Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9682 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9682 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a Melzo il DATA_NASCITA
NOME NOME a Loulad (Marocco) il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a Pompei il DATA_NASCITA
NOME NOME a Sarno il DATA_NASCITA
NOME NOME NOME a Nocera Inferiore DATA_NASCITA
NOME NOME NOME a Sarno il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a Salerno il DATA_NASCITA
NOME NOME (con obblighi) NOME a Salerno il DATA_NASCITA
NOME NOME a Salerno il DATA_NASCITA
NOME NOME a Salerno ii DATA_NASCITA
NOME NOME NOME a Salerno il DATA_NASCITA
NOME NOME a Salerno il DATA_NASCITA
NOME NOME a Salerno il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/12/2022 della Corte di appelio di Salerno visti gli atti, ‘l provvedimento impugNOME e i ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto la inammissibilità dei ricorsi; letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Salerno, all’esito di rito abbreviato, ha parzialmente riformato unicamente in relazione al trattamento sanzioNOMErio, la sentenza emessa il 25 ottobre 2021 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Salerno nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Ha, invece, confermato la sentenza impugnata con riferimento a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME, NOME, NOME NOME.
Il procedimento trae origine da una pregressa attività investigativa relativa al sodalizio criminale facente capo a COGNOME NOME, dedito al traffico di sostanze stupefacenti. Nel corso della detenzione di COGNOME, venivano captati numerosi colloqui tenuti dal predetto con i suoi familiari, durante i quali emergevano elementi che permettevano di avviare un nuovo filone investigativo riguardante il distinto sodalizio capeggiato da COGNOME NOME, anch’egli dedito al traffico di sostanze stupefacenti nella città di Salerno e nella sua Provincia.
Dalla attività di intercettazione dei colloqui intrattenuti dagli odierni imputat emergeva la fondatezza del predetto spunto investigativo.
In particolare, gli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME sono stati ritenuti partecipi della associazione armata dedita al narcotraffico diretta da NOME dal novembre 2017 al 19 giugno 2018, quando si procedeva ai primi arresti, con la seguente ripartizione dei compiti:
COGNOME era il braccio destro di COGNOME ed era coinvolto in tutte le fasi di approvvigionamento, custodia e cessione dello stupefacente agli acquirenti finali;
–NOME coadiuvava COGNOME nell’approvvigionamento;
–COGNOME era addetto alla cessione a ulteriori spacciatori.
Le principali fonti di prova sono rappresentate dalle intercettazioni di conversazioni tra gli imputati, dal 2017 al giugno 2018, dalla attività di osservazione della polizia giudiziaria e da alcuni sequestri; l’associazione si
occupava sia di droghe “leggere” che “pesanti”, aveva cinque fornitori e cinque acquirenti, in ordine ai quali è stata esclusa l’appartenenza al sodalizio.
A tutti gli imputati sono stati contestati: -plurimi episodi di acquisto detenzione ai fini di spaccio e spaccio di cocaina e hashish, variamente loro ascritti in concorso, posti in essere nel medesimo periodo; – plurimi episodi di detenzione a fini di spaccio, ex art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ad eccezione del capo 24) per il quale viene ritenuta l’ipotesi di cui al cornma 1, da parte di cinque fornitori di droga, e cioè COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e NOME; -pliurimi episodi di cessione di sostanze stupefacenti ai sensi dell’art. 73, comma 4, cl.P.R. cit. in favore di sei acquirenti, tra i quali COGNOME NOMENOME COGNOME NOME ai quali è contestato anche un episodio di detenzione ai fini di spaccio di cocaina – e NOME NOME; – due episodi di cessione di hashish e marijuana a carico di NOME NOME.
2.Avverso la sentenza, ricorrono per cassazione tutti gli imputati, deducendo i motivi, che saranno di seguito esposti, unitamente alla descrizione dei fatti a ciascuno ascritti.
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. COGNOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni otto e mesi dieci di reclusione per i reati di associazione ex art. 74 d.P.R. cit. (capo 1), esclusa l’aggravante di cui all’art. 74, comma 3, d.P.R. cit., per i reati di cui all’art. 73, comma 4, (capi 2, 5, 6, 19 20, 22, 23, 25 26, 27, 31) e 73, comma 1, d.P.R. cit. (capi 4, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 34).
NOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione per il reato associativo, con il grado di partecipe, e per i reati fine di cui agli artt. 73, comma 4, (capi 22, 23 e 31), e 73, comma 1, d.P.R. cit. (capo 17).
COGNOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni cinque e mesi dieci di reclusione per il reato associativo, con il grado di partecipe, e per i reati fine di cui agli artt. comma 4, (capi 5, 11, 12, 31) e 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capo 34).
COGNOME, COGNOME e COGNOME hanno reso ampia e totale confessione scritta in relazione ai reati ascritti e il comune difensore di fiducia ha rinunciato a tutti motivi, ad eccezione di quello relativo alla riduzione della pena con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza.
3.1. I suindicati imputati ricorrono, con un unico atto, avverso la sentenza, deducendo il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della
massima riduzione prevista per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
La motivazione della sentenza si assume generica, in quanto si limita a ripercorrere quelli che sono gli elementi strutturali del capo di imputazione e, in parte, contraddice la parte motiva relativa alla concessione del giudizio di prevalenza derivante proprio dalla confessione scritta e non da chiamate in correità.
4. NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni due, mesi due, giorni venti di reclusione ed euro 8.200,00 di multa per due episodi di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. cit., commessi in epoca prossima e antecedente ai 16 gennaio 2019 (capo 42, relativo alla cessione a persona rimasta ignota di 5 kg. di hashish) e il 20 febbraio 2019 (capo 42, relativo alla detenzione di 10,6 kg. di marijuana destinati allo spaccio e custoditi in un garage che era nella diretta disponibilità del correo).
4.1. L’imputato ricorre per cassazione, deducendo, come unico motivo, il vizio di motivazione, anche nella forma del travisamento della prova, relativamente al significato da attribuire, in termini di quantità della sostanza stupefacente, alla frase «io gliene ho dato 5 a lui».
La Corte di appello non offre, ad avviso del ricorrente, alcun supporto logico al fatto che debba necessariamente trattarsi di cinque chili di droga e non, piuttosto, di cinque grammi.
Per quanto concerne, poi, la detenzione di 10 Kg. di hashish, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che un sopralluogo nel posto in cui, a distanza di circa dodici ore, è stato rinvenuto l’hashish, fosse sufficiente a integrare gli estremi del concorso nel reato.
In realtà, vi è assoluto difetto di prova relativamente a una qualsiasi ipotesi di signoria da parte di NOME, sia sul luogo, che sull’oggetto del rinvenimento, che era, invece, nella totale disponibilità del coimputato COGNOME NOME.
5. NOME, alias NOME.
E’ stato condanNOME alla pena di anni tre, mesi sei, giorni venti di reclusione ed euro 12.800,00 di multa per i reati di cui all’art. 73, comma 4 (capi 5, 19 e 23), e 73, comma 1, d.P.R. cit. (capo 18 e 24).
NOME ricorre per cassazione deducendo i seguenti motivi:
5.1 Vizio di motivazione in relazione al capo di imputazione 24), nel quale gli viene contestata la cessione di 150 grammi di cocaina a COGNOME, che poi l’avrebbe ceduta a NOME e a NOME per il confezionamento, e, successivamente, l’avrebbe ripresa per occultarla.
5.2. Violazione di legge in relazione al capo di imputazione 24).
Nelle captazioni non vi è alcun riscontro in merito al fatto che la sostanza stupefacente fosse cocaina. Elemento evidenziato nella sentenza impugnata è il sequestro di 11 grammi di cocaina effettuato a casa di NOME. La prova del trasferimento del possesso dal COGNOME a NOME e NOME è rilevabile dalle intercettazioni nel corso delle quali l’imputato non compare mai. Non vi è nessuna prova effettiva, inoltre, dello scambio illecito tra l’imputato e COGNOME: l’unica tracci è data dal fatto che i telefoni a loro in uso agganciavano la stessa cella telefonica, che, come noto, ha una estensione di due chilometri. Nessuna perquisizione positiva e nessun sequestro sono stati effettuati a carico di NOME.
In ogni caso, dalle intercettazioni non è possibile evincere la qualità dello stupefacente; motivo per il quale il fatto deve essere riqualificato ex art. 73, comma 4, d.P.R. cit.
5.3. Violazione di legge in relazione al capo 18) di imputazione.
L’imputato viene dichiarato colpevole dai giudici di merito del delitto di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. cit. poiché deteneva illecitamente sostanza stupefacente di tipologia e quantitativo imprecisati, consegnata poi a COGNOME e COGNOME NOME per la successiva commercializzazione: non vi è alcun elemento di riscontro che si trattasse di droga.
Nel ricostruire l’incontro con gli acquirenti si afferma che si tratta di sostanza stupefacente poiché tutti gli imputati operavano stabilmente nel mercato della droga e, necessariamente, in tale ambito doveva inquadrarsi l’incontro registrato attraverso le intercettazioni. Erroneamente la Corte di appello non ha ritenuto credibile la ricostruzione secondo la quale il ricorrente doveva, in realtà, consegnare ai due coimputati un paio di scarpe; ciò, pur avendo la difesa dimostrato che egli era effettivamente venditore di scarpe e vestiti.
5.4. Violazione di legge, sempre in relazione al capo 18) cI imputazione.
Dalle intercettazioni non è possibile evincere la qualità dello stupefacente; motivo per il quale il fatto deve essere riqualificato ex art. 73, comma 4, d.P.R. cit. Il fatto deve essere, infine, derubricato ai sensi del comma 5 del suindicato decreto.
NOME, NOME e COGNOME NOME.
NOME.
È stato condanNOME alla pena ci anni quattro, mesi quattro e giorni quaranta di reclusione ed euro 18.400,00 di multa in relazione ai reati di cui agli artt. 73 comma 1 (capi 18 e 22) e 73, comma 4, d.P.R. cit. (capo 33).
NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni uno, mesi due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa in relazione ai reati di cui agli artt. 73, comma 1 (capi 18 e 73) e 73, comma 4, d.P.R. cit. (capo 23).
COGNOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni uno di reclusione ed euro 4.000,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90 (capo 19).
6.1.Gli imputati ricorrono per cassazione, con un unico atto, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo i seguenti motivi:
NOME
6.1.1.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della penale responsabilità per i reati contestati.
Quanto al capo 18), nella sentenza impugnata, dapprima si sostiene che NOME doveva consegnare droga a NOME su indicazione del NOME; di seguito si assume, quale unica interpretazione, che la c:onsegna dovesse avvenire in favore di NOME per il COGNOME di NOME. Inoltre, le intercettazioni forniscono una interpretazione del tutto differente da quella operata dai giudici di merito.
Rispetto al reato di cui al capo 22), la Corte di appello non ha offerto congrua motivazione circa la sussistenza della droga all’atto della formazione dell’accordo, nonché sull’effettiva efficacia causale del contributo del COGNOME all’atto del suo coinvolgimento, essendovi incontrovertibili dati temporali inconciliabili con il tempus commissi delicti.
Quanto al capo 33), la Corte di appello ha riportato una sola parte della intercettazione, dal contenuto ambiguo.
NOME.
6.1.2.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della penale responsabilità per i reati contestati.
La Corte di appello di Salerno ha reso motivazione apparente in relazione al motivo di appello afferente alla corretta identificazione dell’imputato, non avendo risposto alla deduzione avente ad oggetto il dato del riconoscimento avvenuto per opera della polizia giudiziaria, sulla scorta della personale analisi della captazione di cui al progressivo 180, sostanzialmente ribadendo quanto asserito dalla polizia giudiziaria per quello che concerne l’elemento iniziale del percorso di identificazione, ossia l’abbinamento di una donna alla figura della madre del ricorrente.
COGNOME.
6.1.3 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato, individuandone erroneamente il contributo in relazione alla formazione dell’accordo perfezioNOME, ponendo, altresì, quale elemento di riscontro utile a determinare l’altrui penale responsabilità le
dichiarazioni accusatorie di altro coimputato, sprovviste di portata etero accusatoria e funzionali a soggettive scelte progettuali.
In sede di appello, la difesa aveva evidenziato che, dagli atti, emergeva l’assenza della partecipazione di NOME alla formazione dell’accordo illecito. La Corte territoriale ha ritenuto di dover spostare il momento consumativo del reato a una fase successiva alla formazione di un accordo, già avvenuto telefonicamente, tra COGNOME e COGNOME. Erra, inoltre, la Corte nel ritenere non configurabile il tentativ dal momento che le scansioni temporali delle intercettazioni, a tutto voler concedere, attesterebbero che, pur volendo ritenere il contributo causalmente efficace, all’atto di formazione dell’accordo la droga non era disponibile né lo era in un momento successivo allo stesso, ossia quando si assume il coinvolgimento di COGNOME.
Quanto alle dichiarazioni di COGNOME, le stesse non hanno efficacia etero accusatoria, stante la genericità della ammissione di addebiti.
7.NOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 8.000,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110, secondo corna, cod. pen. e 73, comma 4, d.P.R. cit., per avere ceduto a COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, verosimilmente marijuana, quale saggio, in vista di una più ingente fornitura che COGNOME doveva acquistare per il RAGIONE_SOCIALE (capo 8).
L’imputato ricorre per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
7.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. all’art. 73, comma 1, d.P.R. cit.
La Corte d’appello ritiene di non nutrire dubbi sulla correttezza della interpretazione delle intercettazioni telefoniche, dalle quali si ricaverebbe che la presunta cessione fosse, di per sé sola, idonea a provare la consegna più ingente, futura e mai avvenuta, e non già – come sostenuto dalla difesa – che la medesima, di fatto, resterebbe limitata nell’ambito di una mera ipotesi di consegna di un quantitativo così ridotto da annoverarsi nell’ambito del consumo personale destiNOME al cessionario.
7.2. Vizio di motivazione in relazione all’art. 73, comma 1, d.P.R. cit.
Quella che la Corte di appello ritiene essere la ricostruzione dei fatti più univoca e coerente risulta, tuttavia, inficiata dalla impossibilità di superare due decisive argomentazioni:
-la prima è che la necessità di trasportare lo stupefacente muniti «di un po’ di carta argentata» rappresenterebbe esclusivamente la esigenza di non trasportare una “presunta” dose semplicemente intascandola;
-la seconda è che la modica quantità apparirebbe, proprio, confermata dal fatto che quella medesima presumibile cessione, secondo l’accusa, sarebbe essa stessa un mero «saggio» di una ipotizzata fornitura futura, la quale – tuttavia perché giammai verificatasi, non può rappresentare elemento utile ai fini della sostenibilità dell’ipotesi delittuosa.
7.3. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. cit.
Non risulta provata un’attività di spaccio continuativa con i vertici della associazione e nessuna precedente o successiva fornitura è stata contestata nei confronti dell’imputato.
8.NOME NOME
E’ stato condanNOME alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 10.000,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. cit. (capo 14) per avere detenuto, ai fini di spaccio, 41,896 kg. di hashish, sostanza ceduta da NOME a COGNOME – che la riceveva nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – e poi da questi ad COGNOME per la custodia.
8.1. L’imputato deduce la violazione di legge, anche processuale, e il vizio di motivazione in relazione al giudizio di penale responsabilità.
La Corte dì appello afferma che l’imputato ha ceduto a COGNOME COGNOME sostanza stupefacente, mentre nella informativa di polizia giudiziaria si sostiene, invece, che ciò fosse stato fatto da COGNOMECOGNOME
E, ancora, a pag. 64 della sentenza impugnata, si afferma che non vi è prova che sia stato NOME a portare l’hashish a COGNOME, ma vi é solo la prova che egli si incontrava il giorno prima con NOME.
Nella sentenza si parla, infine, di un servizio di o.p.g., che non risulta agli att
9. NOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni uno, mesi otto e giorni quaranta di reclusione ed euro 8.000,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. cit. (capo 17), perché deteneva illecitamente un quantitativo pari a chilogrammi 2.5 di hashish, che cedeva a COGNOME e COGNOME, secondo le disposizioni impartite da COGNOME.
9.1 L’imputato ricorre per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della penale responsabilità, nonché l’errata valutazione e la violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. peri.
Si assume che il 17 gennaio 2018 si sarebbe verificato un incontro tra un soggetto salernitano e uno di Sarno, che era alla guida di una “Fiat 500” intestata
a COGNOME NOME, indicata come sorella di COGNOME NOME (circostanza non veritiera come documentato dalla difesa), appuntamento verosimilmente finalizzato ad accordi per una nuova transazione di stupefacenti.
Si sottolinea, poi, che, dopo due giorni, la polizia giudiziaria aveva verificato che due soggetti salernitani avrebbero ricevuto 25 kg. di hashish da COGNOME NOME.
Gli elementi a carico sono costituiti da una conversazione tra due soggetti, iniziata alle ore 10.41, che non riguarda il ricorrente. Viene poi indicata altra conversazione, nel corso della quale, il 19 gennaio 2018, un uomo, identificato per COGNOME NOME, diceva «Questo te lo deve vendere il fumo». Dal contenuto di tale colloquio si evince che non poteva essere il ricorrente colui che aveva venduto lo stupefacente.
La polizia giudiziaria perviene alla identificazione di “NOME” in NOME NOME dal momento che l’uomo (mai identificato) con il quale i due soggetti si sono incontrati giungeva all’appuntamento a bordo di un’autovettura intestata a COGNOME NOME, ritenuta erroneamente sorella di NOME.
10.NOME NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro 6.200,00 di multa, in relazione ai reati di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. cit. (capi 26 e 31).
10.1. L’imputato deduce la violazione di legge, anche processuale, e il vizio di motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione relativamente ai reati ascritti.
Con riferimento al capo 26), dal tenore della conversazione richiamata si evince chiaramente che l’imputato non era a conoscenza che COGNOME aveva con sé la sostanza stupefacente; tanto è vero che, allorquando i due temevano di essere fermati dai carabinieri, l’imputato riferiva testualmente: «tanto addosso non ho niente” e si preoccupava unicamente del fatto che i documenti dell’autovettura del COGNOME fossero in regola. Solo in quel frangente veniva a sapere da COGNOME che aveva «la cosa addosso» e, pertanto, lo invitava ad allontanarsi per evitare il fermo dei carabinieri.
Con riferimento al capo 31), la Corte di appello riteneva erroneamente, sulla scorta di un solo SMS inviato da COGNOME a ][annone, che quest’ultimo fosse il soggetto terminale di una cessione di 25 grammi di droga fornita dagli COGNOME a COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME. Il monitoracigio degli SMS tra COGNOME e COGNOME attesta esclusivamente la sussistenza di incontri convenuti tra le parti, fra l’altro, anche molto distanziati, tra di loro, senza fornire prove in ordine alla natura degli stessi.
10.2. Violazione di legge, anche processuale, e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit.
I quantitativi di sostanza stupefacente ricevuti da COGNOME non sono mai stati individuati e provati; la condotta delittuosa non appare reiterata, atteso che all’imputato sono contestati esclusivamente due episodi.
11. NOME.
È stato condanNOME alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 4.400,00 di multa in relazione ai reati di cui agli artt. 73, comma 4, (capo 2) e 73 comma 1 d.P.R. cit. (capi 10 e 15).
11.1. L’imputato ricorre per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della penale responsabilità.
La prova della responsabilità è desunta unicamente dal contenuto delle intercettazioni, che, però, non dimostrano che gli interlocutori parlassero di droga; inoltre, l’utenza dell’imputato non era attenzionata e, quindi, non è pacifico che il “NOME” di cui si parla sia effettivamente l’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato il ricorso di NOME, limitatamente al reato di cui al capo 18). In relazione a tale capo, la sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio nei suoi confronti e, per l’effetto estensivo, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
I ricorsi dei predetti imputati sono, nel resto, inammissibili per le ragioni d seguito indicate.
2.Ricorso di NOME, alias NOME.
Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti di seguito indicati.
2.1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 di cui al capo 24) di imputazione, contestando la valenza indiziaria dei dialoghi tra terzi e la qualità di cocaina della sostanza.
Premesso che le doglianze sono inammissibili perché declinate in fatto, mediante sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito, la sentenza impugnata appare conforme al principio, affermato dalle Sezioni Unite Sebbar, secondo cui le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli
elementi di corroborazione previsti dall’art. 1.92, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714)
2.1.1. Inoltre, con riferimento alla c.d. droga parlata, la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati no abbia fatto seguito alcun sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali l’accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilità degli imputati, è gravat da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata (Sez. 4, n. 201.29 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251).
Ciò posto, la sentenza impugnata ha richiamato puntualmente l’intercettazione ambientale tra COGNOME e NOME, nel corso della quale quest’ultimo ha chiesto espressamente a COGNOME «Quanto ti serve» e i due hanno concordato ora e luogo dell’appuntamento (lunedì successivo). COGNOME si recava, quindi, immediatamente da NOME, dicendo che il giorno fissato per l’appuntamento con NOME sarebbe andato da lui per il “confezionamento”. E, infatti, come da accordi, il 26 febbraio 2018, previo scambio di SMS tra COGNOME e NOME, COGNOME si fermava in una via di Salerno e, alla stessa ora, il cellulare dell’utenza in uso a NOME agganciava la stessa cella. I giudici, quindi, non hanno ricavato la prova dell’incontro esclusivamente dalla presenza dei due coimputati in un luogo coperto dalla stessa cella dei rispettivi cellulari, ma dal quadro istruttorio complessivo e, dunque, dai pregressi accordi e dagli SMS immediatamente antecedenti l’incontro.
Come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, la prosecuzione della vicenda, dopo l’incontro tra COGNOME e COGNOME, palesava l’oggetto della consegna poiché COGNOME, come detto, si recava presso l’abitazione di COGNOME e, “in diretta”, commentava la qualità della sostanza consegnata, da reputarsi cocaina, tenuto conto del colore indicato («è un poco gialla, migliore dell’altra volta») precisandone, altresì, il peso (“150″) e il numero di confezioni ;”15”).
2.1.2. La Corte di appello ha, quindi, con motivazione congrua e non manifestamente infondata, ritenuto conclarnata la prova della natura della sostanza dal rinvenimento di cinquantanove dosi di cocaina, per complessivi undici grammi, presso l’abitazione di COGNOME, poi tratto in arresto. La sequenza degli eventi è logica e concatenata e deve essere letta, senza ambiguità alcuna, secondo l’interpretazione recepita dai giudici. A ciò deve aggiungersi, quale riscontro oggettivo alla correttezza della ricostruzione’ la circostanza che il coimputato COGNOME COGNOME ammesso gli addebiti.
Tale ammissione GLYPH come ricorda la Corte – non può valere come unico parametro utilizzabile di giudizio a carico del coimputato, ma, comunque, può costituire valido riscontro.
Deve, infatti, osservarsi – in tal senso richiamando e riaffermando il principio di diritto espresso dalla Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione, riferito alle dichiarazioni predibattimentali (Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, deo. 2011, D. F., Rv. 250199) – che le dichiarazioni rese in assenza di contraddittorio e che siano legittimamente acquisite, non possono, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza convenzionale, in applicazione dell’art. 6 della CEDU, fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale, ferma restando, però, la validità e l’utilizzabilità della prova stessa (fra l successive, Sez. 6 n. 43899 del 28/06/2018, Tropeano, Rv. 274278; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256576,; Sez. 1, n. 14807 del 04/04/2012, Vrapi, Rv. 252269). La norma in esame pone, dunque, una regola di giudizio, non un divieto probatorio.
2.2. Il terzo motivo, che riguarda la sussistenza del reato di cui al capo 18) di imputazione, è inammissibile, salvo quanto si dirà al capo seguente.
Nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione circa la penale responsabilità del ricorrente, desunta dall’utilizzo di un linguaggio criptico, dalla ricerca di un luogo “tranquillo” per scambio, dalla presenza di un soggetto terzo (COGNOME); elementi che, complessivamente valutati, hanno indotto la Corte a ritenere insostenibile una lettura alternativa degli eventi, quale quella proposta dalla difesa.
2.3. Il quarto motivo, con il quale si lamenta l’omesso riconoscimento dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/90 è, invece, fondato.
Deve osservarsi che è lo stesso capo di imputazione a indicare come “Imprecisata” la qualità della sostanza stupefacente e che i giudici di merito non hanno indicato alcuna intercettazione o atto di indagine, dai quali potere evincere trattarsi di cocaina, piuttosto che di “droga leggera”.
La sentenza deve, dunque essere annullata, sul punto, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che dovrà valutare la sussistenza di precisi e univoci dati sintomatici circa la riconducibilità della fattispecie in esame ai commi 1 o 4 di cui all’art. 73 d.P.R. cit., e, eventualmente, valutare la sussistenza degli estremi per riconoscere la fattispecie di cui al comma 5 del suindicato articolo. All’esito, se del caso, la Corte di appello procederà alla eventuale rideterminaziDne della pena.
3. Ricorso di NOME COGNOME.
Il ricorso è parzialmente fondato, limitatamente al capo 18) di imputazione, mentre è inammissibile nel resto.
3.1. In ordine al reato di cui al capo 22), nel rilevare che la doglianza propone una lettura alternativa del dato probatorio, non consentita in sede di legittimità, risulta con chiarezza la coerenza e la logicità con cui la Corte territoriale argomenta, sulla base del compendio probatorio costituito principalmente da intercettazioni, il coinvolgimento del ricorrente e l’efficacia causale del suo contributo; espressamente, infatti, la Corte ha rilevato che il ricorrente è l’unico personaggio con quel nome ad essere interessato all’operazione, che la droga esisteva (nelle intercettazioni si fa riferimento anche al peso della stessa), che è pervenuta all’acquirente in una certa quantità (anche contestata) e che è stata sottoposta ad un vaglio qualitativo proprio da parte dell’imputato.
A ciò deve aggiungersi che COGNOME, COGNOME e COGNOME hanno reso dichiarazioni ammissive da reputare come valido riscontro. Si richiama, a questo proposito, quanto evidenziato al paragrafo 2.1.2. del Considerato in diritto.
3.2. In ordine al reato di cui al capo 33) di imputazione, la Corte territoriale ha motivato effettivamente e coerentemente circa la penale responsabilità del ricorrente in conformità ai principi precedentemente richiamati: tra gli elementi valutati vi sono la qualità e quantità della sostanza (200 gr. di cocaina), nonché la presenza di una sorta di ‘confessione stragiudiziale’ (“ho squagliato 200 grammi”) della quale non può dubitarsi circa la riferibilità della condotta all’odiern ricorrente.
Come evidenziato nella sentenza impugnata, proprio la lettura integrale della conversazione intercettata evidenzia che si sta parlando inequivocabilmente di cocaina, ove si consideri che, quando si commenta l’esistenza di “un pezzo da spaccare” che vale euro 15.000″, non può che farsi riferimento a tale qualità di stupefacente.
3.3. Rispetto al capo 18), la Corte ha fornito un’adeguata motivazione sul coinvolgimento del NOME: in particolare, proprio come ha fatto con riferimento alla posizione del COGNOME, ha desunto la responsabilità del ricorrente e l’insostenibilità di una lettura alternativa degli eventi, come quella proposta dalla difesa, da vari elementi: l’utilizzo di un linguaggio criptico, la ricerca di un luogo “tranquillo” p lo scambio, la presenza di un soggetto terzo (il NOME stesso).
Per quanto concerne, invece, la possibilità di ricondurre la fattispecie in esame nell’alveo di cui al comma 4 dell’art. 73 d.P.R. cit., la statuizione di annullamento con rinvio disposta con riferimento al quarto motivo di gravame – non esclusivamente
personale – avanzato dal ricorrente COGNOME (v. paragrafo 2.3. del Considerato in diritto), va estesa all’imputato, in presenza dei presuppOsti di legge, pur se quest’ultimo non risulta aver proposto alcuna specifica censura sul medesimo punto. Al riguardo, va premesso che, ai fini dell’operatività dell’istitut dell’estensione dell’impugnazione, di cui all’art. 587 cod. proc. pen., deve considerarsi non ricorrente anche il coimputato presente nel giudizio di cassazione che non abbia impugNOME il punto della decisione annullata dalla Suprema Corte in accoglimento di motivi non esclusivamente personali proposti da altro imputato (Sez. 2, n. 4159 del 12/11/2019 -dep. 31/01/2020-, Germinario, Rv. 278226 01; Sez. 6, n. 1940 del 03/12/2015, dep. 2016, COGNOME e altri, Rv. 266686).
Peraltro, «dal punto di vista sistematico si manifesta evidente che tertium non datur rispetto al singolo punto della decisione: il ricorso, infatti, attribuisce cognizione della Corte di legittimità in relazione esclusivamente ai singoli motivi effettivamente proposti (art. 609, comma 1, cod. proc. pen,), con le sole tassative eccezioni previste dal capoverso dell’art. 609 cod. proc. pen. e proprie o del sopravvenire di peculiari vicende dopo la scadenza del termine utile per la proposizione del ricorso (es.: modifiche normative favorevoli) o di preesistenti vizi rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo (es.: nullità ex art. 179 cod. proc. pen.). La qualità di “ricorrente”, quindi, è strettamente e necessariamente correlata ai motivi concretamente enunciati e alle due evenienze specificamente e tassativamente previste dal capoverso dell’art. 609 cod. proc. pen. Del resto, che si tratti di coimputato che non ha per nulla impugNOME la sentenza ovvero di coimputato che ha proposto ricorso ma per motivi diversi, le due posizioni rispetto al diverso motivo non esclusivamente personale proposto da altro coimputato “diligente” sono assolutamente sovrapponibili, sicché non solo non vi è una ragione sistematica per differenziarle, ma ove una differenza fosse affermata, la palese assenza di ragionevolezza che la caratterizzerebbe porrebbe con immediatezza evidenti vizi di disparità ingiustificata di trattamento» (Sez. 6, n. 46202 de 02/10/2013, Serio, Rv. 258155). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4. La sentenza deve dunque essere annullata, sul punto, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che dovrà valutare la sussistenza di precisi e univoci dati sintomatici circa la riconducibilità della fattispecie in esame ai commi 1 o 4 di cui all’art. 73 d.P.R. cit., e, eventualmente, valutare la sussistenza degli estremi per riconoscere la fattispecie di cui al comma 5 del suindicato articolo.
All’esito, se del caso, la Corte di appello procederà alla eventuale rideterminazione della pena,
4.Ricorso di NOME.
4.1. Il difensore lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione al capo 23) dell’imputazione. Sul punto, ribadito che la Corte di cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, e che è ravvisabile una motivazione apparente allorché il provvedimento si limiti ad indicare le fonti di prova della colpevolezza dell’imputato, senza contenere la valutazione critica ed argomentata compiuta dai giudice in merito agli erementi probatori acquisiti al processo (Sez. 3, n. 49168 del 13/10/2015, Rv. 265322), va rilevato che, nella sentenza impugnata, la Corte territoriale ha motivato logicamente e adeguatamente in merito al coinvolgimento del ricorrente nella vicenda delittuosa, fornendo dettagliata ricostruzione degli elementi – desunti dalle intercettazioni che ne dimostrano la corretta identificazione, per i riferimenti alla madre dello stesso (p. 78 sentenza).
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto coerentemente dimostrata la circostanza che COGNOME, subito dopo la cessione di droga da parte di NOME a lui e da lui a COGNOME, si era recato a casa dell’imputato. Veniva accolto da una donna, che era risultata la madre di NOME, la quale immediatamente lo contattava. COGNOME e NOME discutevano, quindi, della stessa quantità di droga oggetto della suindicata cessione. In relazione a tale capo di imputazione, dunque, il ricorso è inammissibile.
4.2. Rispetto al capo 18), invece, per quanto concerne la possibilità di ricondurre la fattispecie in esame nell’alveo di cui al comma 4 dell’art. 74 d.P.R. cit., la statuizione di annullamento con rinvio disposta con riferimento al quarto motivo di gravame – non esclusivamente personale – avanzato dal ricorrente COGNOME (v. paragrafo 2.3. del Considerato in diritto) va estesa all’imputato, in presenza dei presupposti di legge, pur se quest’ultimo non risulta aver proposto alcuna specifica censura sul medesimo punto. Si richiama quanto evidenziato al paragrafo 3.3. del Considerato in diritto.
4.3. La sentenza deve dunque essere annullata, sul punto, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che dovrà valutare la sussistenza di precisi e univoci dati sintomatici circa la riconducibilità della fattispecie in esame ai commi 1 o 4 di cui all’art. 73 d.P.R. cit., e, eventualmente, valutare la sussistenza degli estremi per riconoscere la fattispecie di cui al comma 5 del suindicato articolo. All’esito, se del caso, la Corte di appello procederà alla eventuale rideterrninazione della pena.
5.Ricorsi di COGNOME, COGNOME e COGNOME.
5.1. I ricorsi – aventi ad oggetto la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte, pur concedendo le circostanze attenuanti generiche e
ritenendole prevalenti nel giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti, non ha riconosciuto la massima riduzione della pena – sono inammissibili.
Occorre osservare che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che, nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzioNOMErio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cosi:. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, Rv. 281217; Sez. 7, n. 39396 del 27/05/2016, COGNOME, Rv. 268475).
Ciò posto, nel rammentare che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n.5582 del 30/09/2013, 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), va evidenziato che la sentenza impugnata ha motivato, altresì, sui criteri fattuali che impedivano il riconoscimento della riduzione della pena nel massimo, evidenziando la tardività della confessione, il ruolo di partecipe dei ricorrenti e la non eccezionale rilevanza del contributo da loro rispettivamente offerto in assenza di chiamate in correità.
6.Ricorso di NOME.
6.1. Il primo motivo, con cui si contesta il vizio di motivazione, in relazione al significato da attribuire (in termini di quantità della sostanza) alla frase «io glien ho dato 5 a lui», che è stato erroneamente inteso come 5 chili e non come 5 grammi, è inammissibile.
Preliminarmente, va rilevato che il motivo non risulta dedotto con l’atto di appello, sicché è inammissibile perché proposto per la prima volta in questa sede.
In ogni caso, deve rammentarsi che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degl elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata e convincente, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME; Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017). Questa Corte ha, inoltre, rilevato che, anche dopo la novella del 2006 dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., resta immutata la natura del sindacato che la Corte di cassazione può esercitare sui vizi della motivazione (per tutte, tra le tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri ; Rv. 273217).
La previsione del vizio di travisamento della prova, invero, lungi dal consentire di denunciare in sede di legittimità il “travisamento del fatto” da parte del giudice di merito, ha la funzione di rimediare ad errori commessi da parte di quest’ultimo nel considerare una prova in realtà inesistente o nell’omettere una prova presente nel compendio processuale, purché l’errore sia in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugNOME per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati e abbia comunque un oggetto definito e non opinabile (ex multis, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 1, n. 54281 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 272492). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure, come quella in esame, che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
Nessuna disarticolazione del costrutto argomentativo è riscontrabile nel caso in esame, dove la sentenza impugnata ha coerentemente ricavato la quantità di hashish pari a cinque chili, alla luce delle circ:ostanze del caso concreto: si tratta di sostanza che COGNOME NOME importava in ingente quantità e rivendeva ad acquirenti/spacciatori, che poi smerciavano al dettaglio; nel corso della conversazione ambientale tra i due, inoltre, COGNOME stabiliva il prezzo al chilo delle diverse qualità di marijuana e haschisch. Proprio in tale contesto NOME affermava di avere venduto “5” a un acquirente/spacciatore.
Al riguardo, va rammentato che le Sezioni Unite Sebbar hanno affermato che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715).
6.2. Il secondo motivo, che lamenta il vizio di motivazione con riferimento al concorso nell’altrui detenzione di 10 kg. di hashish, è inammissibile, in quanto assertivo e rivalutativo, e privo di concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che ha compiutamente illustrato le circostanze per le quali è stato riconosciuto il concorso nella detenzione con NOME (p. 94 sentenza). In particolare, la sentenza ha evidenziato che NOME si era recato il giorno prima con NOME nel garage di quest’ultimo per vedere dove sarebbe stata sistemata la sostanza stupefacente e che il giorno dell’arrivo era torNOME e aveva aperto il borsone – ove era custodito lo stupefacente – insieme a NOME. Si tratta di una condotta, accertata dalle immagini captate dalla telecamera, che non integra gli estremi della connivenza, e dalla quale è stata coerentemente desunta la partecipazione all’altrui attività criminosa, che può manifestarsi in forme che agevolino detta detenzione, anche solo assicurando ai concorrente una relativa sicurezza (Sez. 6, n. 2297 del 13/11/2013, Paladini, Rv. 258244).
Al riguardo, è pacifico che, in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, come verificatosi nel caso in esame, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito (Sez. 6, n. 44633 del 31/10/2013, Dioum, Rv. 257810 – 01).
7.Ricorso di COGNOME NOME.
Il ricorso di COGNOME NOME, che lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione agli artt. 73 d.P.R. cit., 56 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., con riguardo al capo 19) di imputazione, è inammissibile.
Ribadendo il già richiamato principio per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, deve evidenziarsi che la Corte, in realtà, ha applicato correttamente le disposizioni e di ciò ha fornito adeguata e coerente motivazione.
Infatti, assumendo che, ai fini della configurabilità del concorso nel delitto di cui all’art. 73 d.P.R. cit., il concorrente deve attuare un contributo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa (Sez. 6, n. 2297 del 13/11/2013, Rv. 258244; Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rv. 265167), dalle intercettazioni ha dedotto con certezza il ruolo attivo svolto dall’imputato nell’accordo volto all’acquisto della sostanza: la richiesta di 200 grammi di droga viene rivolta dal COGNOME proprio all’NOME, recatosi all’appuntamento presso il distributore di carburante unitamente ad “NOME” (NOME). Inoltre, per quanto concerne gli accadimenti del giorno successivo, la sentenza impugnata ha chiarito che, se è vero che NOME e NOME si incontravano previo contatto esclusivo tra loro, è altrettanto vero che, dopo circa venti minuti, NOME contattava NOME comunicandogli che “stavano andando” (con COGNOME NOME) in modo da rassicurarlo.
In ordine alla doglianza circa l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal COGNOME, si rinvia a quanto già esposto con riferimento al ricorso proposto da NOME COGNOME, rilevando che il tenore delle intercettazioni è stato ritenuto talmente eloquente da non avere necessità di riscontri.
8. Ricorso di COGNOME NOME.
8.1. Il primo ed i secondo motivo, con i quali si deduce la violazione di legge in relazione ai criteri di valutazione della prova del reato di cui all’art. 73 d.P. cit., sono inammissibili, perchè si limitano a prospettare una, non consentita, rivalutazione del compendio probatorio.
Dalla lettura complessiva della sentenza’ è evidente che, nel caso di specie, la Corte non abbia violato la disposizione di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., poiché le dichiarazioni intercettate provano, al di là di ogni ragionevole dubbio, il coinvolgimento diretto del ricorrente nella fattispecie delittuosa: COGNOME NOME si era recato a Sarno da NOME proprio per prelevare un “saggio” della sostanza, che avrebbe dovuto rifornire. L’imputato chiedeva, in particolare, a COGNOME se NOME, e cioè il capo dell’associazione, era interessato all’acquisto di droga leggera e COGNOME rispondeva testualmente «Sono qui per questo». Dopodichè COGNOME chiedeva della carta argentata per il trasporto di «quella roba li» (evidentemente la marijuana) e chiariva che COGNOME avrebbe dovuto discutere il prezzo direttamente con COGNOME. (p. 71 sentenza).
La Corte di appello, con motivazione del tutto logica, ha ritenuto evidente che COGNOME si era recato dall’imputato per prelevare la marijuana e che aveva bisogno di carta argentata per il trasporto, onde neutralizzarne l’odore intenso; neppure si poteva affermare – come evidenziato correttamente dalla Corte – che la quantità fosse al di sotto della soglia minima di offensiv i tà, atteso che, diversamente, COGNOME non avrebbe avuto necessità della carta stagnola per il trasporto. Del resto, nel proseguo della conversazione, COGNOME parlava proprio di erba da fornire a COGNOME per un prezzo da trattare con COGNOME, di tal ché quella consegna doveva chiaramente ritenersi parte di una fornitura più ingente, certamente non riconducibile a una cessione priva di rilevanza penale.
8.2. Il terzo motivo, con il quale si lamenta la violazione di legge e il difetto d motivazione in relazione al mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit., è inammissibile, perché interamente declinata in fatto.
La Corte d’appello ha, in ogni caso, puntualmente sottolineato la impossibilità di riconoscere la fattispecie invocata, avendo riguardo alla conversazione sopra riportata e al fatto che da essa emergeva la disponibilità, in capo a COGNOME, di “erba” della quale doveva trattare direttamente con il capo del RAGIONE_SOCIALE e cioè COGNOME. Al di là, dunque, del dato ponderale non accertato, è corretto ritenere, come osservato nella sentenza impugnata, che la intercettazione dimostra che non si tratta di un piccolo spaccio pur non occasionale, ma di un frammento di un’attività di fornitura ben consolidata e svolta dialogando con i vertici del sodalizio.
9.Ricorso di NOME NOME.
Il ricorso è inammissibile perché si limita, con riferimento al capo 14) della imputazione, a richiarhare astrattamente i principi di diritto che regolano la materia della valutazione della prova e l’obbligo di motivazione, senza confrontarsi concretamente con la sentenza impugnata, la quale ha, correttamente, ritenuto che la lettura sequenziale degli atti di indagine consenta di superare ogni dubbio circa il ruolo dell’imputato nella vicenda.
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che è pacifico che, in data 4 gennaio 2018, NOME e COGNOME, previo appuntamento, COGNOME sms, tra l’utenza di COGNOME e l’utenza 3773589442, incontravano NOME COGNOME, riconosciuto dagli operanti e appellato con il suo nome di battesimo “NOME” da NOME, il quale si appartava, poi, con il ricorrente per parlare liberamente. Il giorno successivo, COGNOME concordava un appuntamento in luogo prestabilito con l’utilizzatore del cellullare contattato il giorno prima; e, in effetti, a quell’ora COGNOME COGNOME n pressi della abitazione di COGNOME con una autovettura, dalla quale prelevava una grossa scatola. Da casa di COGNOME usciva, poi, COGNOMECOGNOME COGNOME si recava presso la propria abitazione, ove era perquisito e trovato in possesso della droga di cui al capo di imputazione. La Corte di appello, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, ha ritenuto che, mentre non vi era la prova che fosse stato COGNOME a portare la sostanza stupefacente a COGNOME, viceversa, era pacificamente dimostrato che COGNOME NOME si fosse incontrato il giorno prima con COGNOME e, con la medesima utenza, avesse preso appuntamento con il suo vice ad un certo orario; successivamente a tale incontro, COGNOME NOME aveva la disponibilità della sostanza stupefacente presente all’interno di una autovettura noleggiata qualche giorno prima da COGNOME, risultandone, in tal modo, adeguatamente motivato il contributo concorsuale. 10. Ricorso di COGNOME NOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso – che contesta la ricostruzione dei fatti accertata con riferimento al capo 17) di imputazione – è inammissibile perché sollecita una non consentita rivalutazione del merito, mediante reinterpretazione delle intercettazioni, e, addirittura, richiami all’ordinanza di custodia cautelare (che, evidentemente, non appartiene alla base cognitiva e valutativa della Corte di cassazione).
Va, al contrario, evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente motivato in ordine al coinvolgimento dell’imputato nella vicenda illecita contestatagli, in conformità ai principi, richiamati nei paragrafi che precedono, affermati dalle Sezioni Unite Sebbar.
La Corte di appello ha, puntualmente, rimarcato che la correttezza della identificazione dell’imputato riposava su elementi convincenti oltre ogni
ragionevole dubbio: a) l’appuntamento tra COGNOME e il soggetto di Sarno che utilizzava l’utenza già utilizzata da NOME COGNOME per la commissione del reato a lui ascritto; b) la conversazione nel corso della quale COGNOME chiamava l’imputato “NOME” e sosteneva «questo me lo devo vendere», c) la conversazione tra COGNOME e COGNOME, che commentavano il debito che avevano nei confronti di NOME, il quale aveva ceduto “25”; d) la circostanza che il 24 febbraio 2018 COGNOME prendeva contatti con l’utenza già in uso ai NOME e la polizia giudiziaria osservava in Salerno l’incontro tra COGNOME NOME e COGNOME NOME. In quel contesto, inoltre, nella intercettazione ambientale, COGNOME appellava chiaramente l’interlocutore come NOME.
La Corte d’appello ha, inoltre, sottolineato come l’interpretazione della telefonata del 19 gennaio 2018 fornita dalla difesa fosse erronea: l’informativa, legittimamente acquisita in forza del rito prescelto dall’imputato, evidenziava, infatti, che NOME si riferiva all’interlocutore per la vendita del fumo che gli stava consegnando (“questo te lo devi vendere”) e non ad un terzo, che avrebbe dovuto venderlo e, nel medesimo senso, doveva essere, pertanto, interpretata la risposta di COGNOME.
11. Ricorso di COGNOME.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è inammissibile.
11.1. Il primo motivo, con il quale si lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione ai capi 26) e 31) dell’imputazione, è generico, perché sollecita una rilettura alternativa degli elementi di fatto.
Dalla lettura del provvedimento impugNOME emerge, al contrario, che la Corte ha fatto buon governo dei principi che regolano la prova, fornendo adeguata motivazione.
Occorre osservare che, in tema di stupefacenti, il delitto di cessione può perfezionarsi, in conformità alle modalità realizzative del reato progressivo, in forma contratta, al momento dell’accordo tra cedente e cessionario, nel caso in cui ad esso non segua la dazione, e in forma ordinaria, con la materiale consegna della sostanza, nel caso in cui intervenga la traditio, nella quale è assorbito, perdendo la propria autonomia, il previo accordo (Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, Tramentozzi, Rv. 284984).
11.1.1. Nel caso in esame, con riguardo al reato di cui al capo 26) di imputazione, la Corte territoriale, dal compendio probatorio, ha desunto tanto il motivo dell’incontro, quanto l’oggetto dell’accordo.
In particolare, la Corte di appello ha dato atto che, dalla intercettazione richiamata, si evince chiaramente che:
-previ SMS, COGNOME e COGNOME concordavano un incontro il 7 marzo 2018 nell’auto di COGNOME;
–COGNOME invitava COGNOME a non parlare all’interno della vettura, così evidenziando il carattere illecito dei loro affari;
–COGNOME chiedeva: «chi ci sta?» e COGNOME rispondeva: «I carabinieri, stanno qui a terra», aggiungendo: «tanto addosso non ho niente»;
COGNOME manifestava preoccupazione perché «teneva la cosa addosso» e imprecava contro COGNOME, che «gli combinava solo guai»;
–COGNOME invitava, quindi, COGNOME ad andarsene.
Correttamente la Corte di appello ha ritenuto chiaro il motivo dell’incontro, e cioè la cessione di droga da parte di COGNOME a COGNOME, il quale era ben consapevole che il primo aveva la disponibilità della droga, perché ovviamente gliela aveva richiesta; e, proprio per questo, COGNOME imprecava contro di lui sostenendo che «gli combinava solo guai».
11.1.2. Con riferimento, invece, al reato di cui al capo 31; di imputazione, la difesa si duole del fatto che non vi sarebbero sufficienti elementi dai quali desumere con certezza che COGNOME fosse il terminale di una cessione di 25 gr. di sostanza stupefacente.
Rispetto a tale doglianza, di contro, deve ravvisarsi la corretta applicazione che la Corte territoriale ha fatto del principio per il quale, in tema di stupefacenti la vicenda deve essere valutata nella sua interezza (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076); infatti, la sentenza ha attribuito rilevanza non tanto e non solo al dato quantitativo (25 gr. di cocaina), ma altresì a tutte le ulteriori circostanze in cui si è sviluppata la vicenda, i contatti tra COGNOME e COGNOME per la fornitura, il ruolo del COGNOME, braccio destro del capo del RAGIONE_SOCIALE, con cui il ricorrente aveva stretti contatti, nonché la vicinanza temporale degli episodi contestati e il debito accumulato dal ricorrente.
11.2. Tali elementi sono stati evidenziati altresì per escludere la configurabilità dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. cit.
Al riguardo, il relativo motivo di doglianza si risolve in una contestazione della valutazione ed in una rilettura degli elementi di fatto, determinandone, di conseguenza, il vaglio di inammissibilità.
12. Ricorso di NOME.
Il ricorso è inammissibile perché generico.
COGNOME non si confronta con la sentenza impugnata, limitandosi a formulare argomentazioni astratte ed assertive sulla valenza indiziaria delle intercettazioni.
12.1.La Corte di appello ha adeguatamente argomentato che, con riferimento al capo 10) di imputazione, premesso che la consegna del pacco con apposta
l’etichetta “Zalando” da parte di COGNOME a NOME non era neppure contestata, in virtù degli SMS intercorsi tra il ricorrente ed il COGNOME, della consegna fulminea del pacco, nonché della valutazione complessiva dei traffici e delle intercettazioni, non era a possibile ricavare una ricostruzione alternativa dei fatti.
12.2, Analoghe considerazioni vanno svolte con riferimento all’episodio di cui al capo 15) di imputazione, rispetto al quale il riferimento al debito pregresso con COGNOME è stato collegato alla nuova consegna della sostanza.
(4,)
Tale circostanza ha, inoltre, trovato riscontro nelle dichiarazioni ammissive del COGNOME, in relazione alle quali si richiama quanto osservato al paragrafo 4.1.2. del Considerato in diritto.
Alla inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, consegue la condanna ai pagamento delle spese processuali e, considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che i predetti ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cuì al capo 18) nei confronti di NOME e, per l’effetto estensivo, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rinviando per nuovo giudizio su tale capo alla Corte di appello di Napoli.
Dichiara inammissibili nel resto i predetti ricorsi.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16 novembre 2023
Il Presidente