Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5837 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5837 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Cerignola il 20/10/1983 COGNOME NOME nato a San Ferdinando di Puglia il 16/06/1974 COGNOME NOME nato a Cerignola il 11/10/1981
avverso la sentenza del 11/02/2022 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito per l’imputato COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso. udito per gli imputati COGNOME Giuseppe e COGNOME NOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e
l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 11/02/2022, la Corte di appello di Bari, in parziale rifor della sentenza pronunciata in data 16/07/2015 dal Tribunale di Foggia, confermata l’affermazione di responsabilità di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione al reato ascritto al capo e) dell’imputazione – il detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina -, riduceva la pena inf agli imputati ad anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa ciascuno.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.
COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia NOME COGNOME, propone cinque motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 110 cod.pen. e 19 cod.proc.pen. e omessa motivazione in ordine all’identificazione dell’imputato.
Argomenta che la Corte di appello aveva condiviso il giudizio espresso da giudice di primo grado in ordine alla identificazione del COGNOME NOME richiamando la giurisprudenza sulla certezza dell’identificatore nel riconoscer voce, senza dare riposta alle specifiche censure mosse con l’atto di appello difesa aveva contestato la correttezza del riconoscimento vocale da parte de operanti della polizia giudiziaria, evidenziando che l’approccio sensoriale risultato pieno di insidie già nella fase percettiva della voce, la quale, a di di una impronta digitale o genetica, non è immutabile e non possied caratteristiche sufficientemente univoche da consentire la distinzione di persona dall’altra; alla questione sollevata dalla difesa non era stata risposta, neppure implicita, nella sentenza impugnata, con conseguente nulli della sentenza.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 49 cod.pen., 533 cod.proc.pen. e 73 d.P.R. n. 309/1990 e illogicità della motivazione in relazion capo e) dell’imputazione.
Argomenta che la responsabilità del COGNOME era stata basata in manier esclusiva sulle intercettazioni telefoniche e ambientali prive di riscontri f non essendo stata dimostrata la disponibilità, quantità e qualità della sos stupefacente, trattandosi di cd droga parlata; lamenta, poi, che la Corte di ap non aveva sconfessato la ricostruzione alternativa e plausibile prospettata d difesa e cioè l’uso di gruppo; evidenzia, infine, che, qualora non si vo accedere alla conclusione dell’uso di gruppo, risultava l’inesistenza dell’oggett reato, cioè della sostanza stupefacente, e, quindi, era evidente la configura dell’ipotesi disciplinata dall’art. 49, comma 2, cod.pen.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 73, comma 5, cod.proc.pen. vizio di motivazione.
Lamenta che la Corte di appello aveva denegato la configurabilità dell’ipote di lieve entità, dando rilievo solo al dato quantitativo, senza motivare sulle r per le quali tale elemento era stato ritenuto assorbente rispetto agli altri favorevoli all’inquadramento della vicenda nel disposto del comma 5 dell’art. del d.P.R. n. 309/1990; l’assenza di riscontri dello spaccio nonché della quant qualità della sostanza stupefacente lasciava propendere per una ipot ricollegabile al più piccolo spaccio o spaccio da strada; inoltre, la motivazione sentenza era illogica nella parte in cui con riferimento allo stesso capo e) a riconosciuto la configurabilità dell’ipotesi lieve con riferimento alla posizio coimputato COGNOME, relativamente al quale era stata provata almeno un cessione mentre tale prova difettava per il COGNOME.
Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 73, comma 6 dpr n. 309/1990, 110 cod.pen. e 125 cod.proc.pen., omessa motivazione e travisamento della prova.
Argomenta che la Corte territoriale aveva ritenuto configurabile la circostan aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. n. 309/1990, l’aver agito con t più persone, in difetto di prova che le presunte cessioni fossero state real sempre in presenza dei tre imputati.
Con il quinto motivo deduce violazione degli artt. 69, 62-bis, 132 e 1 cod.pen. e vizio di motivazione in ordine all’equivalenza delle attenuanti generi con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990.
Lamenta che la Corte di appello aveva confermato il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 73 d.P. 309/1990 senza esprimere motivazione sul punto, così sottraendo il controllo legittimità sull’operazione di bilanciamento tra le circostanze.
COGNOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME propone quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 56 cod.pen. in relazione reato ascritto al ricorrente al capo e) dell’imputazione.
Lamenta che, pur menzionata in imputazione la norma di cui all’art. 56 cod.pen. relativa al delitto tentato, i Giudici di merito, sia nella sentenza d grado che in quella appellata, non avevano effettuato alcun riferimento alla nor in questione e non avevano applicato il relativo trattamento sanzionatorio; assenza di una modifica del capo di imputazione era stata stravolta l’origin imputazione sotto il profilo fattuale con conseguente nullità della sentenza.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 268, comma 3 e 271 cod.proc.pen.
Argomenta che la Corte di appello aveva disatteso l’eccezione di inutilizzabil di tutte le intercettazioni ambientali disposte presso l’appartamento ubicat
Margherita di Savoia con motivazione apparente in ordine alla insufficienza e inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblic motivazione, inoltre, non aveva chiarito gli aspetti fondamentali rela all’urgenza; la motivazione della Corte di appello era, quindi, carente sia in m ai caratteri di insufficienza e di inidoneità degli impianti che alle ragioni ecce di urgenza con riferimento alla specifica indagine; la difesa aveva dimostrato apposita consulenza tecnica che, in realtà, gli impianti installati presso la P della Repubblica erano idonei all’espletamento delle intercettazioni telefoniche, cui non si comprendeva perché non lo fossero anche per le intercettazion ambientali.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione, per contraddittorietà manifesta illogicità, in ordine all’identificazione dell’imputato.
Lamenta che l’identificazione del ricorrente, quale uno dei conversanti ne intercettazione ambientale del 26.04.2008, era avvenuta a mezzo di riconoscimento vocale da parte della PG, che aveva raffrontato gli esiti d intercettazioni telefoniche delle utenze cellulari in uso agli stessi imputat intercettazioni telefoniche era emersa confusione sul nome del COGNOME, alcune vol attribuito a quello del COGNOME, come emergente anche dalle dichiarazioni res dall’operatore di P.G. COGNOME, e tale dato rendeva viziata la motivazione d sentenza impugnata; inoltre, non era stato accertato con assoluta evidenza c l’utenza telefonica intercettata fosse riferibile al COGNOME, non essendo presente riferimento personale o familiare esterno; a tanto deve aggiungersi che non e stato effettuato alcun sequestro di sostanza stupefacente e si vedeva, dunque un’ipotesi di droga parlata, in ordine alla quale occorre il massimo rigore valutazione delle prove.
Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n 309/1190 e vizio di motivazione.
Lamenta che la motivazione della Corte di appello in ordine alla no configurabilità dell’ipotesi lieve era erronea e viziata da illogicità, in quanto qualitativo e ponderale non aveva avuto riscontri oggettivi a seguito di seques né era stato valutato globalmente il fatto, l’assenza di cessioni ed il brev temporale delle intercettazioni.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge vizio di motivazione in ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. n. 309/1990 e mancato riconoscimento in forma prevalente delle riconosciute circostanze attenuanti generiche.
Lamenta che la Corte di appello aveva confermato la sussistenza della circostanza aggravante del numero delle persone e il giudizio di bilanciamento termini di equivalenza con le concesse attenuanti generiche, con motivazion
apparente o manifestamente illogica, limitandosi a richiamare le argomentazioni del primo giudice e senza considerare l’assenza di sequestri e di riscontri oggettivi e la presenza tra i partecipanti alla presunta attività di detenzione di soggetti che facevano uso esclusivamente personale dello stupefacente, nonché l’incensuratezza ed il comportamento processuale dell’imputato.
Deramo NOMECOGNOME con un primo ricorso a firma del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME propone tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 56 cod.pen. e vizio di motivazione.
Lamenta che nonostante il capo di imputazione contenesse la contestazione del tentativo ed in assenza di modifica della stessa, non era stata valutata ed applicata la riduzione di pena prevista dal legislatore per tale ipotesi di reato.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’ad. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.
Lamenta che la motivazione della Corte di appello in ordine alla non configurabilità dell’ipotesi lieve era erronea viziata da illogicità, in quanto il da qualitativo e ponderale non aveva avuto riscontri oggettivi a seguito di sequestro né era stato valutato globalmente il fatto, l’assenza di cessioni ed il breve lasso temporale delle intercettazioni, nonché l’incensuratezza ed il comportamento processuale dell’imputato.
Deramo NOMECOGNOME poi, con un secondo ricorso a firma del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME propone due motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla disamina delle dichiarazioni rese dagli imputati in sede di intercettazioni ambientali con riferimento all’uso personale di sostanza stupefacente.
Argomenta che la Corte di appello aveva ritenuto pienamente provata la detenzione ai fini di spacco alla luce delle conversazioni intercettate, con motivazione insoddisfacente, in assenza di qualsivoglia riscontro eterno in grado di avvalorare tale tesi; evidenzia che, vedendosi in ipotesi di “droga parlata,” è richiesto al Giudice un rigoroso onere motivazionale, mentre la Corte territoriale si era limitata a ripercorrere l’iter motivazionale del Giudice di primo grado, trascurando quasi totalmente le doglianze emesse nei motivi di appello; rimarca che, pur incontestato che l’oggetto principale delle conversazione fosse costituito dall’utilizzo di cocaina, non era da escludere che la finalità degli incontri fosse la sola assunzione di cocaina tra gli imputati, essendo plausibile la preparazione di un numero imprecisato di dosi senza comprenderne bene la reale destinazione, non essendo stato intercettato o osservato alcun presunto appuntamento per la cessione.
Con il secondo motivo di ricorso deduce erronea applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.
Lamenta che la Corte di appello aveva negato il riconoscimento dell’ipotesi lieve richiamando, con motivazione scarna, il solo dato quantitativo dello stupefacente, in assenza di riscontri, quali sequestri ed analisi chimiche sulla sostanza stupefacente; l’interpretazione del dato quantitativo, poi, era irrazionale perché non era dato comprendere l’unità di misura utilizzata dagli interlocutori per suddividere e sezionare la droga; dato neutro era anche il percepito rumore del frullatore, in quanto il luogo della intercettazione ambientale era un appartamento, che, in quanto tale, poteva essere dotato anche di piccoli elettrodomestici; il dato quantitativo, inoltre, era solo uno dei parametri del fatto, che andava valutato nella sua globalità, come affermato dalle Sezioni Unite Murolo.
Le difese dei ricorrenti hanno chiesto la trattazione orale dei ricorsi. Il Pg ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen. concludendo per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili, sulla base delle argomentazioni che seguono.
Il secondo motivo del ricorso di COGNOME COGNOME, avente carattere preliminare, è inammissibile.
Va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, il requisito della inidoneità o insufficienza degli impianti installati presso la procura della Repubblica – e quindi il ricorso legittimo ad impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria – deve essere valutato in riferimento alla relazione tra le caratteristiche delle operazioni di intercettazione nel caso concreto e le finalità perseguite attraverso tale mezzo di ricerca di prova, per le quali risultano inadeguati gli impianti dell’ufficio di procura ed invece necessarie le apparecchiature e gli impianti esterni (Sez. 2, n. 51022 del 02/11/2016, Rv. 268732 – 01; Sez. 6, n. 165 del 09/12/2004,Rv. 230843 – 01).
Quanto all’obbligo motivazionale, esso implica, per il caso di inidoneità funzionale degli impianti della Procura, che sia data contezza, seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni che li rendono concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed al tipo di indagini necessarie ( Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Rv. 236754).
E si è anche precisato che la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza, richieste dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., per l’esecuzione delle operazioni mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici
della procura può desumersi anche implicitamente dal riferimento all’attivi criminosa in corso indicata non solo nel provvedimento del pubblico ministero, ma anche complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento (Sez.6, n. 30994 del 05/04/2018, Rv.273594).
Nella specie, come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, il Pm nel decreto, emesso ai sensi dell’art. 268, comma 3, cod.proc.pen., sulla b dell’urgenza di provvedere al fine di evitare il disperdersi di elementi investi di rilievo, aveva autorizzato l’espletamento delle intercettazioni ambientali pr impianti diversi da quelli della Procura, dava specifica contezza dei motivi p quali le operazioni venivano eseguite presso impianti non in dotazione alla Procur recependo le indicazioni ed i dati fattuali provenienti dall’ausiliario tecnico.
Ebbene, il ricorrente, in sostanza, lamenta non un’omessa motivazione in ordine alla inidoneità funzionale degli impianti della Procura ma contesta il mer della valutazione di inidoneità ed insufficienza dei predetti impianti, a mezz apposita consulenza di parte depositata nel giudizio di merito.
Trattasi di inammissibile censura di merito, che non può trovare ingresso sede di legittimità, a fronte di adeguata motivazione espressa dal Pm, in aderen agli elementi di valutazione esistenti al momento dell’emissione del provvedimento autorizzativo.
Il primo motivo del ricorso di COGNOME Lorenzo ed il primo motivo del ricorso di COGNOME NOME (a firma dell’avv. NOME COGNOME), che si trattan congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono manifestamenti infondati.
Come evincibile chiaramente dalle sentenze di merito, i ricorrenti sono sta condannati per la sola condotta di detenzione illecita ed assolti da tutti gl reati contestati al capo e) con la formula “perché il fatto non sussiste”; or nel capo e) il tentativo è riferito alla sola condotta di vendita (“tentav vendere”), per la quale, quindi, non vi è stata affermazione di responsabilità conseguentemente, alcun effetto poteva determinarsi sul trattamento sanzionatorio.
Il primo motivo di ricorso di COGNOME NOME ed il terzo motivo di ricors di COGNOME Lorenzo, che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono manifestamenti infondati.
Va osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fin dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercett il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giud che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconosciment incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare oggettivi eleme
sintomatici di segno contrario (Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, Rv. 269900 01; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep.20/03/2014, Rv. 259478 – 01).
Ed è stato precisato che, in tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze – quali i contenuti delle conversazioni intercettate; il riconoscimento delle voci da parte del personale della polizia giudiziaria; le intestazioni formali delle schede telefoniche – che consentano di risalire con certezza all’identità degli interlocutori, mentre incombe sulla parte che contesti il riconoscimento l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario( Sez. 5, n. 20610 del 09/03/2021, Rv. 281265 – 02).
Nella specie, la Corte territoriale, in linea con i suesposti principi di diritto, confermato la valutazione del primo giudice, rimarcando che l’identificazione dei ricorrenti come soggetti conversanti nella intercettazione ambientale del 26/04/2008 non era stata basata solo su riconoscimento vocale effettuato dal personale della P.G., ma anche su precisi elementi fattuali emersi sia dal contenuto delle conversazioni intercettate (i nomi di battesimo con i quali i conversanti si chiamavano durante l’intercettazione) che dal raffronto con altre conversazioni intercettate nelle utenze telefoniche intestate ed in uso agli stessi (utenze le quali, oltre ad essere intestate agli imputati, erano riconducibili agli stessi in ragione di riferimenti personali e familiari).
A fronte di tale adeguata e corretta motivazione, i ricorrenti propongono censure meramente contestative ed orientate a sollecitare una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.
Il secondo motivo del ricorso di COGNOME NOME ed il primo motivo del ricorso di COGNOME NOME (a firma dell’avv. NOME COGNOME, che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono manifestamente infondati.
Va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez.5, n.48286 del 12/07/2016, Rv.268414; Sez.4, n.31260 del 04/12/2012, dep.22/07/2013, Rv.256739;Sez. 2, n. 4976 del 12/01/2012, Soriano, Rv. 251812; Sez.4, n.35860 del 28/09/2006, Rv.235020;Sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, Primerano, Rv. 218392), secondo cui le dichiarazioni captate nel corso di attività di intercettazione (regolarmente autorizzata), con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria e non necessitano quindi di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Parimenti va richiamata quella giurisprudenza (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, del 08/01/2008, COGNOME, Rv. 239724) per la quale, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai
soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizi legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esper utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Rv.263715).
Va, infine, ricordato che questa Suprema Corte ha affermato che la prova dei reati di detenzione a fini di spaccio e di spaccio di sostanza stupefacente non d soltanto dal sequestro o dal rinvenimento della sostanza, potendo desumersi d altre risultanze probatorie, come dal contenuto delle conversazioni intercet (Sez.4,n.20129 del 25/06/2020, Rv.279251 – 01; Sez.4, n.48008 del 18/11/2009, Rv.245738).
Costituisce, dunque, ius receptum, il principio che, in tema di stupefacenti, l’esistenza del reato (anche quello di una associazione finalizzata al traff stupefacenti) può essere desunto anche dal solo contenuto delle conversazion intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una at illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun seq l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti in de altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affe responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse q e tipologie della droga movimentata (Sez. 3, n. 11655 del 11/02/2015, COGNOME ed altri, Rv. 262981).
Nella specie, la Corte territoriale, con valutazione in linea con i sues principi di diritto, ha confermato la decisione del primo giudice evidenziando, congrua motivazione, che nelle conversazioni intercettate gli imputati si riferiv in termini inequivoci alle operazioni di taglio di una partita di cocaina da dest allo spaccio (cfr. p 12 della sentenza impugnata e p 23 della sentenza di pri grado, ove si evidenzia come i conversanti facessero riferimento a “taglio”, una “pesatura”, ad un “bilancino” ad una “busta”, ad una “dose”, ai “grammi”, al “palline” a delle misure numeriche; in più occasioni i conversanti, poi, affermava di aver fatto una “botta” e che stavano “tirando” qualcosa).
La Corte territoriale, richiamando le valutazioni del primo giudice, rimarcato che le modalità dell’azione (taglio di una partita di cocaina; preparaz di dosi e confezionamento delle stesse a mezzo di bustine) e la quantità n modica emersa da contenuto delle conversazioni intercettate (“ho fatt cinquecentodieci”…. “duecento grammi tiene Gino”), escludevano l’uso personale e rendevano evidente la destinazione allo spaccio dello stupefacente detenuto (c p.12 della sentenza impugnata e p 24 della sentenza di primo grado).
Risulta, quindi, manifestamente infondata nonchè del tutto generica (perché priva di confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata), la deduzione
difensiva secondo cu risulterebbe non provato l’oggetto del reato ed applicabil disposto dell’art. 49, comma 2, cod.pen.
Nè risulta fondata la deduzione difensiva, con la quale si prospetta configurabilità dell’ipotesi del cd consumo di gruppo.
Va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte in tema di “consumo di gruppo” di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi acquisto congiunto che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrati sanzionato dall’art. 75 stesso d.P.R., a condizione che: a) l’acquirente sia uno assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri component gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anch finanziariamente all’acquisto (SU 28.5.1997 n 4, Iacolare e Sez. U, n.25401 d 31/01/2013, COGNOME Rv.255258 che ha precisato che con il riferimento all’us “esclusivamente personale”, inserito dall’art. 4-bis del D.L. n. 272 del 2005, c in legge n. 49 del 2006, il legislatore non ha introdotto una nuova norma pena incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientrant nell’uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la n punibilità riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a ter all’utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la codetengono).
Ne deriva che non ricorre tale l’ipotesi quando difetti la prova della parz coincidenza soggettiva tra acquirente e assuntore dello stupefacente; de certezza sin dall’origine dell’identità dei componenti il gruppo; della condi volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personal dell’intesa raggiunta in ordine al luogo e ai tempi del consumo; dell’immediatez degli effetti dell’acquisizione in capo agli interessati senza passaggi intermedi 4, n. 6782 del 23 gennaio 2014, Cheggour ed altro, Rv. 259285).
Nella specie, l’allegazione difensiva è del tutto generica quanto ai neces presupposti dell’ipotesi del cd consumo di gruppo, emergendo, al contrario dal motivazione della sentenza impugnata, congrua e priva di vizi logici, la detenzio della sostanza stupefacente a fini di spaccio.
6. Il terzo motivo del ricorso di COGNOME NOME, il quarto motivo del rico di COGNOME Lorenzo ed il secondo motivo di entrambi ricorsi di COGNOME NOME (a firma dell’avv. NOME COGNOME ed a firma dell’avv. NOME COGNOME), che trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono manifestamenti infondati.
La Corte di appello, all’esito della valutazione globale del fatto, ha rimar che la condotta contestata non poteva ricondursi all’ipotesi delittuosa di cui a 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, in considerazione sia delle modalità dell’azion
(il taglio di una partita di droga) che della quantità non modica della sostanza stupefacente trattata.
La valutazione, sorretta da congrue e logiche argomentazioni, è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia.
Va ricordato che, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’a 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa-, sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato -quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa (Sez.0 n.51063 del 27/09/2018; Sez.U, 24 giugno 2010, n 35737, Rv.247911; Sez.4, n.6732 del 22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3, n. 23945 del 29/04/2015, Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264490; Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264491).
Il quarto motivo del ricorso di COGNOME Giuseppe ed il quinto motivo del ricorso di COGNOME Lorenzo (con riferimento all’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. n. 309/1990), che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono inammissibili.
La censura relativa alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art 73, comma 6, d.P.R. n. 309/1990, come emerge dalla sentenza impugnata, non ha formato oggetto di specifico motivo di appello.
Va ricordato che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (Sez.2, n.31650 del 03/04/2017,Rv.270627 – 01).
Va, quindi, richiamato l’orientamento costante di questa Corte (Sez. U. 30.6.99, Piepoli, Rv. 213.981) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione; non possono, quindi, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione (Sez.3, n.16610 del 24/01/2017,Rv.269632), tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez.2, n.6131 del 29/01/2016, Rv.266202), ipotesi che non ricorre nella specie.
Il quinto motivo di ricorso di COGNOME NOME ed il quinto motivo del ricorso di COGNOME NOME (con riferimento al giudizio di bilanciamento delle circostanze), sono manifestamente infondati.
Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, per il corre adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerat sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pe gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espression potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinaz della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quand sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e altresì, logicamente corretto (Sez.2, n.3610 del 15/01/2014, Rv.260415 Sez.5,n.5579 del 26/09/2013, dep.04/02/2014, Rv.258874 – 01; Sez.4, n.25532 del 23/05/2007, Rv.236992).
Nel caso in esame la Corte territoriale, all’esito della valutazione glo del fatto, ha confermato la valutazione di equivalenza delle già conces circostanze attenuanti generiche, rimarcando l’assenza di elementi positivament valutabili per addivenire ad un giudizio di prevalenza. La motivazione è corre sul piano del diritto e non è sindacabile nel merito.
Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell’art. 616 proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna d ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende. Così deciso il 15/01/2025