Dosimetria della pena: La Cassazione chiarisce l’obbligo di motivazione
La dosimetria della pena rappresenta uno dei momenti più delicati e cruciali del processo penale, in cui il giudice traduce la responsabilità penale dell’imputato in una sanzione concreta. Ma quanto deve essere dettagliata la motivazione del giudice nel giustificare la pena inflitta? Con l’ordinanza n. 23361/2024, la Corte di Cassazione torna sul tema, offrendo chiarimenti importanti sull’ampiezza dell’obbligo motivazionale, specialmente quando la pena si attesta su livelli vicini al minimo previsto dalla legge.
I Fatti di Causa
Il caso nasce dal ricorso di un imputato condannato dalla Corte d’Appello di Milano per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), ritenuto il più grave nell’ambito della continuazione con altri reati. L’imputato lamentava un vizio di omessa motivazione in relazione alla quantificazione della pena, sostenendo che il giudice di secondo grado non avesse adeguatamente giustificato la sua decisione. Curiosamente, il ricorrente invocava l’art. 133-bis del codice penale, norma che disciplina la determinazione delle pene pecuniarie, mentre a lui era stata inflitta unicamente la pena della reclusione.
L’Analisi del Ricorso e la Dosimetria della Pena
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato l’errore del ricorrente nel richiamare una norma non pertinente al suo caso. Entrando nel merito della doglianza sulla dosimetria della pena, la Corte ha ritenuto le argomentazioni del ricorrente come mere contestazioni di fatto, non ammissibili in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è rivalutare le scelte del giudice di merito, ma verificare la logicità e la coerenza giuridica della sua motivazione.
La Corte d’Appello aveva considerato congrua la pena inflitta “alla luce della non contenuta gravità dei fatti e delle modalità della condotta”. La pena base per il reato più grave era stata fissata in otto mesi di reclusione, una misura di poco superiore al minimo edittale di sei mesi. Questo elemento è risultato decisivo per la valutazione della Suprema Corte.
Il Principio Giurisprudenziale sulla Motivazione
La Corte ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza (richiamando la sentenza Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019): l’obbligo di una motivazione specifica e dettagliata sui criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole) scatta solo quando la pena base viene fissata in una misura pari o superiore al medio edittale. Al di sotto di tale soglia, e in particolare quando la pena è vicina al minimo, il giudice può adempiere al suo obbligo motivazionale anche con un generico richiamo a elementi di fatto descritti nella sentenza, come la gravità della condotta. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva anche correttamente bilanciato le circostanze, facendo prevalere l’attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva contestata, riducendo così la pena finale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sulla distinzione tra controllo di legittimità e giudizio di merito. Le censure del ricorrente, incentrate sulla presunta inadeguatezza della pena, si risolvevano in una richiesta di nuova valutazione dei fatti, preclusa in sede di Cassazione. La motivazione della Corte d’Appello, sebbene sintetica, è stata giudicata completa e logicamente ineccepibile, poiché ancorata a elementi concreti (la gravità dei fatti) e rispettosa dei limiti edittali. La scelta di una pena di poco superiore al minimo non richiedeva, secondo la Corte, un’analisi analitica di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p., essendo sufficiente la giustificazione fornita per rendere la decisione comprensibile e non arbitraria.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un orientamento pratico di grande rilevanza: l’onere della motivazione in tema di dosimetria della pena è graduato in base all’entità della sanzione irrogata. Per pene vicine al minimo edittale, non è richiesto al giudice un’articolata disamina di ogni singolo parametro legale. Questa pronuncia consolida un principio di economia processuale, evitando che i ricorsi per cassazione si trasformino in un terzo grado di giudizio sul merito. Per la difesa, ciò implica la necessità di formulare censure più specifiche e giuridicamente fondate, dimostrando una manifesta illogicità o una violazione di legge nella motivazione, piuttosto che una semplice non condivisione della pena applicata.
Quando un giudice deve fornire una motivazione dettagliata per la pena inflitta?
Secondo la Corte di Cassazione, una motivazione specifica e analitica sui criteri di cui all’art. 133 c.p. è necessaria solo quando la pena base irrogata è pari o superiore al medio edittale. Per pene vicine al minimo, è sufficiente una motivazione più sintetica che faccia riferimento alla gravità dei fatti.
Un ricorso basato solo su una presunta inadeguatezza della pena è ammissibile in Cassazione?
No, un ricorso che si limita a contestare l’adeguatezza della pena senza denunciare un vizio di violazione di legge o una motivazione manifestamente illogica, viene considerato una doglianza di fatto e, come tale, è inammissibile in sede di legittimità.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, come stabilito nel dispositivo della sentenza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23361 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23361 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di NOME;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso avverso la condanna non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto ed incentrati sulla denuncia del vizio di omessa motivazione in relazione alla dosimetria della pena irrogata che la lettura del provvedimento impugnato rivela essere completa e logicamente ineccepibile. In particolare, premesso che è errato il richiamo del ricorrente “all’art. 133 bis cod. pen.” dal momento che tale norma è relativa alla determinazione della pena pecuniaria mentre NOME è stato condannato solo alla reclusione, la Corte territoriale ha, in modo non illogico, ritenuto la congruità della pena inflitta “alla luce della non contenuta gravità dei fatti e delle modalità della condotta (come esaurientemente descritta dalla sentenza di primo grado che qui si richiama sul punto)”; peraltro, per il reato di cui all’art. 337 cod. pen., ritenuto più grave nell’ambito della continuazione, la pena base è stata fissata in mesi otto di reclusione, misura di poco eccedente il minimo edittale (mesi sei). La sentenza impugnata – che ha altresì ritenuto l’attenuante per il vizio parziale di mente prevalente sulla contestata recidiva, riducendo quindi la pena inflitta in primo grado – ha rispettato quindi il principio secondo cui una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, è necessaria solo quando venga irrogata una pena base pari o superiore al medio edittale (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che all’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene conforme a giustizia liquidare come in dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31 maggio 2024