Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 32155 Anno 2025
RITENUTO IN FATTO Penale Sent. Sez. 4 Num. 32155 Anno 2025 Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Con sentenza del 9 luglio 2024 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanissetta aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati di cui all’art. 73, Data Udienza: 01/07/2025
comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 -così diversamente qualificati i reati a lui ascritti ai capi 1), 3), 4) e 6) della rubrica – , unificati dal vincolo della continuazione e, riconosciuto più grave il reato di cui al capo 1), applicata la contesta recidiva lo condannava alla pena ritenuta di giustizia; aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 73, comma 5, medesimo decreto – così diversamente qualificato il reato allo stesso ascritto -e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia.
1.2. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Caltanissetta, parzialmente riformando la predetta sentenza di primo grado per avere eliminato nei confronti di entrambi gli imputati la pena accessoria del divieto di espatrio applicata dal primo Giudice, ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza di appello propongono ricorso gli imputati, con distinti atti e per il tramite di distinti difensori, i cui motivi si enunciano nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173 disp. att. cod. proc. pen.).
Il ricorso di NOME COGNOME consta di quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione per la mancanza di un’autonoma motivazione per avere le sentenze di merito integralmente recepito le argomentazioni della c.n.r., riportandole a stampa ed aver trascritto le intercettazioni effettuate dalla p.g. senza un’autonoma valutazione ;
3.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione della prova ex art. 192 (per travisamento della prova sulla versione alternativa dei fatti offerta dalla difesa con la produzione dei documenti attestanti la liceità dei rapporti con NOME e delle intercettazioni di cui al capo 6) e all’art. 73 d.P.R. 309/90. I Giudici del merito avrebbero dato alle captazioni un significato non logicamente riscontrato ed anche travisato laddove con riguardo al capo 1), hanno dato per scontato che si tratti di cocaina solo con il riferimento ai dialoghi generici e non evidenziando nulla in ordine ai fotogrammi dai quali risultava che nessuna sostanza era stata consegnata al Turco dagli COGNOME. La ricostruzione operata dai Giudici di merito sarebbe altresì smentita dal tenore della captazione tra il ricorrente ed il Turco ove emergerebbe che si parla di pratiche di lavoratori o pensionistiche per le quali il Turco istruisce i relativi procedimenti amministrativi per gli COGNOME e il personale della loro ditta. Lo scambio della sostanza stupefacente sarebbe altresì smentito dai videogrammi che raffigurano auto e persone che entrano ed escono dal garage degli COGNOME senza tenere nulla in mano. Quanto sopra vale
anche per i capi 3) e 4) con cui l’imputato viene chiamato a rispondere, in concorso con NOME, per i fatti del 5 e 6 febbraio 2020, nonché per i fatti del 29 febbraio 2020 in concorso con NOME COGNOME. Le captazioni non dimostrerebbero che NOME abbia acquistato la sostanza da COGNOME. Lo stesso andrebbe detto per le captazioni del 5 febbraio 2020 in cui non vi è assoluta prova che NOME abbia trasportato da somma da Sommatino a Caltanissetta o, al contrario, per conto di COGNOME, in quanto le intercettazioni captate sono generiche. I prezzi di cui si parla si riferirebbero a questioni agricole, tant’è vero che sono state prodotte le dichiarazioni UNILAV atte a dimostrare che l’imputato era il datore di lavoro di NOME e che le conversazioni si riferivano a questioni riguardanti il lavoro agricolo. Lo stesso va detto per i fatti del 29 febbraio 2020, in cui le captazioni tra NOME COGNOME e NOME non accennano minimamente alla figura d ell’ Avarello. Quanto al capo 6), apparirebbe evidente che COGNOME e COGNOME parlano di una vendita di una macchina e non di una cessione di droga;
3.3. Con il terzo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 99 cod. pen. per avere ritenuto la recidiva specifica infraquinquennale senza il preventivo raffronto con le precedenti condanne e senza valutazione della sussistenza della pericolosità;
3.4. Con il quarto motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62 -bis cod. pen. e dall’art. 133 cod. pen., anche con riferimento ai limiti edittali della pena, tenuto conto che, nel periodo precedente alla riforma di cui al d.l. 123/23 , l’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 prevedeva una pena da sei mesi a quattro anni.
Il ricorso di NOME COGNOME consta di un unico motivo con cui si deducono mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Le intercettazioni non sono state riscontrate dal rinvenimento di sostanza stupefacente (o dei proventi della asserita cessione della sostanza) e nemmeno dall’osservazione, diretta o con riprese video, di una materiale traditio di sostanza illecita. Il fatto che gli inquirenti abbiano osservato l’incontro tra i soggetti indicati nelle conversazioni telefoniche captate non dimostra la ritenuta cessione della sostanza, che deve essere provata.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
2. Il primo motivo di NOME COGNOME è manifestamente infondato. Il dedotto vizio di motivazione a causa della violazione degli artt. 546 e 125 cod. proc. pen. per la mancanza di autonoma valutazione, in quanto entrambe le sentenze di merito avrebbero meramente riprodotto il contenuto dell’ordinanza cautelare, appare del tutto generico e aspecifico. Con motivazione congrua, la Corte territoriale ha osservato che, trattandosi di giudizio abbreviato, i dati di fatto non possono che coincidere con il c ontenuto dell’ordinanza cautelare e, comunque, il Giudice di merito ha sviluppato un percorso argomentativo ancorato agli acquisiti dati di fatto. La sentenza impugnata dà peraltro atto della assoluta genericità del medesimo rilievo sollevato nel giudizio di appello, non essendo state specificate le prospettazioni che non avrebbero trovato motivata risposta nel giudizio di primo grado.
Le doglianze con cui entrambi i ricorrenti contestano l’interpretazione data dai Giudici di merito alle conversazioni captate sono volte a minare la ricostruzione dei singoli episodi operata dalle sentenze di merito, preminentemente sulla base di queste. Risulta pertanto evidente che si tratta di doglianze che introducono censure che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità. È, del resto, noto il principio per cui, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337). In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, invero, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar , Rv. 263715).
Anche in relazione al precipuo onere motivazionale di cui è gravato il giudice nel caso di cosiddetta ‘droga parlata’, la sentenza impugnata si appalesa immune dalle sollevate censure. Questa Corte di legittimità ha chiarito come, in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma 2, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251; Sez. 6, n. 27434 del 14/2/2017, Albano, Rv. 270299;
Sez. 3, n. 16792 del 25/3/2015, COGNOME, Rv. 263356). In tema di stupefacenti costituisce, dunque, ius receptum il principio, a mente del quale l’esistenza del reato può essere desunta anche dal solo contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione. Di questi principi la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione, dando conto di un’attenta e scrupolosa valutazione delle conversazioni intercettate, dalle q uali ha reputato emergere, in termini di certezza, la sussistenza dei reati contestati (si vedano, in relazione a tutti gli episodi richiamati nel ricorso di NOME COGNOME, le pp. 2 e 3 della sentenza di appello; anche per NOME COGNOME la responsabilità penale per il reato contestato è fondata sul chiaro contenuto delle intercettazioni. Sul punto, si veda la p. 4 della sentenza di appello, ove si dà anche atto della genericità della doglianza).
Le censure sollevate da NOME COGNOME in punto di diniego delle circostanze di cui all’ art. 62bis cod. pen. e di riconoscimento della recidiva appaiono generiche e prive di correlazione con la motivazione della impugnata sentenza. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, la Corte di appello ne ha fondato il diniego sull’assenza di alcun elemento positivo per riconoscerle e sulla negativa personalità dell’imputato, risultante dei plurimi precedenti penali, anche specifici, a suo carico. Quanto alla recidiva specifica ed infraquinquennale, ha ricordato come l’imputato sia gravato da precedenti specifici che ha congruamente reputato rilevanti ai fini dell’aggravante, essendo la condotta oggetto del presente procedimento dimostrazione della proclività a delinquere dell’imputato. Diversamente da quanto assume il ricorrente, nelle pronuncia impugnata non vi è alcuna violazione della sentenza delle Sezioni Unite n. n. 32318 del 30/03/2023, citata dal ricorrente, la quale ha affermato che «In tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice ‘ (Rv. 284878).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 1° luglio 2025
Il Consigliere estensore NOME
Il Presidente NOME COGNOME