Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37528 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37528 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/06/2025 del Tribunale di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha richiesto dichiarare l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Palermo ha confermato, limitatamente all’incolpazione provvisoria di cui capo 3M), l’ordinanza emessa il 21 maggio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, con la quale era Stata applicata nei confronti di NOME COGNOME, la misura cautelare della custodia cautelare in carcere per il reato di cui agli artt. 110 c.p., 73 commi 1 e 4, 80, comma 1, lett. g), d.P.R. 309/90 poiché gravemente indiziato di avere, in concorso con NOME COGNOME e NOME
COGNOME, introdotto all’interno della Casa Circondariale “Pagliarelli” di Palermo sostanza stupefacente (verosimilmente hashish o marijuana).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo tre motivi.
2.1 Con il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen. per avere il Tribunale del riesame erroneamente ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza fondando la propria decisione su elementi probatori insufficienti e su un’interpretazione arbitraria delle intercettazioni ambientali. Deduce, in particolare, che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che il termine “magliette”, asseritamente contenuto nelle intercettazioni ambientali, costituisse un riferimento criptico alle sostanze stupefacenti e che la non ancora effettuata integrale trascrizione delle intercettazioni ambientali ha impedito una corretta valutazione del contesto in cui il termine è stato utilizzato e di comprendere se, come spiegato dall’indagato, la parola pronunziata fosse “pacchetti” e fosse, quindi, riferita alle sigarette oggetto di scommesse sulle partite di calcio all’interno del carcere. Inoltre, evidenzia che le due espressioni, anche foneticamente, nel dialetto siciliano possono essere non solo confuse ma risultare praticamente identiche, che anche nella loro interpretazione più sfavorevole all’indagato le conversazioni non sono accompagnate dai riscontri oggettivi richiesti dalla giurisprudenza in tema di “droga parlata”, che l’attivit delittuosa non può essere desunta da due o tre dialoghi di tenore criptico in un lungo periodo di detenzione, che era necessario che le conversazioni fossero quantitativamente maggiori e che le stesse si riferissero più esplicitamente a marijuana o hashish. Deduce, poi, che il luogo di collocazione della cella dell’indagato (di fronte alla garitta di controllo) ove non è mai stato rinvenuto stupefacente e l’ordinaria attenzione degli agenti della Polizia penitenziaria fanno ritenere impossibile lo svolgimento dell’attività delittuosa. Lamenta anche che l’intercettazione prog. 1024 del 13 dicembre 2023 è stata male interpretata dal Tribunale non emergendo dalla stessa il ruolo di “spacciatore” dell’indagato, atteso che quest’ultimo nella conversazione contesta a un compagno di cella l’acquisto di marijuana invece di contribuire alla spesa ovvero comportamento di cui il ricorrente, se si assume che eserciti l’attività illecita, dovrebbe esser contento. Lamenta, poi, che il Tribunale non ha considerato gli elementi favorevoli all’indagato, tra cui l’assenza di precedenti penali specifici, l mancanza di sequestri, l’assenza di riscontri oggettivi alle intercettazioni e le spiegazioni alternative fornite dall’indagato circa il contenuto delle conversazioni. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2 Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. per avere il
Tribunale del riesame ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione del reato con argomentazioni illogiche e contraddittorie. Deduce, in particolare, che il Tribunale ha ritenuto erroneamente necessaria la custodia cautelare in carcere poiché la permanenza dell’indagato nel luogo di commissione del reato favorirebbe e non eliminerebbe il pericolo di reiterazione del reato. Inoltre, deduce che il Tribunale non ha considerato che il NOME non ha precedenti penali specifici in materia di stupefacenti né dalle intercettazioni emergono elementi per ritenere la sussistenza di un’attività di “spaccio” strutturata e continuativa.
2.3 Con il terzo motivo lamenta che il Tribunale ha illegittimamente negato gli arresti domiciliari con “braccialetto elettronico” violando i principi proporzionalità e gradualità delle misure, che il giudice non ha fornito motivazione specifica e adeguata circa l’inidoneità di tale misura e che la natura del reato, avente a oggetto sostanze stupefacenti leggere, non quantitativamente determinate, e l’entità delle condotte non giustificano l’applicazione della misura cautelare più afflittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In tema di impugnazione delle misure cautelari il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando ripropone censure che riguardino la ricostruzione del fatto ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01; sez. 4, n. 18795 del 2/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884 – 01). Il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile proceda una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze cautelari. Ne consegue che non sono consentite valutazioni alternative (e, in astratto, persino maggiormente persuasive) dei medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, poiché ciò non prova la natura manifesta dell’illogicità della motivazione adottata in sede di merito. Giova anche rammentare che in materia di intercettazioni, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza dell
motivazione (tra le altre Sez. 6, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576-01). È possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 25951601). Tale orientamento interpretativo è stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (principio ripreso e confermato, tra le altre, da Sez. 3, n. 35593 del 17/02/2016, Folino, Rv. 268389).
Ebbene, non si rinviene nell’ordinanza impugnata alcuna delle suindicate censure avendo il Tribunale, decidendo sulle questioni relative ai gravi indizi di colpevolezza, riproposte in questa sede, sviluppato una motivazione del tutto solida e adeguata – quantomeno nella presente fase cautelare – in ordine all’ipotesi di introduzione di sostanza stupefacente da parte del NOME.
Il Tribunale, in particolare, ha considerato l’esplicito riferimento contenuto nella conversazione progr. 207 del 9 novembre 2023 al peso della sostanza (3 grammi) e l’elevato numero di “magliette”. Il giudice territoriale ha, quindi, ritenuto che tali espressioni, per il loro tenore, dimostrino, inequivocabilmente, che l’oggetto della conversazione, a differenza di quanto sostenuto dal NOME, fosse proprio la sostanza stupefacente (e non altro) e, in particolare, che il termine “magliette” si riferisse, cripticamente, alla sostanza stupefacente.
Ancora in ottica cautelare, il Tribunale ha, poi, operato collegamento tra la prima conversazione prog. 206 con la quale l’agente COGNOME preannuncia un prossimo incontro e la seconda conversazione prog. 207, contenente Il sopra evidenziato riferimento a sostanza stupefacente, rilevando il breve tempo trascorso tra le due conversazioni e la circostanza che nella seconda è stato fatto espresso riferimento al COGNOME quale soggetto con cui intercorrono rapporti relativa alle sostanze stupefacenti, da ritenersi non occasionali, come si desume dal tenore delle conversazioni in argomento (pag. 9 ord.). Deve, poi, rilevarsi che il Tribunale ha ritenuto ininfluenti, in termini liberatori, richiamando anche la conversazione progr. 1024 del 13 dicembre 2023 evidenziata dal ricorrente, le conversazioni il cui NOME ha deprecato il consumo da parte degli altri detenuti
ritenendo che l’attività di “spaccio” può essere svolta anche da chi non consuma stupefacenti.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione di cui all’ar 274, comma 1, lett. c), c.p.p. avendo riguardo, complessivamente, alle modalità della recente azione delittuosa caratterizzata dalla collaborazione di agenti corrotti, all’allarmane e variegata capacità a delinquere del NOME (indicato come gravato da precedenti penali anche specifici, desumibili dal certificato del casellario giudiziale) e all’assenza di effetto deterrente del lungo periodo di detenzione. Pertanto, la Corte territoriale ha affrontato in maniera puntuale, con motivazione immune da censure logico-giuridiche, l’analoga doglianza già articolata in sede di appello.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha confermato l’applicazione della custodia cautelare in carcere stante l’assenza di efficacia dissuasiva del già patito stato di detenzione del NOME e la palese inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari, anche se accompagnata da dispositivo di controllo, posto che, tale modalità di esecuzione, non consentirebbe di evitare contatti con terzi e la commissione di analoghi reati. Anche in questo caso la Corte territoriale ha affrontato in maniera puntuale, con motivazione immune da censure logico-giuridiche, l’analoga doglianza già articolata in sede di appello.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse del NOME deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, non sussistendo elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 30/10/2025.