Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3020 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3020 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/11/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo C, con rideterminazione della pena nella misura finale di anni quattro e mesi uno di reclusione, e la declaratoria d inammissibilità nel resto; Ì
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.1 sigg.ri NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per l’annullamento della sentenza del 07/11/2022 della Corte di appello di Napoli che, in riforma della sentenza del 03/03/2021 del Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale partenopeo, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da loro impugnata, applicate a tutti le circostanze attenuant generiche, allo NOME ed al NOME in regime di equivalenza con la contestata recidiva, ha ridotto la pena loro irrogata in primo grado, confermando nel resto la condanna per i reati rubricati ai capi A (art. 291-quater d.P.R. n. del 1973, ritenuto per tutti i ricorrenti), B (artt. 81, secondo comma, cod. pen 291-bis, 291-ter d.P.R. n. 43 del 1973, ritenuto per i soli COGNOME e COGNOME) e C (art. 474 cod. pen., ritenuto per il solo COGNOME).
2.NOME COGNOME deduce, con unico motivo, la violazione dell’art. 132 cod. pen. e la omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione del minimo edittale sollecitata con i motivi di appello.
3.NOME COGNOME articola due motivi.
3.1.Con il primo lamenta che la Corte di appello, in sede di rideterminazione della pena, lo ha condanNOME per un reato (quello di cui al capo C) per il quale era stato assolto e deduce, altresì, la mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione della pena inflitta per ciascuna ipotesi di reato contestata a tito di continuazione.
3.2.Con il secondo motivo deduce la mancanza di motivazione sulle ragioni della determinazione della pena base, applicata in misura di gran lunga superiore al minimo edittale.
4.COGNOME NOME deduce, con unico motivo, la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla richiesta di esclusione della recidiva chiesta con motivi di appello.
5.Con memoria del 04/10/2023, il difensore di NOME COGNOME ha insistito per la richiesta di annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili.
2.11 ricorso di NOME COGNOME
2.1.L’imputato risponde del reato di cui al capo A della rubrica per aver preso parte, con il ruolo di capo e promotore, ad un’associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di più delitti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Il Gip, esclusa la circostanza aggravante della transnazionalità, lo ave condanNOME alla pena, ridotta per il rito, di tre anni e quattro mesi di reclusio applicando la pena base di cinque anni. In sede di appello il COGNOME aveva chiesto l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante e la riduzione della pena al minimo edittale. La Corte di appello ha accolto parzialmente le richieste difensiv applicando le circostanze attenuanti generiche ma non nella loto massima estensione, avendo ridotto la pena base a quattro anni, un mese e quindici giorni di reclusione per poi ulteriormente ridurla, per la scelta del rito, a quella final due anni e nove mesi di reclusione.
2.2.Nel valutare la adeguatezza complessiva della pena così irrogata, i Giudici distrettuali hanno tenuto conto tanto della gravità dei fatti e d precedenti penali dell’imputato quanto del suo buon comportamento processuale e del fatto che fosse impegNOME in una attività lavorativa, circostanza, questa che dimostrava, a giudizio della Corte territoriale, un reale allontanamento dai circuiti criminali.
2.3.11 ricorrente lamenta l’omessa motivazione sulle ragioni del discostamento della pena base dal minimo edittale del reato (pari a tre anni di reclusione), ma le sue deduzioni sono totalmente infondate.
2.4.A1 riguardo, risulta ad oggi insuperato l’insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, COGNOME, Rv. 142252, secondo cui è da ritenere adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art 133 cod. pen., ritenuto prevalente dominante rilievo, non essendo tenuto il giudice ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visio globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di que ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 de 27/01/2012, COGNOME; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, COGNOME, non mass.).
2.5.E’ stato altresì più volte rimarcato che quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corrett esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall’art. 133 cod. pen., siano stati ri rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla “entità del fatt
alla “personalità dell’imputato (così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189 – 01; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, COGNOME; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, COGNOME). E’ consentito far ricorso esclusivo a tali clausole, così come a espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, solo quando il giudice non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 3, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464; Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997, COGNOME; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME) oppure quando, in caso di pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorché nel suo massimo edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, COGNOME; Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, COGNOME). E’ stato anzi precisato che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (ex multis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
2.6.AI di fuori di questi casi, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale non può essere affidata alla intuizione del giudice, con riferimento a generiche formule di stile o sommari richiami al parametro contenuto nell’art. 133 cod. pen. Se è pur vero che non è richiesto l’analitico esame in rapporto a ogni elemento del complesso parametro richiamato, resta tuttavia la doverosità della specifica individuazione delle ragioni determinanti la misura della pena, al fine di dar conto dello uso corretto del potere discrezionale che al giudice di merito è affidato, e di garantire l’imputato della congruità della pena inflitta (Sez. 1, n. 12364 del 02/07/1990, Italiano, Rv. 185320; cfr. anche Sez. 1, n. 5210 del 14/01/1987, COGNOME, Rv. 175802, che ha ricordato come nell’irrogazione di una pena, relativa ad un reato circostanziato, analogamente a quanto previsto per un reato semplice, il giudice adempie all’obbligo di motivazione solo allorché indica in modo specifico i motivi che giustificano l’uso del suo potere discrezionale al riguardo e non già adoperando delle formule stereotipate. Infatti, l’obbligo della motivazione, predisposto dalla legge, è generale, in quanto vale per tutti i provvedimenti per i quali la legge lo prescrive; indisponibile perché deve essere adempiuto unicamente dall’autore del provvedimento; destiNOME ad essere pubblicizzato e completo, nel senso che deve essere quantitativamente correlato al dispositivo, con l’effetto che in assenza di queste caratteristiche non può dirsi compiutamente adempiuto).
2.7.In sede di appello è inoltre necessario che il giudice si confronti con gli argomenti devoluti a sostegno del più mite trattamento sanzioNOMErio rivendicato dall’imputato purché tali argomenti siano connotati dal requisito della specificità
(Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997, Ingardia, Rv. 209443; Sez. 1, n. 8677 del 06/12/2000, COGNOME, Rv. 218140; Sez. 4, n. 110 del 05/12/1989, COGNOME, Rv. 182965).
2.8.Nel caso di specie: a) trattandosi di reato punito con la reclusione da tr a otto anni, al ricorrente è stata applicata una pena-base inferiore al medi edittale (pari a cinque anni e sei mesi di reclusione, calcolato secondo i crite indicati da Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01), con conseguente sufficienza della motivazione adottata dalla Corte di appello; b) la richiesta di applicazione del minimo edittale non era supportata, in sede di gravame, dalla deduzione di motivi specifici a sostegno, essendosi il ricorrente prodigato a spiegare solo le ragioni della meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche.
2.9.Dí qui l’inammissibilità del ricorso in quanto generico e manifestamente infondato.
3.11 ricorso di NOME COGNOME
3.1.NOME COGNOME è stato condanNOME in primo grado alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione perché ritenuto responsabile dei reati d cui ai capi A e B per aver preso parte (con il ruolo di partecipe) all’associazion per delinquere capeggiata e promossa da NOME COGNOME (e da NOME COGNOME), nonché per aver posto in essere uno dei reati-fine di contrabbando doganale di TLE contestati al capo B. Il primo Giudice aveva determiNOME la pena nel seguente modo: ritenuta ed applicata la contestata recidiva infraquinquennale, reiterata e specifica, escluse le circostanze aggravanti di cu agli artt. 61-bis cod. pen. (contestata al capo A) e 291-ter, comma 2, lett. e), d.P.R. n. 43 del 1973 (contestata al capo B), ha indicato la pena per il più grav reato associativo nella misura di tre anni e sei mesi di reclusione, l’ha aumentata a cinque anni e dieci mesi di reclusione per la recidiva qualificata, l’ ulteriormente aumentata a sette anni di reclusione per il reato satellite di cui capo B, l’ha definitivamente diminuita a quattro anni e otto mesi di reclusione per la scelta del rito.
3.2.L’imputato era stato assolto dal reato di cui al capo C (artt. 110, 474 cod. pen.) per non aver commesso il fatto.
3.3.In appello 1:~1) aveva ammesso gli addebiti e rinunciato ai motivi diversi da quelli relativi alla dosimetria della pena, così che la Corte di appello ritenuto di applicare le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con la recidiva e di rideterminare la pena ribadendo, per il reato più grave (quello associativo), la stessa pena base già irrogata in primo grado (tre anni sei mesi di reclusione) ed applicando, a titolo di aumento per la continuazione, la pena di un anno e due mesi di reclusione. La pena complessiva di quattro anni e
otto mesi di reclusione è stata diminuita, per la scelta del rito, a quella final tre anni, un mese e dieci giorni di reclusione.
3.4.Nell’indicare la pena applicata a titolo di continuazione la Corte di appello ha fatto esplicito riferimento, in motivazione, «ai delitti di cui ai capi B C)», laddove – come visto – l’imputato era stato irrevocabilmente assolto dal reato di cui al capo C.
3.5.Vero è che all’imputato è stata applicata la stessa pena già applicata a titolo di continuazione dal primo Giudice per l’unico reato-satellite ascritto capo B, così da lasciar pensare che l’indicazione del reato di cui al capo C si stata il frutto di un refuso, di un errore. Ed è altrettanto vero che il Gip av applicato la pena di un anno e due mesi di reclusione in dichiarata applicazione dell’art. 81, quarto comma, cod. pen., avendo ritenuto la recidiva qualificata.
3.6.Che di mero (ed ininfluente) errore si tratti è desumibile dai seguenti elementi: a) la Corte di appello ha condiviso con il Gip l’applicabilità dell recidiva qualificata, pur elidendone gli effetti aggravanti a seguito del concorrenza delle circostanze attenuanti generiche; b) il reato-satellite per quale l’imputato era stato condanNOME in primo grado è unico; c) l’aumento di un anno e due mesi di reclusione è pari a un terzo della pena-base e dunque è pari all’aumento minino applicabile, a titolo di continuazione, in caso di applicazione della recidiva qualificata (Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, COGNOME, Rv. 267044 01, secondo cui, in tema di reato continuato, il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art comma quarto, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti).
3.7.Ne consegue che il ricorrente non ha un qualificato interesse a coltivare il ricorso sul punto.
3.8.Quanto al secondo motivo, è sufficiente richiamare quanto già detto in sede di esame del ricorso di NOME COGNOME e prendere atto che la pena base applicata a NOME COGNOME è prossima al minimo edittale e ben lontana dal suo medio.
4.11 ricorso di NOME COGNOME
4.1.11 ricorso è manifestamente infondato.
4.2.11 ricorrente è stato dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi A, BeCe condanNOME, in primo grado, alla pena finale di sei anni e otto mesi di reclusione, previa applicazione, sulla pena-base, dell’aumento per la recidiva reiterata e specifica.
4.3.In appello, l’imputato aveva rinunciato a tutti i motivi «ad eccezione di quelli relativi alla dosimetria della pena» (pag. 6 della sentenza impugnata). La
Corte di appello, tenuto conto della rinuncia ai motivi e della confessione, ha applicato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con la recidiva e ha ridetermiNOME la pena finale nella misura di quattro anni e quattr mesi di reclusione.
4.4.11 ricorrente lamenta la mancanza assoluta di motivazione circa la ribadita applicazione della recidiva (ancorché in regime di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche), ma si tratta di doglianza totalmente infondata.
4.7.Non è inutile in ogni caso evidenziare che l’appello di NOME COGNOME era del tutto generico (e dunque inammissibile) quanto alla richiesta di esclusione della recidiva, richiesta contenuta nel petitum ma non supportata da specifiche deduzioni in fatto e in diritto. Il quarto motivo di appello, infatti, specificamente dedicato alla illustrazione delle ragioni della invocata attenuazione della pena e della applicazione delle circostanze attenuanti generiche (quantomeno con regime di equivalenza, chiedeva – ed otteneva – il ricorrente), ma non della richiesta di esclusione della recidiva.
4.5.Secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte, il principio “tantum devolutum quantum appellatum”, pur non precludendo in modo assoluto al giudice dell’impugnazione di esaminare anche i punti non espressamente indicati nei motivi, impone tuttavia, perché l’esame possa eccezionalmente estendersi anche a detti punti, che questi siano connessi con vincolo di carattere essenziale a quelli specificamente impugnati. Tale connessione non ricorre tra la determinazione della misura della pena e la decisione sull’esistenza di una qualsiasi circostanza aggravante o attenuante (Sez. 5, n. 2179 del 07/12/1983, COGNOME, 163043; Sez. 5, n. 7646 del 28/05/1984, COGNOME, Rv. 165794; Sez. 2, n. 522 del 04/03/1969, COGNOME, Rv. 112184; Sez. 2, n. 8571 del 27/01/1973, COGNOME, Rv. 125582; Sez. 2, n. 9481 del 21/03/1980, COGNOME, Rv. 145972; Sez. 1, n. 836 del 16/10/1981, COGNOME, Rv. 151832). Ne è così stata tratta la conseguenza che la rinuncia a tutti i motivi di appello ad esclusione soltanto di quello riguardante la misura della pena deve ritenersi comprensiva anche di quei motivi attraverso i quali l’appellante aveva richiesto il riconoscimento di circostanze attenuanti (Sez. 1, n. 19014 del 11/04/2012, COGNOME, Rv. 252861) e quelli concernenti la recidiva che, pur confluendo nella determinazione della pena come ogni altra circostanza, costituisce capo autonomo della decisione (Sez. 6, n. 54431 del 25/10/2018, COGNOME Marca, Rv. 274315 – 01; Sez. 2, n. 11761 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259825). 4.6.Non ha alcuna rilevanza il fatto che la Corte di appello ha applicato le circostanze generiche, trattandosi di esercizio di potere officioso attribuito giudice del gravame dall’art. 597, u.c., cod. proc. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrent (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10/10/2023.