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Dosimetria della pena: la Cassazione e la motivazione

Un individuo, già condannato per reati gravi, è stato condannato a 5 anni per detenzione di cocaina. Ha presentato ricorso in Cassazione contestando l’applicazione della recidiva e la dosimetria della pena. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la motivazione della corte d’appello adeguata e logica, soprattutto riguardo la valutazione della personalità criminale dell’imputato e la congruità della pena inflitta, fissata ben al di sotto del medio edittale.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dosimetria della pena: la Cassazione chiarisce i limiti della motivazione

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su temi cruciali del diritto penale, quali la dosimetria della pena, l’applicazione della recidiva e il bilanciamento delle circostanze. Il caso esaminato offre spunti importanti per comprendere i limiti del sindacato di legittimità sulla discrezionalità del giudice di merito nel determinare la sanzione penale. La Suprema Corte ha esaminato il ricorso di un imputato condannato per detenzione di sostanze stupefacenti, confermando la decisione dei giudici di secondo grado.

I Fatti del Caso in Esame

L’imputato era stato condannato in primo e secondo grado alla pena di cinque anni di reclusione e 22.000 euro di multa per il reato di detenzione ai fini di spaccio di cocaina, dalla quale si sarebbero potute ricavare 179 dosi. L’interessato ha proposto ricorso per cassazione lamentando vizi di motivazione e violazione di legge su tre punti principali:

1. L’applicazione della recidiva, ritenuta ingiustificata.
2. Il bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva, che a suo dire avrebbe dovuto vedere prevalere le prime.
3. La dosimetria della pena, considerata eccessiva e non adeguatamente motivata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse adempiuto in modo congruo e pertinente al proprio onere motivazionale su tutti i punti contestati dal ricorrente. La decisione si fonda su principi consolidati in giurisprudenza riguardo l’ampia discrezionalità del giudice di merito nelle valutazioni relative alla pena.

Le Motivazioni su recidiva e dosimetria della pena

La Suprema Corte ha analizzato nel dettaglio i motivi del ricorso, fornendo chiarimenti essenziali. Per quanto riguarda l’applicazione della recidiva, i giudici hanno confermato la valutazione della Corte territoriale. La nuova condotta criminosa, unita a un precedente penale di notevole gravità (che includeva tentata rapina, porto d’armi, ricettazione e lesioni), è stata considerata un chiaro indice di una maggiore e consolidata capacità a delinquere, giustificando così l’applicazione dell’aggravante.

Sul bilanciamento delle circostanze, la Cassazione ha ribadito che tale giudizio rientra nella valutazione discrezionale del giudice di merito e sfugge al controllo di legittimità se non è frutto di un ragionamento palesemente illogico o arbitrario. Nel caso specifico, la scelta di ritenere equivalenti le attenuanti e la recidiva (invece di far prevalere le prime) è stata giustificata in modo congruo, facendo leva sulla personalità negativa dell’imputato e sul ruolo preminente da lui rivestito nella vicenda criminale.

Il punto centrale della pronuncia riguarda la dosimetria della pena. La Corte ha ricordato che il potere discrezionale del giudice deve essere motivato, ma solo nei limiti necessari a far emergere il percorso logico seguito per adeguare la pena alla gravità del reato e alla personalità del reo. Una motivazione specifica e dettagliata è richiesta solo quando la pena si discosta notevolmente dal medio edittale, in particolare quando è molto superiore. In questo caso, la pena di cinque anni di reclusione era ampiamente al di sotto della media prevista dalla legge per quel reato. Pertanto, la motivazione fornita dai giudici di merito – che faceva riferimento non solo alla personalità dell’imputato ma anche alle modalità dell’azione (stratagemmi per eludere i controlli e disponibilità di strumenti per lo spaccio) – è stata ritenuta congrua, esaustiva e sufficiente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: la determinazione della pena è una prerogativa del giudice di merito, il cui esercizio è sindacabile in Cassazione solo in caso di manifesta illogicità o carenza di motivazione. Quando la pena inflitta è inferiore alla media edittale, l’onere motivazionale del giudice si attenua, essendo sufficiente indicare gli elementi ritenuti decisivi per la commisurazione, come la personalità del reo e le modalità del fatto. Questa pronuncia ribadisce, dunque, la fiducia dell’ordinamento nella capacità del giudice di primo e secondo grado di calibrare la sanzione in modo equo e proporzionato al caso concreto.

Quando è necessaria una motivazione dettagliata per la dosimetria della pena?
Secondo la Corte, una spiegazione specifica e dettagliata del ragionamento è necessaria soltanto quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge per quel reato. Per pene inferiori alla media, è sufficiente una motivazione più sintetica.

Come valuta la Cassazione il bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti?
La Corte di Cassazione non entra nel merito della scelta (prevalenza, equivalenza o soccombenza), poiché si tratta di una valutazione discrezionale del giudice. Il suo controllo si limita a verificare che la motivazione a supporto di tale scelta sia sufficiente, logica e non arbitraria.

Perché la recidiva è stata considerata correttamente applicata in questo caso?
La recidiva è stata ritenuta applicabile perché l’imputato aveva già un precedente penale per reati di notevole gravità (tentata rapina, porto di arma, ricettazione e lesione). La commissione di un nuovo reato è stata vista come un indicatore di una capacità criminale incrementata, giustificando l’applicazione dell’aggravante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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