato commesso dal 10 ottobre 2021 in Sciacca e altri luoghi della provincia di Agrigento, sempre nell’ambito del procedimento penale n. 8684/2017 r.g.n.r.
Il ricorrente osserva che da quel momento, con riferimento al medesimo procedimento penale e in ordine allo stesso reato, era stata svolta una ulteriore attività di indagine mediante pedinannenti, video sorveglianza ed attività di intercettazione autorizzata con appositi decreti; una volta terminata l’indagine sul conto del predetto (durata quattro anni circa) la Guardia di Finanza aveva provveduto a trasmettere in data 24 novembre 2023 all’ufficio del P.M. l’annotazione di indagine denominata ‘Porto Sicuro’, alla quale erano stati allegati tutti gli atti di indagine compiuti nel quadriennio 2019-2023.
A seguito di ciò il Pubblico ministero aveva ipotizzato la commissione di due reati da parte dell’odierno ricorrente (art. 416-bis cod. pen. commesso in Sciacca ed altri territori dal 19 giugno 2019, art. 416-ter cod. pen. commesso in Sciacca il 12 giugno 2022).
Secondo il ricorrente, quindi, il Pubblico ministero ha violato il termine fissato dall’art. 407 del codice di rito, duplicando l’iscrizione della medesima notizia di reato utilizzando illegittimamente un altro biennio di indagini dopo quello esauritosi 1’8 ottobre 2021, con la conseguenza che il provvedimento cautelare, quanto ad entrambe le imputazioni provvisorie, era fondato su atti di indagini che erano in realtà inutilizzabili perché compiuti successivamente alla scadenza del primo biennio; tale principio, precisa il ricorrente, vale anche nel caso di reato permanente quale l’associazione di stampo mafioso.
L’indagato, inoltre, evidenzia che l’informativa della Guardia di Finanza del 24 novembre 2023, in forza della quale il Pubblico ministero aveva chiesto ed
ottenuto l’emissione della custodia cautelare, era inutilizzabile perché essa richiamava atti di indagine commessi sia nel primo che nel secondo biennio, intrecciandoli tra di loro al fine di attribuire rilievo investigativo ai primi.
Infine, nel corso della discussione in camera di consiglio, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Occorre premettere, al fine di identificare con precisione la normativa applicabile, che, tenuto conto della data in cui sono state eseguite le iscrizioni delle quali si tratta, entrambe antecedenti al 30 dicembre 2022 (data di entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150: art. 99-bis dello stesso decreto), non sono applicabili le disposizioni degli art. 335-quater, 407-bis e 415-ter cod. proc. pen., come introdotte dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2022 (v. art. 88-bis dello stesso decreto).
Ciò posto, occorre tenere distinti vari profili che nella prospettazione difensiva vengono sovrapposti in contrasto con la lettera e il significato delle varie disposizioni richiamate.
3.1. Va, senz’altro, ribadito, in primo luogo, che, in caso di reato permanente, i termini di durata delle indagini preliminari e delle successive proroghe sono quelli stabiliti dagli artt. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen., collegati ad ineludibili garanzie per il soggetto indagato, con la conseguenza che non può mai superarsi il termine massimo biennale di cui all’art. 407, comma 2, cod. proc. pen. (v., ad es., di recente Sez. 6, n. 12080 del 15/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 285364 – 01).
Tale principio, tuttavia, non può condurre ad ignorare che, sul piano logico giuridico, possono essere configurati diversi segmenti temporali del reato permanente che assumono rilievo non nel senso di incidere sulla natura unitaria dell’illecito di durata, ma sul piano del concreto e frazionato accertamento
giurisdizionale di condotte che ben possono protrarsi anche al di là di eventi idonei a interrompere la permanenza (per una puntuale ricostruzione del fenomeno, v., ad es., Corte cost., sent. n. 53 del 2018, che ne trae coerenti conseguenze di garanzia, quanto all’applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen., al fine di modulare la risposta sanzionatoria in termini di proporzionalità).
3.2. Coerentemente con tale premessa, si è, ad es., ritenuto che, nell’ipotesi di reato permanente, l’archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l’esercizio dell’azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell’illecito limitatamente ai segmenti temporali successivi all’archiviazione (Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264923 – 01, che ne trae la conseguenza per la quale la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell’art. 414 cod. proc. pen. colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell’indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benché collegati con i fatti oggetto della precedente indagine; nello stesso senso, v. anche Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 270221 – 0).
3.3. Da tali affermazioni discende che, in tali ipotesi, venendo in rilievo fatti successivi, ancorché collegati con i fatti precedentemente iscritti, viene a modificarsi il momento consumativo del reato con la conseguenza che non si fa luogo ad un “aggiornamento” dell’iscrizione, ma si procede ad una nuova iscrizione con conseguente spostamento in avanti del ‘dies a quo’ dell’iscrizione (ed è appena il caso di rilevare che la qualificazione giuridica degli atti del procedimento penale non può che essere condotta alla stregua di criteri oggettivi e non dei soggettivi convincimenti del Pubblico ministero, con la conseguenza che di “aggiornamento” si può parlare sono nei casi, previsti dall’art. 335, comma 2, cod. proc. pen., di mutamento della qualificazione giuridica del fatto o quando quest’ultimo risulti diversamente circostanziato).
3.4. In secondo luogo, l’eventuale inerzia del Pubblico ministero nell’assumere le sue determinazioni rispetto all’esercizio dell’azione penale – questione che ha indotto successivamente il legislatore a intervenire più volte al fine di introdurre finestre di giurisdizionalizzazione, accompagnate dallo strumento dissuasivo (si veda, al riguardo, il testo attuale dell’art. 415-quater cod. proc. pen.): ma si
tratta di disciplina inapplicabile ‘ratione temporis, per quanto detto in principio certamente non comporta la conseguenza dell’inutilizzabilità degli atti delle indagini svolte sino alla scadenza del termine previsto dall’art. 405 cod. proc. pen. con riferimento al segmento di condotta del reato permanente cui si riferiscono. Né, siffatta inerzia, può essere equiparata, in difetto di una previsione di legge, ad un provvedimento di archiviazione: ciò, in disparte quanto sopra rilevato, a proposito della non necessità, per indagare sui segmenti successivi, di un provvedimento di riapertura delle indagini ai sensi dell’art. 414 cod. proc. pen.
4. Ne discende la piena compatibilità ai superiori principi della decisione, valorizzata dall’ordinanza impugnata (Sez. 6, n. 10687 del 18/01/2023, COGNOME, n. m.), la quale ha condivisibilnnente rilevato che, laddove, nel corso di un’attività investigativa già avviata in relazione ad un dato reato permanente (ma lo stesso vale per quelli abituali e, comunque, per tutti quelli la cui condotta si protragga nei tempo), successivamente alla scadenza del termine legale emergano nuove circostanze attestanti il perdurare della condotta delittuosa dell’indagato, nulla vieta al Pubblico ministero di procedere ad una nuova iscrizione per lo stesso reato e nei confronti della medesima persona.
Per un verso, infatti, nessuna norma del codice di rito lo impedisce. Per l’altro, qualora dalle indagini in corso emergessero elementi di perdurante attualità della condotta delittuosa anche dopo il termine massimo delle stesse (come nel caso dell’ulteriore protrarsi della partecipazione del singolo al sodalizio mafioso), si dovrebbe giungere alla paradossale conseguenza di imporre al Pubblico ministero la chiusura delle indagini già avviate e l’esercizio dell’azione penale per quel reato fino a tale data, nonché, al contempo, l’apertura di un nuovo procedimento per lo stesso reato e verso la stessa persona dalla stessa data in poi, al quale dovrebbero rimanere estranee le acquisizioni istruttorie del procedimento chiuso, potendo queste “ricongiungersi” alle nuove risultanze probatorie soltanto nell’eventualità di ulteriore esercizio dell’azione penale anche per la condotta successiva e di riunione dei due processi derivatine o, in alternativa, di trasmigrazione probatoria e documentale tra processi, secondo il meccanismo delineato dagli artt. 238 e 238-bis, cod. proc. pen.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento dell spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.; la cancelleria cure adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2024.