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Dosimetria della pena: quando il ricorso è inammissibile

Un imputato ricorre contro la sua condanna per tentato furto e ricettazione, contestando la dosimetria della pena. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, stabilendo che la congruità della pena può essere motivata anche implicitamente, attraverso una valutazione globale della gravità del fatto e della pericolosità del reo, senza necessità di una risposta puntuale a ogni singola censura.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dosimetria della pena: quando la motivazione implicita rende il ricorso inammissibile

La corretta dosimetria della pena è uno dei cardini del diritto penale, rappresentando il delicato equilibrio tra la gravità del reato commesso e la giusta sanzione. Ma cosa succede quando un imputato contesta la pena inflitta e il giudice d’appello non risponde punto per punto alle sue lamentele? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della motivazione del giudice e i motivi che possono portare all’inammissibilità di un ricorso.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado dal Tribunale di Bologna per i reati di tentato furto aggravato e ricettazione. L’uomo era stato sorpreso mentre tentava di rubare una bicicletta all’interno di un cortile privato, utilizzando attrezzi da scasso. Inoltre, era stato trovato in possesso di un’altra bicicletta, risultata di provenienza illecita. Il Tribunale, riconosciuta la continuazione tra i reati e concesse le attenuanti generiche, lo aveva condannato a sei mesi di reclusione e 200 euro di multa.

La Corte di Appello di Bologna aveva successivamente confermato la sentenza di primo grado.

Il Ricorso in Cassazione e la Dosimetria della Pena

L’imputato, attraverso il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale. Nello specifico, i motivi di ricorso si concentravano esclusivamente sulla dosimetria della pena, contestando:

* La mancata determinazione della pena base nel minimo edittale.
* L’omessa applicazione della diminuzione per il tentativo nella sua massima estensione.
* L’eccessivo aumento di pena applicato a titolo di continuazione per il reato di ricettazione.

In sostanza, la difesa sosteneva che la Corte di Appello non avesse adeguatamente motivato le sue scelte sanzionatorie, disattendendo le richieste di una pena più mite.

La Valutazione Globale del Giudice

La Corte di Appello, pur non rispondendo espressamente e singolarmente a ciascuna delle censure sulla pena, aveva comunque effettuato una valutazione complessiva dei fatti, definendoli di “rilevante disvalore”. Aveva sottolineato elementi specifici che aggravavano la condotta, come il fatto che l’imputato si fosse introdotto in un cortile privato munito di attrezzi da scasso e che avesse una precedente condanna, per la quale era stata revocata la sospensione condizionale della pena.

Questo approccio ha costituito il fulcro della decisione successiva della Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il punto centrale della motivazione risiede in un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità: non è sempre necessario che il giudice motivi espressamente su ogni singola deduzione difensiva. Se dalla struttura motivazionale complessiva della sentenza emerge implicitamente il rigetto di una specifica censura, la motivazione è da considerarsi sufficiente.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici d’appello, nel qualificare il fatto come di notevole gravità e nel richiamare i precedenti dell’imputato, avessero implicitamente formulato un giudizio di congruità sulla pena applicata in primo grado. Questa valutazione globale, aderente ai criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), era sufficiente a giustificare sia la pena base scelta, sia l’entità degli aumenti e delle diminuzioni applicate. In altre parole, la Corte ha implicitamente escluso la possibilità di una mitigazione del trattamento sanzionatorio proprio in virtù della gravità complessiva della condotta.

Conclusioni: L’Importanza della Motivazione Complessiva

Questa sentenza ribadisce un’importante lezione pratica: un ricorso incentrato sulla dosimetria della pena non può limitarsi a contestare isolatamente i singoli calcoli sanzionatori. È necessario confrontarsi con la valutazione complessiva del fatto operata dal giudice di merito. Se la sentenza, pur senza rispondere punto per punto, delinea un quadro fattuale e personale dell’imputato che giustifica la pena inflitta, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. La discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena è ampia, e può essere scalfita solo di fronte a vizi logici evidenti o a una totale assenza di motivazione, anche implicita.

Un giudice è obbligato a rispondere esplicitamente a ogni motivo di appello sulla quantificazione della pena?
No. Secondo la Corte, una censura sulla pena si considera implicitamente disattesa se la struttura argomentativa generale della sentenza richiama elementi (come la gravità del fatto o i precedenti del reo) che escludono una mitigazione del trattamento sanzionatorio.

Quali elementi ha considerato la Corte per ritenere adeguata la pena applicata?
La Corte ha valorizzato la gravità complessiva del comportamento, evidenziando che l’imputato si era introdotto in un cortile privato con attrezzi da scasso per commettere il furto e che aveva una precedente condanna per la quale era già stata revocata la sospensione condizionale della pena.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza dei motivi proposti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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