Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7385 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7385 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOME COGNOME nato a Cosenza il 10/09/1974, avverso la sentenza in data 11/05/2023 della Corte di appello di Catanzaro, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 11 maggio 2023 la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza in data 17 febbraio 2022 del G.u.p. del Tribunale di Catanzaro, ha assolto NOME COGNOME dal reato del capo 1), relativo all’associazione a delinquere dedita al narcotraffico, e ha rideterminato la pena per il reato del capo 19), consistente nella violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in anni 6 di reclusione ed euro 24.000 di multa.
Il ricorrente presenta tre motivi di ricorso per cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione. Con il primo contesta l’interpretazione delle
conversazioni telefoniche intercettate e osserva che non vi erano riscontri di cessioni di cocaina né di passaggio di denaro, precisando inoltre che gli stessi Giudici avevano escluso una sua collaborazione con i concorrenti; con il secondo eccepisce l’omessa qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, mentre con il terzo lamenta l’entità dell’aumento per la continuazione e il diniego delle generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso, che per il legittimo impedimento del difensore all’udienza del 27 marzo 2024 non è stato trattato insieme al ricorso di NOME COGNOME e di NOME COGNOME definiti con sentenza di questa Sezione n. 31712 del 2024 rispettivamente con una dichiarazione di inammissibilità e con un annullamento con rinvio limitatamente alle statuizioni dell’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 e della continuazione esterna, è manifestamente infondato.
Il primo motivo attiene alla responsabilità per la cosiddetta droga parlata.
La Corte di cassazione ha spiegato che, in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente, la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma 2, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (si deva ex plurimis Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 – 01). La Corte di appello si è scrupolosamente attenuta a tali indicazioni e ha evidenziato che sia dalle intercettazioni che dalle dichiarazioni di NOME COGNOME come detto già condannato in via definitiva salva la valutazione dell’applicabilità del comma 7 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e della continuazione esterna, è emerso che il COGNOME commerciava in cocaina ed era il riferimento del Gaglianese. Il COGNOME gestiva stabili traffici di droga e rappresentava per l’acquirente un sicuro referente per le forniture a 55 euro al grammo, prezzo poi ribassato a 50 euro. Il COGNOME aveva dichiarato di aver acquistato svariati quantitativi di stupefacente dall’imputato. Il ricorrente non si è confrontato specificamente con tale parte di motivazione ma ha insistito sull’assenza di qualsivoglia collaborazione nell’attività di spaccio tra il COGNOME e i concorrenti COGNOME e COGNOME di cui al reato del capo 19). In realtà, la Corte territoriale ha escluso il reato associativo anche perché ha ritenuto isolata la collaborazione del COGNOME con i concorrenti nel fatto del capo 19), la cui prova certa risiede, nella conversazione telefonica progressivo n. 30234
del 5 luglio 2018. Sul punto, ha ulteriormente evidenziato, da una parte, che la qualità della cocaina era buona considerato il prezzo pagato, dall’altra, che le cessioni erano frequenti, perché le dichiarazioni del COGNOME erano riscontrate dagli esiti dell’attività tecnica, rappresentata dai plurimi contatti con il COGNOME, circa 350 nei soli mesi di febbraio e marzo 2015, e dalle conversazioni in cui il COGNOME e il COGNOME avevano discusso di varie cessioni di stupefacenti e del pagamento dei relativi debiti, la determinazione del cui ammontare coincideva proprio con le informazioni del Novelli sui prezzi praticati dal Raimondo.
Il secondo motivo sulla riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 è generico. Alla stregua dei criteri interpretativi dettati dalle Sezioni Unite Murolo (sentenza n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076 – 01), i Giudici di merito hanno correttamente valorizzato il contesto organizzato, l’elevato numero di cessioni di cocaina, il ruolo del ricorrente come referente per cessioni di un certo tipo.
Il terzo motivo è inconsistente rispetto a una motivazione ineccepibile sia per il diniego delle generiche, laddove la Corte territoriale ha ritenuto sub-valente la condizione di salute rispetto alla gravità del fatto e all’accentuata proclività a delinquere dimostrata, sia per l’entità degli aumenti per la continuazione, avuto riguardo alla pluralità degli episodi di cessione, all’entità, alla tipologia stupefacente compravenduto. Va ulteriormente osservato che la pena finale irrogata è stata pari ad anni 6 di reclusione ed euro 24.000 di multa, partendo da una pena base di anni 6 di reclusione ed euro 24.000 di multa, aumentata per la continuazione di anni 3 ed euro 12.000 di multa, e ridotta per il rito come sopra. La pena di anni 9 di reclusione ed euro 36.000 di multa, comprensiva dell’aumento per la continuazione, è comunque inferiore al medio edittale considerato che la forbice edittale va dai 6 ai 20 anni di reclusione e quindi comunque non richiederebbe giustificazioni soverchie rispetto al riferimento ai criteri dell’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, l’ 11 settembre 2024
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente