Durata Custodia Cautelare: L’Importanza del Reato Associativo
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 11794 del 2024, chiarisce un aspetto cruciale in tema di durata custodia cautelare per chi è indagato per reato associativo. La Corte ha stabilito che, per determinare il termine massimo della detenzione preventiva, si deve guardare alla natura dell’associazione e ai reati che essa si prefigge di commettere, e non solo ai singoli crimini contestati al singolo membro. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un soggetto, indagato per partecipazione a un’associazione a delinquere (oltre ad altri reati come la ricettazione), si trovava in regime di custodia cautelare in carcere. Il Tribunale di Verona, in sede di appello, aveva confermato la misura per il solo reato associativo, ritenendo applicabile il termine di fase massimo di un anno previsto dall’art. 303 c.p.p.
La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il termine corretto dovesse essere quello più breve di sei mesi. L’argomentazione difensiva si basava su due punti: l’indagato non era mai stato arrestato in flagranza e, soprattutto, i reati-fine a lui specificamente contestati (ricettazione) non rientravano tra quelli che giustificano il termine di un anno. Secondo la difesa, poiché non gli era stata contestata la rapina aggravata (reato per cui l’arresto è obbligatorio e che avrebbe giustificato il termine lungo), la misura avrebbe dovuto perdere efficacia dopo sei mesi.
La Questione sulla Durata Custodia Cautelare
Il nucleo della questione giuridica verteva sull’interpretazione delle norme che regolano la durata custodia cautelare. La legge prevede un termine di fase di un anno quando si procede per alcuni delitti particolarmente gravi, tra cui il reato di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di crimini per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Il ricorrente sosteneva una lettura “soggettiva”: la durata della misura doveva essere parametrata sui reati concretamente addebitati a lui. Il Tribunale prima, e la Cassazione poi, hanno invece adottato un’interpretazione “oggettiva”, focalizzata sulla natura e sulla pericolosità dell’associazione nel suo complesso.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo generico e incapace di confrontarsi con la solida motivazione del Tribunale. Nel merito, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il reato associativo è autonomo e distinto dai singoli reati-fine.
La norma che estende la durata della custodia cautelare a un anno si applica quando il reato associativo contestato ha per oggetto la commissione di delitti gravi (come le rapine), per i quali l’arresto in flagranza è obbligatorio. La Corte ha chiarito che è irrilevante che al singolo associato non sia stato specificamente contestato quel delitto grave. Ciò che conta è che tale delitto rientri nel “programma criminoso” del sodalizio di cui l’indagato fa parte.
In altre parole, la pericolosità che giustifica un termine di detenzione più lungo deriva dalla natura stessa dell’associazione e dai suoi obiettivi, non dal ruolo o dalle azioni specifiche di ogni singolo membro. L’appartenenza a un gruppo criminale che progetta rapine è sufficiente a far scattare il termine di un anno, anche se al soggetto vengono contestati solo reati minori come la ricettazione.
Le Conclusioni
Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Le implicazioni sono chiare: per chi è accusato di far parte di un’associazione a delinquere, la durata custodia cautelare non sarà valutata solo sulla base dei reati-fine personalmente commessi, ma sulla base della gravità complessiva del progetto criminale del gruppo. Questo principio rafforza gli strumenti a disposizione della magistratura per contrastare la criminalità organizzata, sottolineando come la pericolosità sociale derivi dall’esistenza stessa del vincolo associativo, prima ancora che dalla commissione dei singoli delitti.
Come si calcola la durata massima della custodia cautelare per un membro di un’associazione a delinquere?
La durata si basa sui reati che l’associazione intende commettere. Se il programma criminale include delitti gravi per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (es. rapina), il termine di fase può essere di un anno.
Se a un membro dell’associazione non viene contestato il reato più grave previsto dal programma, la durata della sua custodia cautelare diminuisce?
No. Secondo questa sentenza, è irrilevante che al singolo membro non sia stato contestato il delitto più grave. Ciò che determina il termine di un anno è la natura e lo scopo dell’associazione nel suo complesso, essendo il reato associativo autonomo rispetto ai singoli reati-fine.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico. La difesa si è limitata a ripetere le argomentazioni già presentate in appello, senza confrontarsi specificamente e criticamente con le motivazioni giuridiche esposte nell’ordinanza del Tribunale che aveva confermato la misura.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11794 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11794 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
MAKAWITAGE NOME Nato in Sri Lanka il DATA_NASCITA
Avverso l’ordinanza resa il 22 novembre 2023 dal Tribunale di Verona.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Verona ha parzialmente accolto l’appello proposto nell’interesse dell’odierno ricorrente avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di declaratoria di inefficacia della misura della custodia cautelare in carcere disposta il 13 ottobre 2023 dal GIP del Tribunale di Verona e per l’effetto ha dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare in ordine ai reati contestati ai capi D, 0,P, S e T dell provvisoria imputazione, confermando tuttavia la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato associativo contestato al capo A dell’imputazione.
Il tribunale ha infatti rilevato che l’art. 303 cod.proc.pen. prevede il più lungo termin di fase per l’efficacia della misura cautelare / di un anno lquando si proceda per i delitti previsti dall’art. 407 comma due lett. A cod.proc.pen., il quale a sua volta menziona l’articolo 416 cod.pen. nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza.
2.Avverso detto provvedimento propone ricorso il difensore deducendo vizio di motivazione poiché il tribunale avrebbe dovuto dichiarare la perdita di efficacia della misura della custodia cautelare anche in relazione al all’imputazione associativa contestata al capo A in quanto l’indagato non è mai stato arrestato in flagranza, perché l’arresto avveniva il 17 Marzo 2023, e gli venivano contestati oltre al reato associativo, quali reati fini della associazione, soltanto le ricettazioni e le detenzioni illecit sostanze stupefacente. Poiché all’assistito non è stato contestato alcun delitto di rapina aggravata non è corretto fare riferimento al più lungo termine di fase di un anno in relazione al reato associativo, ma si deve fare riferimento esclusivamente al termine di sei mesi dal momento che il reato fine dell’associazione a delinquere contestato all’odierno ricorrente è soltanto quello di ricettazione, che non è contemplato nella lettera M dell’articolo 380 cod.proc.pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La censura è generica poiché si limita a reiterare quanto dedotto con l’atto di appello senza confrontarsi con la specifica motivazione resa al riguardo dal tribunale che ha respinto l’assunto difensivo evidenziando come il tenore letterale della norma stabilisce che il termine di fase di un anno decorre nell’ipotesi in cui sia contestato il reat associativo, quando sussiste l’obbligo dell’arresto in flagranza. Nel caso in esame l’associazione contestata aveva per oggetto, oltre agli specifici reati fine di cui si è res responsabile l’odierno ricorrente, anche i delitti di rapina relativamente ai quali l’arrest in flagranza è obbligatorio. Non residuano pertanto dubbi che anche nei confronti dell’odierno ricorrente, indiziato per il reato associativo, il termine di fase matura in u anno non rilevando il fatto che al ricorrente non sia stato contestato il delitto di rapina in ragione della evidente alterità del reato associativo e dei reati fine.
Il ricorrente non si confronta con questa motivazione e non la censura in base a ragioni specifiche, sicché la doglianza non supera il vaglio di ammissibilità e impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria pe gli adempimenti di cui all’art. 94 cornma 1 ter disp.att. cod.proc.pen.
Roma 21 febbraio 2024