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Dosimetria della pena: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati condannati per reati legati agli stupefacenti. I ricorrenti contestavano la dosimetria della pena, l’applicazione della recidiva e la mancata concessione delle attenuanti generiche. La Suprema Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano una mera riproposizione di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello con motivazione congrua e logica, non potendo quindi essere riesaminati in sede di legittimità.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dosimetria della pena: i limiti del ricorso quando la motivazione è logica

La corretta dosimetria della pena rappresenta uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice traduce la responsabilità penale in una sanzione concreta. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i limiti entro cui la valutazione del giudice di merito può essere contestata in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda due ricorsi dichiarati inammissibili, poiché le censure sollevate non superavano il vaglio di un sindacato limitato alla sola violazione di legge.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza del Tribunale di Roma, parzialmente riformata dalla Corte di Appello. Quest’ultima aveva rideterminato la pena per uno degli imputati a due anni e otto mesi di reclusione e 7.500 euro di multa, confermando nel resto la condanna per entrambi per un reato in materia di stupefacenti (art. 73, comma 4, D.P.R. 309/1990).

Avverso tale decisione, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, lamentando vizi relativi alla quantificazione della sanzione.

I Motivi del Ricorso e la questione sulla Dosimetria della Pena

I motivi di ricorso si sono concentrati su aspetti cruciali della valutazione sanzionatoria.

Un ricorrente ha lamentato:
1. Una violazione di legge nella dosimetria della pena, sostenendo che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione apodittica e insufficiente nel calcolo della sanzione, in violazione degli artt. 133 c.p., 192 e 546 c.p.p.
2. Un vizio di legge e un’omessa motivazione riguardo all’aumento di pena per la recidiva, contestando la valutazione della sua pericolosità sociale.

L’altra ricorrente ha invece dedotto:
1. La violazione di legge e il vizio di motivazione per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (ex art. 62-bis c.p.).
2. La violazione di legge e la mancanza di motivazione riguardo alla dosimetria della pena applicata.

In sostanza, entrambi i ricorsi miravano a ottenere una nuova e più favorevole valutazione degli elementi già considerati dai giudici di merito.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, affermando un principio consolidato: i motivi addotti non sono consentiti in sede di legittimità. I giudici hanno osservato che i ricorsi, lungi dal confrontarsi con la logica e congrua motivazione della Corte d’Appello, si limitavano a reiterare le stesse critiche già mosse contro la sentenza di primo grado e debitamente vagliate nel giudizio di appello.

La Corte ha sottolineato che il sindacato di legittimità sulla dosimetria della pena è circoscritto alla verifica che il giudice di merito non abbia utilizzato criteri illegittimi o fornito una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria. Non è possibile, invece, sostituire la valutazione del giudice di merito con una diversa, ritenuta più equa dall’imputato.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione. Per il primo ricorrente, aveva considerato non solo la condotta e il danno, ma anche la personalità del reo, desumibile dalle tre precedenti condanne per ricettazione ed estorsione, che indicavano una “particolare capacità a delinquere”. Questa valutazione ha giustificato sia la pena base sia l’applicazione della recidiva reiterata.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un punto fondamentale del processo penale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito. La valutazione discrezionale del giudice sulla dosimetria della pena, sulla concessione delle attenuanti o sull’applicazione della recidiva è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione sufficiente, logica e non contraddittoria. I ricorsi che si limitano a riproporre le medesime argomentazioni già respinte nei gradi di merito, senza evidenziare un reale vizio di legge, sono destinati a essere dichiarati inammissibili.

È possibile contestare in Cassazione la quantificazione della pena decisa dal giudice di merito?
Sì, ma solo se la motivazione del giudice è totalmente assente, manifestamente illogica o contraddittoria. Non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti per giungere a una valutazione diversa e più favorevole, se la decisione impugnata è sorretta da un ragionamento coerente.

Perché i ricorsi in questo caso sono stati dichiarati inammissibili?
Perché i ricorrenti si sono limitati a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha ritenuto che i motivi non costituissero una vera e propria censura di legittimità, ma un tentativo di ottenere un nuovo giudizio sul merito, non consentito in questa sede.

Quali elementi ha considerato la Corte per giustificare l’aumento di pena per la recidiva a uno degli imputati?
La Corte ha basato la sua valutazione sulla personalità dell’imputato, desumendola non solo dal reato in esame ma anche dai suoi tre precedenti penali (due per ricettazione e uno per estorsione). Questi elementi, nel loro insieme, indicavano secondo i giudici una “particolare capacità a delinquere” che giustificava l’applicazione della recidiva reiterata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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