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Dosimetria della pena: limiti del ricorso in Cassazione

Un soggetto condannato per spaccio e resistenza a pubblico ufficiale ha impugnato in Cassazione la sentenza, contestando l’entità della pena. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la dosimetria della pena decisa dal giudice di merito è sindacabile solo in caso di motivazione manifestamente illogica o arbitraria. Nel caso specifico, la pena, superiore al minimo edittale, era stata correttamente giustificata in base alla gravità dei fatti, alle modalità organizzative e ai numerosi precedenti specifici dell’imputato, in linea con i criteri dell’art. 133 c.p.

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Pubblicato il 28 luglio 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dosimetria della pena: quando la decisione del giudice è insindacabile

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sulla dosimetria della pena e sui confini del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione. Il provvedimento chiarisce che la determinazione della sanzione da parte dei giudici di merito, se adeguatamente motivata, non può essere messa in discussione con motivi generici. Questo principio rafforza l’autonomia del giudice di merito nella valutazione degli elementi che portano alla quantificazione della pena.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Catania per una serie di reati, tra cui spaccio di sostanze stupefacenti in forma lieve (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.). L’appellante non contestava la sua colpevolezza, ma si opponeva alla quantificazione della pena, ritenendola eccessiva. Il ricorso in Cassazione si basava su motivi definiti dalla stessa Suprema Corte come “generici e aspecifici”, focalizzati esclusivamente sulla valutazione degli elementi per la concessione delle attenuanti e sul trattamento sanzionatorio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno stabilito che la sentenza della Corte d’Appello era sorretta da un “conferente apparato argomentativo” che soddisfaceva pienamente l’obbligo di motivazione. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Corte sulla Dosimetria della Pena

Il cuore dell’ordinanza risiede nelle motivazioni che spiegano perché il ricorso sulla dosimetria della pena è stato respinto. La Corte Suprema ha evidenziato alcuni punti fermi della sua giurisprudenza:

1. Limiti del Sindacato di Legittimità: La valutazione degli elementi per la concessione delle attenuanti, il giudizio di comparazione tra circostanze e la quantificazione della pena rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Il controllo della Cassazione è limitato e interviene solo se la decisione è frutto di “mero arbitrio o ragionamento illogico”.
2. Validità della Motivazione Sintetica: La Corte ha ricordato che la giurisprudenza ammette forme di “motivazione implicita” o l’uso di formule sintetiche (come “si ritiene congrua”) per giustificare la pena, a condizione che la decisione non sia palesemente irrazionale.
3. Corretta Applicazione dell’Art. 133 c.p.: Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente giustificato una pena superiore al minimo edittale. La motivazione faceva esplicito riferimento ai parametri dell’art. 133 del codice penale, sottolineando:
* La gravità del fatto.
* Le modalità di organizzazione e reiterazione delle condotte di spaccio.
* La personalità dell’imputato, gravato da numerosi precedenti penali specifici.

Poiché tali argomentazioni sono state ritenute “congrue ed immuni da vizi logici evidenti”, esse sfuggono al sindacato della Cassazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale nel diritto processuale penale: la discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena è ampia e il suo esercizio è difficilmente censurabile in sede di legittimità. Un ricorso in Cassazione che miri a ottenere uno “sconto” di pena senza evidenziare una palese illogicità o arbitrarietà nella motivazione del giudice precedente è destinato all’inammissibilità. La decisione sottolinea l’importanza per la difesa di articolare censure specifiche e puntuali, dimostrando un vizio logico o una violazione di legge, piuttosto che limitarsi a un generico dissenso sull’entità della sanzione inflitta.

È possibile ricorrere in Cassazione per contestare l’entità di una pena ritenuta troppo alta?
No, non se la contestazione è generica. Il ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la motivazione del giudice sulla quantificazione della pena è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico, non semplicemente perché si dissente dall’importo della sanzione.

Una motivazione sintetica sulla pena è sufficiente per la legge?
Sì. La Corte di Cassazione ammette che la motivazione possa essere anche implicita o espressa con formule concise (ad esempio, “si ritiene congrua”), purché la decisione non sia arbitraria e sia ancorata ai criteri legali, come quelli previsti dall’art. 133 del codice penale.

Quali elementi ha usato la corte per giustificare una pena superiore al minimo in questo caso?
La corte ha giustificato la pena basandosi sulla gravità del fatto, sulle modalità organizzative e la ripetitività dello spaccio, e soprattutto sulla personalità dell’imputato, che aveva già numerosi precedenti penali specifici per reati simili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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