Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35309 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35309 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Campobasso il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Manfredonia (Fg) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 307/2023 della Corte di appello di Campobasso del 8 giugno 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi;
lette, altresì, le conclusioni scritte rassegnate nell’interesse dei ricorrenti, con del 23 febbraio 2024, dall’AVV_NOTAIO, del foro di Campobasso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Campobasso, adita dai due imputati, ha riformato, con sentenza pronunziata in data 8 giugno 2023, la precedente decisione, assunta dal Tribunale di Campobasso in data 15 giugno 2022 in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito ordinario, e con la quale era stat dichiarata la penale responsabilità di COGNOME NOME NOME di COGNOME NOME NOMEoltre che di COGNOME NOMENOME persona non interessata dal presente giudizio) in quanto entrambi colpevoli di delitti in materia di sostanze stupefacenti, riqualificati gli stessi rispetto alla originaria imputazione siccome espressivi fatti di lieve entità ed il solo COGNOME anche del delitto di ricettazione, di tal i predetti erano stati condannati l’COGNOME alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed euri 2.500,00 di multa ed il COGNOME alla pena di anni 4 di reclusione ed euri 3.000,00 di multa per quanto attiene ai reati connessi agli stupefacenti ed alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euri 2.500,00 di multa quanto alla ricettazione, il tutto oltre accessori.
In particolare, la Corte territoriale, assolto il COGNOME dalla imputazione concernente la ricettazione, ha rideterminato, stante l’eliminazione della pena relativa al reato escluso, la pena a carico di questo in anni 4 di reclusione euri 3.000,00 di multa, revocando anche, conseguentemente, la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, sostituita da quel della interdizione temporanea per la durata di anni 5, mentre, per ciò che concerne la posizione dell’COGNOME il suo appello era stato rigettato e la sentenza a suo carico era stata confermata.
Avverso la sentenza in tal modo pronunziata hanno interposto ricorso i due citati prevenuti, articolando, il primo due motivi di ricorso, fra lo intimamente connessi, aventi ad oggetto, l’uno, la violazione di legge non essendo stata applicata la normativa che esclude che possa essere pronunziata sentenza di condanna se non nel caso in cui la responsabilità penale sia risultata provata oltre ogni ragionevole dubbio; l’altro inutilizzabilità delle risultanze della perizia suppletiva e, comunque, la parzia ed errata valutazione delle testimonianze rese in giudizio.
L’COGNOME, a sua volta, ha affidato le proprie lagnanze ad un unico motivo di doglianza riferito alla violazione della disciplina che regola l’istit del concorso di persone nel reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono entrambi inammissibili.
Il primo motivo di impugnazione presentato dalla difesa del ricorrente COGNOME è evidentemente inammissibile, stante la sua ineludibile genericità: con esso, infatti, il ricorrente si è limitato a contestare in term esclusivamente assertivi, la concludenza dimostrativa del materiale probatorio acquisito agli atti ai fini della affermazione della sua penale responsabilità senza in alcun modo chiarire i termini di tale insufficienza probatoria né illustrando affatto l’uso inadeguato che di tale materiale istruttorio è stat fatto da parte dei giudici del merito né le ragioni per le quali la sentenz impugnata non avrebbe motivato in ordine alla responsabilità del ricorrente in maniera tale da escludere la sussistenza, in relazione ad essa, di “ogni ragionevole dubbio”.
Il motivo di impugnazione è, pertanto, del tutto generico e, di conseguenza, inammissibile.
Inammissibile è, altresì, il successivo secondo motivo di impugnazione; con esso, in sostanza, il ricorrente, sulla scorta della circostanza che a su carico siano emersi esclusivamente elementi probatori scaturiti dall’attività intercettiva svolta nel corso delle indagini preliminari, senza che sia stato operato alcun sequestro di sostanza stupefacente, ha richiamato i principi giurisprudenziali in materia di cosiddetta “droga parlata”, in base ai quali il giudice del merito dovrebbe, ai fini della affermazione della responsabilità penale dei soggetti interessati dare atto degli elementi rivenienti dalle intercettazioni in base ai quali è stato possibile individuare la tipologia del sostanza trattata e la sua entità (in tale senso la difesa ha puntualmente richiamato la sentenza di Corte di cassazione, Sezione VI penale, 26 febbraio 2016, n. 8030).
Ora, si rileva quanto al caso in attuale esame che effettivamente la giurisprudenza in tema di cosiddetta “droga parlata” – cioè delle ipotesi in cui la sussistenza del reato emerge non dalla diretta percezione della esistenza di traffici di sostanze stupefacenti, ma dall’avvenuta inferenza della sussistenza di questi sulla base di elementi, per lo più derivanti da attività intercettazione ambientale o telefonica, logici che li fanno arguire – si è espressa nel senso che in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente, la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma 2, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano
prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce all condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 1 giugno 2017, n. 27434, rv 270299); tali principi, più volte declinati e precisati, hanno condotto questa Corte a chiarire che la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 8 luglio 2020, n. 20129, rv 279251).
Nell’occasione la Corte di appello ha puntualmente riportato i passi delle intercettazioni telefoniche ed ambientali che, essendo queste chiaramente sintomatiche della esistenza di traffici, legati alla persona del COGNOME, riguardanti la detenzione a fine di spaccio e la cessione di sostanze stupefacenti, hanno costituito la base argomentativa della sentenza di condanna del predetto.
Va aggiunto che tali passi, i quali sono peraltro anche corroborati dalla dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del processo, non sono più soggetti, quanto al loro significato accusatorio, ad essere ulteriormente posti in discussione, atteso che, esclusa la manifesta irragionevolezza del loro significato per come ricostruito in sede di merito, nella presente sede di legittimità è inibito al ricorrente sollecitare il riesame del materiale probatori del genere ora in questione già esaminato nella adeguata sede offerta dal giudizio di merito (fra le tante, e proprio con riferimento alla valutazione del contenuto delle risultanze delle intercettazioni operate: Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 dicembre 2021, n. 44938, rv 282337).
Con riferimento alla impugnazione presentata da COGNOME, si osserva che la stessa è integralmente giuocata sulla diversità fra la figura del concorso di persone nel reato e quella della mera connivenza, non punibile penalmente.
Al riguardo, premessa la netta distinzione fra le due figure, che, con riferimento ai reati ora in scrutinio è stata plasticamente scolpita da questa Corte attraverso il riferimento al fatto che la distinzione tra l’ipotesi del connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel
concorso di persone ex art. 110 cod. pen., è, invece, richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che si limitino ad agevolare il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 7 dicembre 2020, n. 34754, rv 280244), è sufficiente rilevare, onde dare atto della manifesta infondatezza della doglianza formulata, che l’esistenza del concorso nel reato dell’COGNOME (e non della sua mera connivenza con gli atrisoggetti dediti all’illecito commercio) è desumibile sia dal contenuto delle intercettazioni che lo riguardano, da cui risulta che questi formula nei confronti dei cessionari dello stupefacente suggerimenti di acquisto in merito alla qualità della droga che era posta in vendita, vantandone la spiccata efficacia drogante e, quindi, la particolare qualità, nonché dal contenuto delle non contestate dichiarazioni testimoniali cui la sentenza di appello fa riferimento, rilasciate, fra l’altro, testi COGNOME e COGNOME NOME, i quali hanno riferito di essersi resi acquirenti di sostanze stupefacenti cedute loro dall’COGNOME.
Alla inammissibilità, derivante dalla manifesta infondatezza del motivo di impugnazione, anche del ricorso del secondo impugnante fa seguito la condanna di ambedue i ricorrenti, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente