Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18748 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18748 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 15/05/1979
avverso la sentenza del 22/10/2024 della Corte di assise di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, Corte di assise di appello di Napoli, quale giudice del rinvio dopo l’annullamento della Corte di cassazione, riformava parzialmente nei confronti di NOME COGNOME – quanto alla pena – la sentenza del 3 febbraio 2016 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, che, all’esito di giudizio abbreviato, lo aveva condannato alla pena di anni 14 di reclusione per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., per aver fatto parte, c ruolo direttivo, del clan camorristico clan “COGNOME-Andolfi” fino al marzo 2015.
e.
1.1. La vicenda processuale aveva visto intervenire la Corte di cassazione con un primo annullamento (sentenza n. 5224 del 2020) con rinvio sull’intero sul capo e con un secondo annullamento (sentenza n. 20665 del 2022) con rinvio per un nuovo giudizio limitato al trattamento sanzionatorio.
Il profilo critico, che aveva portato a tale ultimo annullamento, era la mancanza di motivazione sul trattamento sanzionatorio e segnatamente:
sull’entità dell’aumento di pena a titolo di continuazione per il reato già giudicato con la sentenza della Corte di appello di Napoli del 31 ottobre 2019 nella misura di anni 6 di reclusione (non distante da quella calcolata con la sentenza irrevocabile).
sulla dosimetria della pena base per il più grave delitto di cui all’art. 416bis, secondo comma, cod. pen., attestata nel massimo della pena edittale prevista all’epoca del fatto.
2.2. Nel riesaminare in sede di rinvio i suddetti punti, la Corte territoriale, i motivazione, evidenziava che il ruolo direttivo era stato svolto dall’imputato saltuariamente, quale reggente del clan nei periodi di detenzione dei capi del sodalizio. Il che comportava un ridimensionamento della gravità della condotta e quindi della pena base (che veniva determinata in undici anni di reclusione, rispetto ai quattordici anni in precedenza inflitti). Inoltre, la Corte territor riteneva effettivamente ingiustificato l’aumento della continuazione per il reato già giudicato, riducendolo da sei anni a tre anni di reclusione.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192, 546 cod. proc. pen., 133, 416-bis, 81, 629 cod. pen.; motivazione apparente e illogica sul quantum di pena per il reato associativo e motivazione mancante per il quantum di pena a titolo di continuazione.
La sentenza impugnata è contraddittoria nel determinare la pena base per il reato associativo in anni undici di reclusione (rispetto al minimo edittale dell’epoca di nove anni di reclusione), dopo aver affermato che il ruolo di reggente è stato svolto dal ricorrente solo saltuariamente. Uno scostamento sensibile (due anni) dal minimo che non trova giustificazione nella saltuaria veste direttiva, affermata dalla stessa sentenza impugnata, e che neppure risulta motivato, come necessario in casi in cui la pena non venga assestata sul minimo edittale.
Nessuna motivazione si rinviene anche per l’altro punto, oggetto di rinvio.
C
La Corte territoriale si limita invero soltanto a ridurre la pena per la continuazione senza esporre le ragioni della scelta (in ogni caso non su entità minimali).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è da rigettare in quanto non fondato.
Quanto al reato associativo, preliminarmente devono ritenersi precluse le censure difensive che mirano ad una sostanziale rivisitazione del ruolo svolto dal ricorrente all’interno del sodalizio e quindi di un punto – la responsabilità penale oramai coperto dal giudicato progressivo, a seguito dell’annullamento operato dalla Corte di cassazione sul solo trattamento sanzionatorio.
Con riferimento alla posizione del ricorrente all’interno del sodalizio, va rilevato che proprio la sentenza di annullamento n. 20665 del 2022 aveva dato atto, nel dichiarare inammissibile il motivo sulla recidiva, della gravità della condotta associativa (“altissima pericolosità sociale della condotta posta in essere” desumibile dalla gravità dei fatti e dall’inserimento dell’imputato in un contesto di criminalità organizzata). Elementi, che letti unitamente alle considerazioni svolte dalla Corte territoriale sulle ragioni della riforma della pena determinata in primo grado, non tratteggiano, come sostiene la difesa, un ruolo direttivo “minimale” del ricorrente all’interno del sodalizio.
La Corte di assise di appello ha infatti rilevato che la pena di 14 anni di reclusione era effettivamente eccessiva, ma sol perché il ricorrente aveva svolto il ruolo di “reggente” durante i periodi di detenzione dei principali organizzatori del clan COGNOME.
Ciò premesso, quanto alla motivazione della pena, la sentenza di annullamento ha ritenuto carente il giudizio svolto dalla Corte territoriale con la precedente decisione in quanto “in evidente contrasto con l’insegnamento di legittimità che impone l’obbligo di motivare specificamente le ragioni, desumibili dalle valutazioni condotte alla luce dei criteri contenuti nell’art. 133 cod. pen., che conducono a determinare la pena in misura superiore alla media edittale e, ancor più, ove la pena venga fissata nella misura massima prevista dalla norma incriminatrice”.
necessaria una motivazione particolarmente specifica e dettagliata p E’ appena il caso di rilevare che le Sezioni Unite hanno condiviso questo orientamento, secondo cui l’entità dell’impegno motivazione nella determinazione della pena va proporzionalmente stimato in ragione dello scostamento dal mini -edittale: pur non potendosi fissare una soglia precisa, è ragionevole non enere ne
determinate all’interno dell’intervallo compreso tra il minimo e il medio edittale
(Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, pag. 27).
E a tale principio si è attenuta la Corte di assise di appello nel ridurre la pena in misura inferiore alla media edittale.
La misura era tale da non richiedere quindi una ulteriore motivazione rispetto a quella espressa dalla Corte territoriale, che ha escluso la ricorrenza nella specie
di fattori che giustificassero l’applicazione del minimo edittale.
3. Quanto all’aumento di pena a titolo di continuazione per i fatti già giudicati separatamente (in origine la pena era stata determinata nella sentenza definitiva,
con riduzione del rito abbreviato, nella misura di anni otto di reclusione ed euro
1.400 di multa), la Suprema Corte, nell’annullare la precedente sentenza di appello, aveva censurato la immotivata determinazione dell’aumento di pena per
il reato già giudicato con la sentenza della Corte di appello di Napoli del 31 ottobre
2019 nella misura di anni 6 di reclusione, non distante da quella calcolata con la sentenza irrevocabile.
Anche in tal caso, la Suprema Corte ha indicato il principio di diritto violato, richiamando quanto statuito dalle Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269), secondo cui anche nel calcolare e motivare l’aumento di pena per la continuazione il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena va correlato all’entità degli stessi.
Il ragionamento seguito dalla Corte di assise di appello ha rispettato tale principio, pervenendo ad una sensibile riduzione dell’aumento a titolo di continuazione precedentemente determinato, in quanto ritenuto non giustificato, pur sempre rispettando la proporzionalità dell’aumento con la misura della pena inflitta nel separato giudizio (e quindi i criteri di valutazione previsti dall’art. cod. pen. richiamati in quella sede), così da non richiedere un impegno motivazionale ulteriore rispetto a quello espresso in sentenza.
Conclusivamente, sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/03/225.