Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21044 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21044 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME] NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la»relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5.7.2023, la Corte di appello di Milano, per quanto qui interessa, in parziale riforma della sentenza di primo grado – emessa con rito abbreviato – ha assolto NOME dai reati di cui ai capi H) e Q), riducendo la pena e confermando nel resto la condanna del medesimo per i restanti reati di cui all’art. 73, d.P.R. 309/90, meglio descritti in rubrica.
Sulla base di quanto ricostruito nelle sentenze di merito, il procedimento in esame trae origine dalle indagini del RAGIONE_SOCIALE, avviate da una segnalazione concernente un soggetto di nazionalità albanese di nome NOME, identificato in COGNOME, indicato come coinvolto in considerevoli attività di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e marijuana nell’area di RAGIONE_SOCIALE. A seguito di attività tecniche di intercettazioni telefoniche e ambientali, anche con l’installazione di telecamere per le riprese video e di rilevatori gps sui veicoli usati dal COGNOME e dagli altri soggetti identif nel corso delle indagini, tra i quali i coimputati NOME COGNOME (detto COGNOME) e NOME COGNOME COGNOMEdetto COGNOMECOGNOME, gli inquirenti ricostruivano i traffici di stupefacen gestiti dal NOME con l’ausilio dei predetti coimputati, questi ultimi rei confes oltre che con l’aiuto di altro coimputato, COGNOME NOMENOME NOME indagini consentivano di individuare alcuni luoghi isolati (anche in aree boschive) e gli immobili utilizzati dagli imputati per occultare lo stupefacente, nonché di monitorare gli incontri con alcuni acquirenti e procedere a sequestri di cocaina, così riscontrando il contenuto delle conversazioni intercettate e attribuire univoco significato al linguaggio criptico talvolta utilizzato dai prevenuti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte territoriale ha ritenuto incontestabile il ruolo svolto dal NOME “dominus” dell’attività di spaccio condotta per suo conto da NOME e NOME e, quindi, il suo ruolo di concorrente morale e materiale in tutti i reati contestati concorso con i predetti soggetti. Ha ammesso che da alcune conversazioni intercettate parrebbe evincersi che NOME e NOME, in alcune occasioni, spacciassero droga anche autonomamente, ma ha osservato che ciò non era incompatibile con l’assunto accusatorio, pienamente riscontrato dagli elementi emersi, convergenti nel senso che costoro lavoravano alle dipendenze del COGNOME, di cui eseguivano gli ordini, sia provvedendo all’occultamento o spostamento delle sostanze stupefacenti, sia retrocedendo al COGNOME i profitti delle cessioni d droga da loro materialmente eseguite, venendo da costui retribuiti per l’attività illecita svolta per suo conto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, sotto plurimi profili, di seguito sintetizzati.
Nella ricostruzione del ricorrente quale “dominus” dell’attività di spaccio materialmente eseguita da NOME e NOME, la Corte territoriale non ha tenuto conto del colloquio intercorso il 10.1.2021 tra NOME e un uomo poi identificato per NOME COGNOME, durante il quale NOME rivendica il fatto di lavorare da solo, senza fare menzione del NOME quale suo “capo”. Dall’intercettazione progr. 185 del 14.12.2020 (citata a pag. 39/40 della sentenza impugnata) NOME parla degli utili che ricava dall’attività di spaccio, eccessivi per uno stipendiato. Anch dall’intercettazione di cui al progr. 1967 del 5.3.2021 COGNOME calcola una spesa chiaramente incongrua per due presunti stipendiati ma non per soggetti che svolgono autonomamente attività illecita. Altra intercettazione rilevante è quella di cui al progr. 168 del 13.12.2020, ove NOME risponde che NOME (appellativo del ricorrente) “non c’entra adesso niente”.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha effettuato una lettura parcellizzata delle emergenze processuali, evitando di analizzare e di spiegare, a risposta delle obiezioni difensive, quanto non convergente con il convincimento soggettivo in ordine al presunto ruolo svolto dal ricorrente nella vicenda in esame. Le richiamate dichiarazioni rese dagli acquirenti di sostanza stupefacente non hanno valore dimostrativo del ruolo del prevenuto, in quanto derivanti da vere e proprie “voci correnti tra il pubblico” di cui non si deve tenere conto. I ruolo del COGNOME è stato illogicamente ricavato anche da alcuni tentativi di chiamata e messaggi pervenuti sul cellulare da questi utilizzato, nonché da altri colloqui intercettati ma illogicamente interpretati, specificamente indicati nel ricorso.
Le censure vengono poi sviluppate sui singoli capi di imputazione sub A), B), C), D), E), G), I), 3), L), M), P), su cui ci si soffermerà nel “ritenuto in diritto
Infine, il ricorrente lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., per omessa valutazione del leale comportamento processuale del ricorrente, il quale, pur da latitante, ha scelto di difendersi nel processo.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato con riferimento ai reati di cui ai capi B), C), D), E specificati nel capo di imputazione, mentre non può trovare accoglimento con riferimento ai restanti capi.
Si deve premettere, in linea generale, che qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta ch conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Rv. 270299 – 01). Inoltre, è stato condivisibilnnente osservato come la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti possa essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita e nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti in denaro altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualit e tipologie della droga movimentata (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, Rv. 279251 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella specie, il percorso motivazionale della sentenza impugnata, con specifico riferimento ai reati di cui ai capi dianzi indicati (B-C-D-E), presenta evidenti vizi logici e travisamenti che sono stati compiutamente e fondatamente segnalati dalla parte ricorrente.
Sotto questo profilo, in linea generale si può già affermare come le relative argomentazioni offerte dalla Corte territoriale sui detti reati non siano rispettose del criterio di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, dettato dall’art. 5 cod. proc. pen., unico criterio valutativo che può legittimamente fondare una condanna penale nel nostro sistema processualpenalistico.
Quanto al capo B (illecita detenzione, presso l’appartamento sito a RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO, di un panetto di sostanza stupefacente
“verosimilmente” del tipo cocaina, del peso lordo di Kg. 1, in data 12.12.2020), si osserva quanto segue.
4.1. L’affermazione di responsabilità si fonda sul rilievo che il NOME venne visto giungere a RAGIONE_SOCIALE, alla guida dell’autovettura Audi Al, in INDIRIZZO, ed ivi arrestare la marcia. Dal lato passeggero scendeva dal veicolo NOME COGNOME, “il quale reggeva in mano una confezione che, per forma, dimensione, lunghezza e larghezza, risultava, ragionevolmente, essere un panetto di cocaina del peso di 1,00 Kg, opportunamente celato”. Secondo i giudici, “sviluppi successivi” conseguenti alle intercettazioni disposte, avevano consentito di accertare che “gli imputati utilizzavano anche quell’appartamento (…) come luogo sicuro di deposito delle sostanze stupefacenti destinate ai futuri commerci. Le dimensioni del pacco – molto ridotte rispetto alle dimensioni delle scatole trovate dagli operatori nel box di INDIRIZZO e contenenti residui di marijuana inducono logicamente a ritenere che si trattasse di cocaina e non di droga leggera, essendo stato comunque accertato che gli imputati trafficavano soltanto questi due tipi di sostanza”.
4.2. L’illogicità di tale motivazione emerge dalla considerazione che la consistenza e natura del contenuto del pacco in questione viene desunta soltanto da elementi estrinseci, riguardanti forma e dimensione della confezione, che non danno alcuna certezza non soltanto in ordine al peso e al tipo di droga (cocaina) di cui si ipotizza la detenzione, ma addirittura in ordine alla stessa esistenza della sostanza stupefacente in quel momento detenuta. In altri termini, dalla mera tipologia della confezione non appare lecito desumere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che in quel momento il pacco contenesse un chilo di cocaina, non essendo stati indicati ulteriori elementi specifici, al di là della generica attiv delinquenziale di traffico di stupefacenti commessa dal prevenuto, per dare consistenza probatoria a tale affermazione. È evidente, infatti, che l’affermazione secondo cui gli imputati trafficavano cocaina e marijuana non può significare che ogni confezione da essi trasportata contenesse immancabilmente sostanza stupefacente, in assenza di riscontri oggettivi nel caso neanche indicati.
4.3. Si deve anche evidenziare la carenza motivazionale della decisione in disamina, laddove ha del tutto omesso di rispondere al motivo di appello proposto, sul punto, dalla difesa del ricorrente, nella parte in cui aveva segnalato che, visionando le immagini riportate a pag. 332 della Comunicazione notizia di reato, “occorre un vero e proprio atto di fede per ritenere provato che quello portato da NOME sia un panetto, tanto più di cocaina, tenuto conto che si vede in primo piano un oggetto di colore marrone scuro (che sembra un borsello di cuoio) e poi un grande foglio bianco che non lascia trasparire affatto il suo contenuto”.
4.4. Osserva, inoltre, fondatamente la difesa come nel caso non si possa nemmeno discorrere di “droga parlata”, attesa la riscontrata assenza di intercettazioni di eventuali conversazioni dell’imputato o del COGNOME in cui costoro facciano riferimento a stupefacente trasportato e depositato in quell’occasione nell’appartamento di INDIRIZZO.
Quanto al cap C (illecita detenzione, presso l’appartamento sito a RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO, di sostanza stupefacente “verosimilmente” del tipo marijuana, del peso lordo di Kg. 20 circa, materialmente ceduta a COGNOME NOME da NOME in data 24.12.2020) e al capo D (illecita detenzione, presso l’appartamento sito a RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO, di sostanza stupefacente “verosimilmente” del tipo marijuana, del peso lordo di Kg. 20 circa, materialmente ceduta a COGNOME NOME da NOME COGNOME in data 30.12.2020), si osserva quanto segue.
5.1. L’affermazione di responsabilità per i due fatti criminosi in questione si fonda su quanto immortalato dalla telecamera installata nei locali seminterrati del condominio di INDIRIZZO. Dalla visione delle immagini la Corte territoriale desume “la cessione di sostanza stupefacente verosimilmente del tipo marijuana, del peso loro di circa 20,00 Kg, avuto riguardo a dimensione e forma della busta consegnata, effettuata da NOME COGNOME in favore di COGNOME NOME” (capo C); stessa scena viene ripetuta qualche giorno dopo (capo D), quando il COGNOME si reca con la propria autovettura Fiat 500 in INDIRIZZO ed entra per accedere ai box del condominio di RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, con il COGNOME presente come passeggero, il quale scende dalla vettura, dirigendosi verso la porta di accesso del condominio, per poi fare ritorno e consegnare al COGNOME “una borsa di colore blu, verosimilmente contenente sostanza stupefacente”. Opina la Corte territoriale che “le modalità operative e le cautele adottate confermano, ancora una volta, che il box e l’appartamento di INDIRIZZO erano impiegati dalla compagine criminale quale deposito di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, destinata ad essere commercializzata”. Anche per l’episodio criminoso del 30.12.2020 la Corte di merito ritiene dimostrata “la detenzione di sostanza stupefacente verosimilmente del tipo marijuana, complessivamente pari a circa 20 kg o, in ogni caso, per un quantitativo palesemente consistente, avuto riguardo a dimensione e forma della busta consegnata da NOME a COGNOME NOME“.
5.2. Oltre alla considerazione in ordine alla illogicità della suddetta motivazione, laddove fa discendere il contenuto illecito della busta consegnata da forma e dimensione della stessa (per cui si rimanda a quanto già argomentato nel precedente par. 4.2), nello specifico la difesa ha fondatamente segnalato un
vero e proprio travisamento della prova da parte dei giudici milanesi, nella parte in cui è stato desunto che la busta contenesse marijuana, per come risultante opinano i giudici – dall’esito della perquisizione domiciliare eseguita dalla polizia giudiziaria in data 16.3.2021, allorquando nello stesso box furono rinvenute “diverse scatole di cartone contenenti residui di quella tipologia di sostanza stupefacente”. Ebbene, dal processo verbale di sequestro allegato in ricorso si evince che all’interno delle scatole di cartone vuote rinvenute nel box non furono affatto riscontrati “residui” di marijuana, bensì, in altra zona del locale, sotto n. gomme per auto, alcuni involucri contenenti pochi grammi di marijuana. Né i giudicanti hanno dato conto in motivazione di specifici accertamenti volti a dimostrare che quei cartoni avessero contenuto in precedenza quella specifica tipologia di sostanza stupefacente.
5.3. Anche in questo caso va, inoltre, evidenziata la carenza motivazionale della sentenza impugnata, laddove non fornisce puntuali risposte ai motivi di impugnazione avanzati in sede di gravame di merito dalla difesa dell’imputato sugli episodi in questione; nonché l’assenza o, comunque, la mancata indicazione di ulteriori riscontri oggettivi (sequestro, intercettazioni in cui si parla di cessioni, verifiche sull’inserimento del COGNOME in ambienti dediti al traffico stupefacenti) idonei a dare motivata contezza in ordine alla effettiva sussistenza dei fatti illeciti in riferimento.
Quanto al capo E (illecita detenzione, presso l’appartamento sito a RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO, di sostanza stupefacente “verosimilmente” del tipo marijuana, del peso lordo non inferiore a 250 kg circa, materialmente ceduta a tre uomini allo stato ignoti da NOME COGNOME, occultata in n. 4 scatole di cartone, n. 1 busta gialla e n. 4 bidoni, in data 8.1.2021), si osserva quanto segue.
6.1. L’affermazione di responsabilità si ricava dalla rilevazione dei movimenti delle autovetture utilizzate dagli imputati e dalle videoriprese eseguite dalle telecamere installate all’esterno e all’interno dell’immobile di INDIRIZZO. Viene così riportato che quel giorno il COGNOME accompagnava, con la propria autovettura, NOME COGNOME nei pressi di INDIRIZZO. Quest’ultimo, quindi, accedeva nel condominio dall’ingresso pedonale e raggiungeva l’appartamento. Poco dopo la telecamera riprendeva il NOME mentre trasferiva dal suddetto appartamento al box di pertinenza dello stesso almeno quattro scatole di cartone ed una busta gialla. Sopraggiungeva un furgone con cassone scoperto, a bordo del quale vi erano due uomini che raggiungevano il box. NOME trasferiva le scatole e la busta sul cassone del furgone, aiutato da uno dei due sconosciuti. I due uomini, poi, prelevavano dal furgone quattro bidoni e li riponevano
momentaneamente nel box, per poi riempirli di stupefacente e caricarli di nuovo a bordo del furgone. Secondo la Corte territoriale, “Dai movimenti effettuati dai predetti soggetti si evinceva che i bidoni trasportati dal box al furgone erano più pesanti rispetto a quando gli stessi erano stati scaricati dal furgone, sicché si riteneva, ragionevolmente, che detti bidoni fossero stati riempiti di sostanza stupefacente, verosimilmente del tipo marijuana”. I giudici milanesi hanno ritenuto che si trattasse di almeno 250 kg. di marijuana, in considerazione dei “movimenti di NOME COGNOME e degli uomini non identificati, nonché dalla plausibile consistenza delle quattro scatole di cartone, della busta e dei quattro bidoni da costoro trasportati e caricati dal furgone”. Ciò troverebbe conferma, a detta della Corte di merito, dalla successiva perquisizione domiciliare eseguita in quello stesso box il 16.3.2021, quando vennero rinvenute “scatole di grandi dimensioni contenenti residui di marijuana”, per cui “quella che a gennaio era solo una ipotesi investigativa ha acquisito, al termine dell’indagine, significativa concretezza”.
6.2. Al riguardo, tuttavia, si è già avuto modo di rilevare (v. supra al par. 5.2) il grave travisamento della prova da cui è affetta la motivazione in disamina, laddove si dà per scontata la presenza di “residui” di marijuana all’interno degli scatoloni vuoti rinvenuti nel box, in realtà non riscontrati segnalati nel verbale di perquisizione in data 16.3.2021 allegato dalla difesa. Un simile travisamento, desumibile dal testo del provvedimento impugnato rispetto al verbale di perquisizione specificamente allegato dal ricorrente, appare idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso (cfr. Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 – 01); invero, nella specie il ragionamento dei giudici di merito trova un fondamentale appiglio di conferma (dell’ipotesi di cessione di marijuana) proprio dall’elemento di prova travisato (presenza di residui di marijuana all’interno degli scatoloni vuoti rinvenuti, nel box, diverse settimane dopo il fatto), il quale ha condotto ad un’inferenza erronea in ordine alla sussistenza del reato in contestazione sul piano della certezza processuale “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Sotto questo profilo, le stesse espressioni verbali utilizzate nell’iter argomentativo della decisione in disamina (“si riteneva, ragionevolmente, che detti bidoni fossero stati riempiti di sostanza stupefacente, verosimilmente del tipo manjuana”) non sembrano esprimere affermazioni di certezza, bensì affermazioni per lo più ipotetiche o probabilistiche, come si evince dall’utilizzo di modalità verbali (il congiuntivo trapassato, nella forma passiva, del verbo riempire: “fossero stati riempiti”) e di un avverbio (“verosimilmente”) che non possono certo soddisfare le esigenze di certezza proprie del processo penale.
6.3. Ulteriore vizio logico si riscontra nella parte in cui la Corte territori trae dati di conferma dell’ipotesi accusatoria dalla circostanza che il COGNOME “non ha contestato né che si trattasse di stupefacente del tipo marijuana né il peso stimato dagli inquirenti, con ciò avallando la fondatezza dell’ipotesi accusatoria”. Ma il COGNOME, nel presente procedimento, ha solo concordato la pena in appello ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., scelta processuale “personalissima” e “neutra” rispetto all’accertamento di responsabilità nei confronti del coimputato, odierno ricorrente; ne discende che la stessa non può essere, di per sé, valorizzata quale ammissione di fatti in senso sfavorevole al ricorrente.
Di seguito saranno, invece, esaminati i motivi di censura reputati infondati, riguardanti i restanti reati oggetto di ricorso, come tali da rigettare.
Capo A), in cui si contesta a COGNOME, con il ruolo di promotore e organizzatore della cooperazione nel reato e direttore dell’attività, a NOME COGNOME, con il ruolo di concorrente morale e materiale nell’attività di spaccio al dettaglio e a COGNOME COGNOME, quale cedente materiale, il delitto di cessione a COGNOME NOME di una dose di sostanza stupefacente del tipo cocaina, del peso lordo di gr. 0,57, commesso in data 23.11.2020.
I rilievi del ricorrente si appuntano sull’asserita mancanza di prova del concorso del ricorrente nella fattispecie criminosa in disamina, ma sul punto la Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha offerto un percorso argomentativo congruo e non manifestamente illogico, valorizzando il complesso dei dati probatori, da cui è emerso – in sintesi – che NOME e NOME in quel periodo spacciavano droga per conto del NOME, venendo da costui retribuiti mensilmente, consegnandoli il provento delle cessioni e utilizzando come base logistica per il confezionamento delle dosi di stupefacente l’appartamento di INDIRIZZO, di cui COGNOME pagava l’affitto e aveva la piena disponibilità, dopo avere intestato fittiziamente il contratto a COGNOME NOME.
Capo G), in cui si contesta a NOME COGNOME (e ai coimputati NOME e NOME) di avere illecitamente detenuto n. 89 dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, del peso netto di gr. 35,595, con principio attivo pari all’82%, per complessivi gr. 29,190 di cocaina cloridrato pura; dosi occultate dal NOME nell’area boschiva che insiste su INDIRIZZO e successivamente sottoposte a sequestro penale.
Le doglianze del ricorrente su tale capo si dilungano su non consentite censure di merito, a fronte di una motivazione che ha logicamente ricostruito la vicenda, sulla base delle conversazioni intercettate, e che vede coinvolto anche il
ricorrente, non solo in virtù del suo insindacabile ruolo di soggetto sovraordinato rispetto a NOME e NOME (dato che non può essere rimesso in discussione nella presente sede di legittimità), ma – come ragionevolmente opinato dalla Corte territoriale – anche alla luce della condotta dei coimputati, i quali immediatamente lo avevano informato della “sparizione” dello stupefacente (conseguente al sequestro eseguito dagli operanti) dal luogo dove era stato da loro in precedenza occultato.
10. Capo I), in cui si contesta a COGNOME (e ai coimputati COGNOME e COGNOME) di avere illecitamente detenuto presso l’appartamento sito a RAGIONE_SOCIALEINDIRIZZO INDIRIZZO, un imprecisato quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, trasportato all’interno di un borsone nero nell’imbosco di RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, commesso in data 10.2.2021.
Le censure del ricorrente su tale capo si articolano in non consentite doglianze di merito, a fronte di una motivazione che ha logicamente ricostruito la vicenda, alla luce del contenuto di conversazioni intercettate e dì videoriprese eseguite negli immobili di INDIRIZZO e di INDIRIZZO, da cui è emerso che COGNOME aveva inviato COGNOME, previo avviso al COGNOME (quale occupante dell’immobile di INDIRIZZO e di detentore delle chiavi dell’appartamento e del box di pertinenza) di ritirare lo stupefacente ivi custodito, che poi lo stesso NOME aveva provveduto a trasportare all’interno dell’appartamento di INDIRIZZO, luogo dove in altre occasioni costui e NOME erano stati ripresi nell’atto di lavorare, tagliare e confezionare le dosi di cocaina. In questa sede non si può rimettere in discussione l’interpretazione delle frasi intercettate, con specifico riguardo al termine gergale “macchinari”, parola che secondo i giudici di merito faceva proprio riferimento alla sostanza stupefacente. I giudicanti hanno – non illogicamente – ritenuto che i conversanti fanno riferimento alla sostanza stupefacente quando COGNOME dice che manderà il ragazzo a ritirare “quello piccolo” (riferito al macchinario), visto che né NOME né COGNOME hanno mai dichiarato che in quella casa erano presenti macchinari di alcun genere. In proposito, del resto, è bene rammentare il principio, costantemente affermato dalla Corte regolatrice, secondo cui, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (cfr. Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389 – 01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164 – 01).
Capo 3), in cui si accusa NOME, in concorso con NOME, della cessione a NOME di almeno 100 grammi di cocaina, fatto commesso a RAGIONE_SOCIALE in data 11.2.2021.
Le censure del ricorrente su tale capo reiterano non consentite doglianze di merito, a fronte di una motivazione che ha logicamente ricostruito la vicenda. Osserva la Corte territoriale che tale episodio criminoso è collegato al reato di cui al precedente capo I), atteso che, dopo l’incontro con COGNOME e il prelievo dello stupefacente, NOME si reca immediatamente da COGNOME, presso il ristorante RAGIONE_SOCIALE di San Giorgio su RAGIONE_SOCIALE. Nello stesso ristorante viene visto giungere da un operante NOME COGNOME, conosciuto dallo stesso militare per averlo arrestato in flagranza per la detenzione illecita di 15 kg. di cocaina. NOME viene visto intrattenersi con il ricorrente all’esterno del locale e poi entrare nel ristorant dove nel frattempo è giunto NOME. Quest’ultimo e NOME si recano quindi nello stabile di INDIRIZZO, dove vengono visti portare all’interno dell’appartamento il borsone prelevato poco prima dall’appartamento di INDIRIZZO. NOME li raggiunge a bordo della sua autovettura Smart e si incontra con NOME nel seminterrato del palazzo, dove riceve un involucro in cambio di denaro. La circostanza che tale scambio abbia ad oggetto cocaina è riscontrata dalle dichiarazioni confessorie rese da NOME e da NOME, giudicato separatamente. Il coinvolgimento nella cessione in disamina del NOME è stato ravvisato in forza della plausibile considerazione secondo cui, appurato che NOME spacciava per conto del NOME, di cui eseguiva gli ordini, e che entrambi erano presenti nell’edificio di INDIRIZZO, non era sostenibile che nell’occasione la cessione di cocaina fosse stata decisa autonomamente da NOME, all’insaputa del ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Capo L), in cui si accusa il ricorrente, in concorso con NOME e NOME, di illecita detenzione di 16,7 kg. di cocaina, rinvenuti e sequestrati dalla polizia giudiziaria nell’appartamento di INDIRIZZO in data 13.3.2021.
La doglianza articolata dalla difesa del ricorrente su tale capo di imputazione appare generica e in fatto, a fronte di ampia e logica motivazione in ordine al rinvenimento della droga e ai successivi movimenti degli imputati.
Rileva la sentenza impugnata come su tale episodio i coimputati NOME e NOME siano rei confessi e come il coinvolgimento del COGNOME ed il suo ruolo di organizzatore e direttore dell’attività illecita di narcotraffico sia univocamente dimostrato dal contenuto delle conversazioni intercettate, dall’esito dei servizi di osservazione e pedinamento predisposti dai RAGIONE_SOCIALE, dalla reazione dei tre imputati all’intervento della polizia giudiziaria, per il timore di essere arresta quali effettivi detentori dell’ingente quantitativo di stupefacente custodito nell’immobile di INDIRIZZO, immobile nella chiara disponibilità del COGNOME, secondo quanto riferito dall’apparente locataria COGNOME NOME e come risultante dalle videoriprese che lo hanno immortalato al suo interno insieme ai coimputati.
Non è questa la sede per ripercorrere nel dettaglio l’articolata vicenda che ha condotto al rinvenimento dell’ingente quantitativo di cocaina in questione all’interno dell’immobile di INDIRIZZO. Basterà solo ricordare che ad un certo punto dell’indagine gli imputati si erano accorti di essere sottoposti alla discreta sorveglianza dei RAGIONE_SOCIALE, tanto da sospendere l’attività di spaccio, su disposizione del NOME, come emerso dalle conversazioni intercettate. Nei giorni successivi, gli imputati avevano continuato, con le loro autovetture, ad effettuare numerosi passaggi nei pressi dell’abitazione di INDIRIZZO, senza mai entrare nell’appartamento, temendo che lo stesso fosse controllato dai RAGIONE_SOCIALE. A seguito di alcune problematiche tecniche riscontrate sui dispositivi video installati all’interno dell’appartamento, gli operanti entravano nello stesso e ivi rinvenivano, davanti alla porta di ingresso, il borsone nero che in data 11.2.2021 NOME e NOME avevano portato all’interno dell’immobile. In tale borsone vi erano involucri avvolti nel cellophane, analoghi a quelli che in data 10.3.2021 erano stati trovati nella disponibilità di COGNOME NOME e COGNOME NOME (arrestati in flagranza). In particolare, si trattava di 13 panetti di cocaina, per u peso complessivo di circa 13,800 Kg, avente principio attivo pari al 90,1%. Il 13.3.2021 NOME e NOME COGNOME, inviati nell’appartamento di INDIRIZZO per recuperare la droga, erano tratti in arresto in flagranza del reato di detenzione di ulteriori 12 involucri di cocaina, pari complessivamente a circa 722,69 grammi lordi. Dalla conversazione captata in ambientale all’interno dell’appartamento, intercorsa tra i due arrestati, si evinceva che i due avevano ricevuto precise istruzioni sull’ubicazione dello stupefacente da recuperare. Infine, in data 13.3.2021, gli operanti procedevano ad una compiuta perquisizione locale dell’immobile di INDIRIZZO, ivi rinvenendo materiale vario per il confezionamento di dosi e appunti manoscritti riportanti cifre afferenti alla vendita di sostanze stupefacenti ed alle somme di denaro già versate a NOME COGNOME o che ancora dovevano essere da questi incassate. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È stato, inoltre, rimarcato che il ricorrente, una volta appresa la notizia dell’intervento dei RAGIONE_SOCIALE e degli arresti operati, si era dato a precipitosa fuga, avvalendosi della sua autovettura Jaguar, successivamente abbandonata nel Comune di Invorio Superiore, rendendosi poi irreperibile. I coimputati NOME e NOME erano stati, invece, intercettati e bloccati dalla polizia giudiziaria, primo presso l’aeroporto di Orio al Serio, poco prima di prendere un volo per
Tirana; il secondo, localizzato tramite dispositivi in uso agli operanti sulla INDIRIZZO, veniva successivamente fermato a RAGIONE_SOCIALE, in INDIRIZZO, a bordo di una Alfa Romeo Giulietta, all’interno della quale veniva rinvenuta una busta di cellophane contenente, fra l’altro, il passaporto.
Capo M), in cui si accusa il ricorrente, in concorso con NOME e NOME, di avere ceduto in più occasioni sostanza stupefacente del tipo cocaina e marijuana a una serie di tossicodipendenti, identificati dalla polizia giudiziaria, tra settembre 2020 e il 13 marzo 2021.
Anche in questo caso la difesa del ricorrente deduce generiche censure di merito che non incidono sul percorso argomentativo della sentenza impugnata, che ha congruamente e logicamente spiegato il ruolo del ricorrente nell’illecita attività di cui trattasi, sulla scorta delle conversazioni telefoniche e ambiental intercettate, dell’esito dei servizi di osservazione e pedinamento eseguiti dai RAGIONE_SOCIALE, dell’analisi dei tabulati telefonici dai quali si è risaliti alla identi “clienti” e si è ricostruita l’intensità dei loro contatti con gli spacciatori, d dichiarazioni rese dagli acquirenti, sentiti come persone informate sui fatti. In particolare, sono state riportate compiutamente le dichiarazioni di quegli acquirenti che hanno esplicitamente fatto riferimento anche al COGNOME e al suo ruolo nei fatti contestati. Dalle conversazioni riportate, inoltre, è stat plausibilmente desunto che alcuni clienti sapevano che il ristorante RAGIONE_SOCIALE di San Giorgio su RAGIONE_SOCIALE era la base logistica del ricorrente per la sua attività di spaccio e che il medesimo si avvaleva di altre persone – pacificamente identificate nei servizi di osservazione e dalle videoriprese in NOME e NOME per le consegne di sostanze stupefacenti ai clienti. Il tutto è stato, inoltre, riscontrato dagli appunti rinvenuti dalla polizia giudiziaria e sequestrati in occasione della perquisizione eseguita in data 13.3.2021 nell’appartamento di INDIRIZZO, adibito a base logistica per lo stoccaggio e la lavorazione della cocaina, nonché per la pesatura e il confezionamento delle dosi. In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata appare immune dai denunciati vizi di legittimità, avendo logicamente argomentato circa la responsabilità del ricorrente quale mandante di tutte le cessioni di sostanze stupefacenti contestate al capo M). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto alla contestazione di autoriciclaggio di cui al capo P), la doglianza prospettata dal ricorrente non appare idonea a ravvisare vizi logicogiuridici rispetto alla ricostruzione argomentativa offerta dalla Corte di merito, che appare in linea con il citato insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di autoriciclaggio, integra la condotta punita dall’art. 648-ter.1 cod. pen. il
reinvestimento nel gioco d’azzardo e nelle scommesse dei proventi illeciti, così da mascherarne la provenienza delittuosa, poiché l’alea tipica di quei giochi è assimilabile a quella propria delle “attività speculative” contemplate dalla norma incriminatrice, implicando l’accettazione di un rischio correlato all’impiego delle risorse (Sez. 2, n. 11325 del 18/01/2023, Rv. 284290 – 01)
In proposito, i giudicanti hanno desunto da alcune conversazioni intercettate che il ricorrente era solito frequentare, con una certa assiduità, le sale da gioco, e che la finalità da lui perseguita fosse proprio quella di “ripulire” i proventi de suoi traffici illeciti, in modo da poter giustificare con le vincite eventualmente conseguite la disponibilità di denaro contante. Del resto, in tema di autoriciclaggio è pacifico che la lecita vestizione delle somme, dei beni e delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, derivando dalla condotta di impiego, sostituzione o trasferimento, costituisce, per effetto dell’avvenuta trasformazione, il risultato dell’attività criminosa, sicché le risorse di origine illecita assumono un’autonoma individualità e integrano la provvista economica del nuovo delitto trasformativo (Sez. 2, n. 6024 del 09/01/2024, Rv. 285933 – 01); ciò è proprio quanto è stato insindacabilmente riscontrato dai giudici di merito, in coerenza con i dati probatori processualmente emersi.
15. In conclusione, dall’accoglimento dei motivi di ricorso proposti in relazione ai reati di cui ai capi B), C), D) ed E) – rimanendo in essi assorbito l’ultimo motivo attinente al trattamento sanzionatorio (mancata concessione delle attenuanti generiche), che dovrà comunque essere riesaminato in sede di merito – deriva l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente a tali capi, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi B) C) D) ed E) e rinvia per nuovo giudizio su detti capi ad altra sezione della corte d’appello di Milano. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 10 aprile 2024
Il Consigli e estensore
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