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Dosimetria della pena: il potere discrezionale del giudice

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che contestava la misura della riduzione della pena per le attenuanti generiche. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la dosimetria della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia manifestamente illogica o viziata da errori di diritto. In questo caso, la motivazione è stata ritenuta logica e sufficiente.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dosimetria della pena: la Cassazione ribadisce il potere discrezionale del giudice

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema centrale del diritto penale: la dosimetria della pena. Il caso riguardava un ricorso contro la quantificazione della riduzione per le circostanze attenuanti generiche. La Suprema Corte, dichiarando il ricorso inammissibile, ha riaffermato con forza i confini del proprio sindacato, sottolineando l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della sanzione.

I fatti del caso e i motivi del ricorso

Il ricorrente si era rivolto alla Corte di Cassazione contestando la sentenza della Corte d’Appello. I motivi del ricorso si concentravano essenzialmente su due punti: la presunta violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo all’entità della riduzione concessa per le circostanze attenuanti generiche, ritenuta insufficiente. Inoltre, con motivi aggiuntivi, si lamentava un presunto errore nel calcolo finale della pena.

In sostanza, l’imputato non contestava il riconoscimento delle attenuanti, ma la misura in cui queste avevano inciso sulla pena finale, auspicando una riduzione più consistente.

La decisione della Corte sulla dosimetria della pena

La Settima Sezione Penale della Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha chiarito che i motivi proposti non erano consentiti in sede di legittimità. Essi, infatti, si limitavano a riproporre questioni già valutate e respinte dai giudici di merito, senza una reale analisi critica della decisione impugnata e senza indicare precise ragioni di diritto che giustificassero l’intervento della Suprema Corte.

Il principio del potere discrezionale del giudice

Il cuore della decisione risiede nel richiamo a un consolidato principio giurisprudenziale: la determinazione della pena, tra il minimo e il massimo previsto dalla legge, è espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, guidato dai criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), non è sindacabile in Cassazione se la motivazione fornita dal giudice è sufficiente, logica e non contraddittoria.

L’onere di motivazione nella quantificazione della pena

La Corte ha inoltre precisato che l’obbligo di fornire una motivazione particolarmente dettagliata sorge solo quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media edittale. Al contrario, quando la pena si attesta su valori medi o prossimi al minimo, è sufficiente che il giudice faccia riferimento a criteri di adeguatezza ed equità, come “pena congrua” o “pena equa”, poiché in tali espressioni sono implicitamente contenuti gli elementi di valutazione richiesti dalla legge.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato l’inammissibilità del ricorso evidenziando come le censure del ricorrente fossero generiche e non si confrontassero adeguatamente con le argomentazioni della Corte d’Appello. I giudici di merito avevano confermato una pena base superiore al minimo edittale, giustificandola con un giudizio comparativo tra il quantitativo di stupefacente, il numero di dosi ricavabili e l’incensuratezza dell’imputato. La successiva riduzione per le attenuanti generiche, in misura inferiore al massimo di un terzo, è stata considerata frutto di una valutazione discrezionale e adeguatamente motivata. La decisione impugnata, pertanto, è stata ritenuta logica, congrua e corretta in punto di diritto, immune da vizi di legittimità.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma che tentare di ottenere una “revisione” della misura della pena in Cassazione è un’impresa ardua. Il ricorso in sede di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Per avere successo, è necessario dimostrare un vizio palese nella motivazione del giudice, come una sua manifesta illogicità, una contraddizione insanabile o un errore nell’applicazione della legge, e non semplicemente sostenere che una pena diversa sarebbe stata più “giusta”. La discrezionalità del giudice nella dosimetria della pena rimane un caposaldo del nostro sistema penale, la cui revisione è possibile solo entro confini molto stretti.

È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa dal giudice?
Sì, ma solo in casi limitati. La determinazione della pena (dosimetria) è un potere discrezionale del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo se si dimostra che la motivazione della sentenza è manifestamente illogica, contraddittoria o viola specifiche norme di legge, non per un semplice disaccordo sulla quantificazione.

Quando il giudice deve fornire una motivazione dettagliata sulla pena inflitta?
Secondo la giurisprudenza costante richiamata dalla Corte, una motivazione specifica e dettagliata è necessaria solo quando la pena si discosta notevolmente dalla media edittale, avvicinandosi al massimo. Per pene vicine al minimo o alla media, è sufficiente un richiamo a criteri generali come “pena congrua” o “pena equa”, poiché si presume che il giudice abbia considerato tutti gli elementi dell’art. 133 del codice penale.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era riproduttivo di censure già esaminate e respinte nei gradi di merito, non conteneva una critica specifica alla motivazione della sentenza d’appello e verteva su una valutazione (la quantificazione delle attenuanti generiche) che rientra nel potere discrezionale del giudice, sorretta in questo caso da una motivazione ritenuta sufficiente e non illogica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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