Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1469 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1469 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nata a Termini Imerese il 12/10/1985 Milazzo NOME, nato a Palermo il 27/2/1974 NOMECOGNOME nato a Palermo il 28/2/1976 Sanfratello Salvatore, nato a Montemaggiore Belsito il 14/11/1965
avverso la sentenza del 27/10/2022 emessa dalla Corte di appello di Palermo visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito l’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME COGNOME il quale chiede l’accoglimento del ricorso; lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME il quale ha depositato certificato di morte chiedendo che venga
pronunciata sentenza di non doversi procedere.
La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado, con la quale gli imputati erano stati condannati in relazione a plurime ipotesi di cessioni di sostanza stupefacente, reati accertati essenzialmente sulla base delle intercettazioni telefoniche acquisite.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso NOME COGNOME che, tuttavia, nelle more del giudizio decedeva, come da certificazione prodotta dal difensore.
Nell’interesse di NOME COGNOME venivano formulati due motivi di impugnazione.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, sottolineando come la sentenza di condanna si fonda esclusivamente sull’interpretazione delle intercettazioni, dalle quali i giudici di merito hann contraddittoriamente desunto la prova delle cessioni di stupefacenti, nonostante non sia stato acquisito alcun ulteriore elemento.
Difetterebbe la prova dell’acquisto e della cessione dello stupefacente, peraltro, l’assenza di precedenti specifici avrebbe imposto una attenta valutazione della prova.
Segnala il ricorrente, inoltre, come la stessa Corte di appello da un lato dia atto del tenore non esplicito delle conversazioni, ma al contempo non trae le dovute conclusioni, ritenendo ugualmente di desumere la prova del reato oltre ogni ragionevole dubbio, nonostante nessuno tra gli acquirenti di stupefacenti sentiti in fase di indagine abbia riferito di aver acquistato droga dall’imputato.
3.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine a plurimi aspetti concernenti l’errata applicazione della recidiva, l’omessa concessione delle attenuanti generiche e il riconoscimento della tenuità del fatto, l’eccessiva quantificazione della pena e l’omessa riqualificazione del reato nella forma tentata.
In merito alla recidiva, si sottolinea come questa sia stata desunta dalla mera presenza di precedenti condanne, senza neppure valutare il fatto che i precedenti attengono a fatti di molto risalenti nel tempo e relativi a reati di diversa natura.
In ordine all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche e della tenuità del fatto, si deduce come la Corte di appello non abbia considerato la minima offensività delle condotte, per converso valorizzando la mancata resipiscenza e collaborazione, desunta dal fatto che l’imputato non aveva indicato il nominativo dei fornitori. Posto che è diritto dell’imputato di non fornire alcuna informazione,
tale condotta – processualmente lecita e garantita – non poteva tradursi in un pregiudizio in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio. Le medesime ragioni poste a fondamento della richiesta delle attenuanti generiche, avrebbero dovuto anche giustificare la non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Infine, si contesta in linea generale l’eccessività del trattamento sanzionatorio.
Con il primo motivo di ricorso, NOME COGNOME COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione con riguardo alla valutazione delle prove, consistenti esclusivamente in intercettazioni telefoniche, sottolineando come la stessa Corte di appello dava atto del tenore non esplicito delle conversazioni e della mancanza di qualsivoglia elemento di riscontro
4.1. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione al riconoscimento della recidiva, in relazione alla quale era stato valorizzato il solo dato desunto dalle intercettazioni svolte a carico di altra imputata – NOME COGNOME che indicava il Meli quale un abituale spacciatore.
Tali dichiarazioni, pur provenendo da una coimputata nel medesimo procedimento, non erano corroborate da elementi di riscontro, come richiesto dall’art 192, comma 3, cod.proc.pen.
Nell’interesse di NOME COGNOME veniva formulato un unico motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di motivazione relativamente al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, nonostante la condotta posta in essere dall’imputata risultava del tutto marginale rispetto a quelle realizzate dai coimputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre preliminarmente prendere atto del sopravvenuto decesso di NOME COGNOME come risultante dal certificato di morte prodotto dal difensore, da cui consegue la pronuncia di sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.
Il primo motivo di ricorso rispettivamente proposto nell’interesse di Sanfratello e Meli propone – sia pur con sfumature argomentative – la medesima questione inerente alla possibilità di ritenere provate le cessioni di stupefacente
sulla base del mero contenuto delle intercettazioni.
Entrambi gli imputati, inoltre, denunciano un profilo di contraddittorietà della motivazione, lì dove evidenziano come la stessa Corte di appello avrebbe ritenuto che le conversazioni avrebbero un tenore non esplicito.
Si tratta di una lettura volutamente parziale della sentenza impugnata che, invece, chiarisce come in più conversazioni (captate anche in ambientale) si discorra palesemente di cessioni di stupefacente (si veda p.8) facendo ricorso a termini quali “fumo” ed “erba” che, in assenza di qualsivoglia spiegazione alternativa, non possono che riferirsi a cessioni di marjuana.
L’inciso secondo cui le conversazioni non sarebbero “esplicite” è riferito solo ad alcune conversazione, in relazione alle quali, tuttavia, la Corte di appello ritiene – con motivazione immune da censure – di poter fornire una chiave interpretativa che conduce alla certa riferibilità dei colloqui all’attività illecita portata avanti da imputati.
Si tratta di una valutazione compiuta sulla base del vaglio complessivo delle intercettazioni e sull’assenza di qualsivoglia lettura alternativa indicativa di rapporti leciti che, del resto, non sono stati neppure indicati dagli imputati.
In tale quadro, deve ritenersi che sia stato pienamente rispettato il principio giurisprudenziale – al quale il giudice di appello si è espressamente richiamato secondo cui in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore ed, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez.6, n. 27434 del 14/2/2017, Albano, Rv. 270299).
Il secondo motivo di ricorso formulato nell’interesse di Sanfratello e complessivamente attinente al trattamento sanzionatorio, alla mancata derubricazione del fatto nell’ipotesi tentata ed all’omesso riconoscimento della tenuità del fatto è manifestamente infondato.
Per quanto attiene, in particolare, alla richiesta di derubricazione nell’ipotesi tentata, si rileva l’assoluta genericità del motivo che viene meramente evocato, senza che si fornisca adeguata argomentazione circa l’erroneità della motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato l’analoga doglianza (si veda p.13).
Parimenti inammissibile è la doglianza concernente la dedotta particolare tenuità del fatto, dovendosi rilevare che la questione non risulta esser stata specificamente prospettata in appello.
3.1. Le restanti questioni relative al riconoscimento della recidiva ed al più generale trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondate, in quanto non si confrontano con la puntuale motivazione resa su ciascun aspetto dalla Corte di appello. Con giudizio che non presenta aspetti di manifesta illogicità o contraddittorietà, il giudice di secondo grado ha illustrato le ragioni per cui dovesse riconoscersi la recidiva, sottolineando come la personalità dell’imputato, come risultante dai precedenti, è improntata alla reiterazione di condotte delittuose, in relazione alle quali i reati in esame costituiscono l’ulteriore dimostrazione dell’indifferenza rispetto all’osservanza del precetto penale. Si tratta di una valutazione di puro merito, adeguatamente motivata e, pertanto, sottratta alla rivalutazione in sede di legittimità.
Analoghe considerazioni valgono per il più generale profilo del trattamento sanzionatorio, avendo la Corte di appello indicato i parametri – tra quelli previsti dall’art. 133 cod.pen. – che hanno guidato la quantificazione della pena.
Considerazioni analoghe valgono anche in relazione al secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Meli, in relazione al quale occorre anche precisare che la gravità del fatto ben poteva essere dedotta dalle intercettazioni svolte a carico di altra coimputata, non occorrendo l’acquisizione di riscontri oggettivi ex art. 192, comma 3, cod.proc.pen.
Deve ribadirsi, infatti, che gli indizi di reità desumibili dal contenuto di intercettazioni di conversazioni del coimputato nel medesimo reato o dell’imputato in procedimento connesso non devono essere valutati ai sensi dell’art.192, comma 3, cod. proc. pen., bensì secondo il prudente apprezzamento del giudice (Sez.4, n. 31260 del 4/12/2012, dep.2013, COGNOME, Rv. 256739).
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile per genericità, posto che ci si limita a dedure un presunto ruolo marginale svolto dall’imputata, senza in alcun modo prendere posizione rispetto alla specifica argomentazione contenuta nella sentenza impugnata. La Corte di appello, infatti, ha – con motivazione logica e immune da censure – escluso la concedibilità delle attenuanti generiche sottolineando come la ricorrente non avesse affatto svolto un ruolo marginale, posto che aveva contribuito a creare una trama di compravendita di stupefacenti, mettendo in contatto il procacciatore di stupefacente con il successivo rivenditore. Si tratta di un elemento specifico e idoneo ad escludere
l’attenuante richiesta, a fronte del quale mancanza una adeguata censura suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
Alla luce di tali considerazioni, i ricorsi proposti da COGNOME Sanfratello e COGNOME devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Milazzo NOME perché il reato è estinto per morte dell’imputato.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME Salvatore e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Così deciso il 4 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Presidente