Dosimetria della pena: i Limiti del Ricorso in Cassazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato i confini molto stretti entro cui è possibile contestare la dosimetria della pena in sede di legittimità. Il caso riguardava un ricorso presentato contro una sentenza di condanna della Corte d’Appello per un reato legato agli stupefacenti. La Suprema Corte, dichiarando il ricorso inammissibile, ha fornito importanti chiarimenti sui poteri del giudice di merito e sui limiti del sindacato della Cassazione, specialmente riguardo la motivazione sulla quantificazione della sanzione.
I Fatti del Processo
Il ricorrente aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Bari, lamentando un’errata valutazione da parte dei giudici nella determinazione del trattamento sanzionatorio. In particolare, le critiche si concentravano sulla mancata concessione delle attenuanti generiche in misura più favorevole e sul giudizio di comparazione tra circostanze, elementi che concorrono a definire l’entità finale della condanna.
La Decisione della Corte sulla Dosimetria della Pena
La Corte di Cassazione ha respinto integralmente le argomentazioni del ricorrente, giudicando il suo appello inammissibile. Secondo gli Ermellini, la decisione impugnata era sorretta da un apparato argomentativo solido e coerente, che soddisfaceva pienamente l’obbligo di motivazione. Il punto centrale della decisione è che il sindacato di legittimità sulla dosimetria della pena non può trasformarsi in una nuova valutazione del merito dei fatti, ma deve limitarsi a verificare la presenza di un’evidente illogicità o di un arbitrio nel ragionamento del giudice.
Le Motivazioni: la Validità della Motivazione Sintetica
La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: in materia di determinazione della pena, la motivazione del giudice può essere anche implicita o espressa con formule sintetiche (come, ad esempio, “si ritiene congrua”). Non è necessario un’analisi dettagliata di ogni singolo elemento preso in considerazione ai sensi dell’art. 133 del codice penale.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano plausibilmente fondato la loro decisione su due elementi cruciali:
1. La reiterazione delle condotte illecite: un dato che depone a sfavore dell’imputato.
2. La quantità di principio attivo: lo stupefacente sequestrato era tale da poter ricavare ben 103 dosi.
Questi fattori, secondo la Cassazione, costituiscono una base logica e non arbitraria per giustificare la pena inflitta e per bilanciare le circostanze in modo non favorevole all’imputato. Di conseguenza, non essendo emersa alcuna illogicità manifesta nel percorso argomentativo della Corte d’Appello, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame conferma che le possibilità di ottenere una riforma della pena in Cassazione sono estremamente limitate. La difesa che intende contestare la dosimetria della pena non può limitarsi a sostenere che la sanzione sia eccessiva, ma deve individuare e dimostrare un vizio specifico nel ragionamento del giudice, come una contraddizione palese o una palese irragionevolezza. La decisione rafforza la discrezionalità dei giudici di merito nella valutazione degli elementi di cui all’art. 133 c.p., riconoscendo la validità di motivazioni concise purché ancorate a dati di fatto concreti e pertinenti, come la gravità del reato e la storia criminale dell’imputato.
È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa dal giudice?
Sì, ma solo a condizioni molto ristrette. Il ricorso è ammissibile unicamente se si dimostra che il ragionamento del giudice è stato manifestamente illogico, arbitrario o viziato da un’errata applicazione della legge, non semplicemente perché la pena è ritenuta troppo severa.
La motivazione sulla pena può essere breve o implicita?
Sì. La Corte di Cassazione ammette costantemente che la motivazione sulla determinazione della pena possa essere sintetica (ad es. “si ritiene congrua”) o addirittura implicita, purché la decisione non sia il frutto di un mero arbitrio ma si basi su elementi concreti.
Quali elementi ha considerato il giudice in questo caso per determinare la pena?
Nel caso di specie, i giudici hanno basato la loro valutazione su due fattori principali: la reiterazione delle condotte illecite da parte dell’imputato e l’ingente quantitativo di stupefacente, dal quale si sarebbero potute ricavare 103 dosi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 269 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 269 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe indicata, recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di c all’imputazione, è inammissibile.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente’ la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, per quanto concerne la determinazione del trattamento sanzionatorio. È appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, sent. del 22 settembre 2003 n. 36382, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Sez. 4, sent. del 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabi cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3, sent. 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298), evenienza nel caso insussistente, avendo i giudici territoriali plausibilmente tenuto conto del reiterazione delle condotte illecite e della quantità di principio attivo, ta consentire il ricavo di ben 103 dosi di stupefacente.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 novembre 2023
Il Consi e estensore