Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 32920 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1   Num. 32920  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME(CODICE_FISCALE) nato a MONZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/02/2025 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette  le  conclusioni  del  Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME,che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo, la Corte di assise di appello di Milano ha parzialmente riformato la pronuncia con cui la Corte di assise di Monza aveva riconosciuto
NOME colpevole del reato di omicidio aggravato ai sensi dell’articolo 577, secondo comma n. 1, cod. pen., commesso ai danni del padre NOME, nonchØ del reato strumentale di distruzione di cadavere.
In accoglimento dell’appello dell’imputato, limitato alla riconsiderazione del giudizio di comparazione tra le circostanze, aggravanti ed attenuanti, effettuato dalla Corte di assise, la Corte distrettuale ha ritenuto la prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti di cui agli artt. 62-bis e 62 n. 6 cod. pen. sull’aggravante di cui all’articolo 577, secondo comma n. 1, cod. pen. e, per l’effetto, ha ridotto la pena ad anni 18 di reclusione.
Secondo le conformi valutazioni dei giudici del merito, fondate, tra l’altro, sulle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato dopo l’emissione a suo carico del provvedimento di fermo, NOME, servendosi di un corpo contundente munito di una estremità netta e relativamente sottile (o una picozza oppure una roncola), aveva inferto al padre quaranta colpi al capo – per lo piø nella parte posteriore e, in misura minore, nella zona frontale – determinando lo ‘sfacelo cranico encefalico’, ed aveva successivamente distrutto il cadavere, abbandonandolo, dopo avergli dato fuoco, presso il capannone in disuso di una fabbrica.
Con riferimento al giudizio di bilanciamento, la Corte di assise di appello ha osservato che NOME, affetto, come riconosciuto dai periti e dai consulenti medici e psichiatrici di tutte le parti processuali, da una notevole fragilità psichica, anche se non tale da mettere in discussione la sua capacità di intendere e di volere, e, comunque, incapace di utilizzare le sue doti intellettive per crescere e rendersi indipendente, si era determinato ad uccidere il padre perchØ fortemente condizionato da tale disagio psicologico, in larga parte
originato dall’ambiente familiare, rivelatosi del tutto incapace di trasmettergli affetto e vicinanza emotiva.
Già  due  anni  prima  dell’omicidio,  in  occasione  della  morte  di  sua  madre, NOME aveva esternato al padre l’accusa di avere posto in essere nei suoi confronti, con la complicità della moglie, condotte abusanti, anche di valenza sessuale.
Tale grave accusa aveva trovato conferma, oltre che in numerose conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate (in cui COGNOME ripeteva spesso di avere subito molestie dai genitori o comunque trattamenti da lui vissuti come tali, che avevano irrimediabilmente compromesso il rapporto coi genitori), nel contenuto di una video casetta, che, su segnalazione dello stesso imputato era stata visionata dal perito NOMEX. Il filmato aveva disvelato atteggiamenti dei genitori particolarmente inquietanti, soprattutto perchØ posti in essere nei confronti di un soggetto che, per la sua tenera età e per lo stretto rapporto familiare con le persone che li ponevano in essere, non era in condizione di esternare liberamente il suo dissenso.
Quanto alla misura della pena, la Corte distrettuale ha ritenuto adeguata la pena base indicata dal primo giudice – pari ad anni 22 di reclusione – benchØ piø elevata del minimo edittale in considerazione di plurime elementi negativi: il rapporto familiare con la vittima, l’efferatezza del delitto e le manovre personalmente svolte dall’imputato all’inizio delle indaginiper non far risultare la sua responsabilità.
Per le stesse ragioni, ha ritenuto di non applicare nella loro massima estensione le detrazioni per le circostanze attenuanti.
Con specifico riferimento all’attenuante del risarcimento del danno, ha evidenziato che NOME aveva ceduto ai parenti anche proprietà che non avrebbe potuto ereditare per indegnità.
Ha,  infine,  ritenuto  congruo  l’aumento  inflitto  dalla  Corte  di  assise  a  titolo  di continuazione per il reato di cui all’art. 411 cod. pen. perchØ proporzionato ai limiti, minimi e massimi, della pena edittale.
In conclusione, la pena Ł stata determinata nella misura finale di anni 18 di reclusione: pena base anni 22, ridotta ad anni 19 per le circostanze attenuanti generiche, ad anni 17 per l’attenuante risarcimento del danno, infine aumentata ad anni 18 per il reato di soppressione di cadavere.
Ricorre per cassazione NOME, per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo con cui deduce vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di dosimetria della pena.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata, pur riconoscendo fondate le doglianze difensive che avevano messo in evidenza la fragilità psicologica dell’imputato e l’influenza negativa esercitata sulla sua personalità dagli anomali comportamenti tenuti dai genitori nei suoi confronti sin dall’infanzia anche con riferimento alla sua sfera sessuale, ha continuato a ritenere adeguata la pena base di anni 22 di reclusione, già individuata dal primo giudice in misura distante dal minimo edittale.
La motivazione adottata a sostegno di tale scelta Ł contraddittoria: la Corte d’assise d’appello, da un lato, ha individuato nel perverso rapporto con il padre la causa dell’impeto incontenibile che ha portato l’imputato ad ucciderlo; dall’altro, ha considerato il legame familiare decisivo per determinare la pena base in misura non prossima al minimo edittale, ma alla metà.
L’intrinseca maggiore gravità dell’omicidio intrafamiliare avrebbe dovuto, invece, essere valutata recessiva rispetto al dato accertato che era stato proprio il contesto familiare ed i
comportamenti molesti e vessatori della vittima, a determinare l’azione omicidiaria.
Il giudizio di prevalenza Ł stato vanificato anche dalla determinazione di una riduzione minima per entrambe le attenuanti riconosciute.
Con riferimento all’attenuante del risarcimento del danno, la sentenza impugnata avrebbe dovuto valorizzare, così come fatto dal giudice di primo grado, l’accesso al programma di  giustizia  riparativa,  peraltro  conclusosi  positivamente,  ampiamente dimostrativo  della  volontà  conciliatoria  verso  i  familiari  superstiti.
Nessuna risposta Ł stata fornita alla doglianza difensiva sull’eccessività dell’aumento a titolo di continuazione correlato al reato satellite di soppressione del cadavere, che pure, come si legge nella sentenza della Corte di assise di Monza, non Ł stato preceduto da un’attenta pianificazione, ma Ł stato il risultato di un agire estemporaneo e disorganizzato.
L’evidente contraddittorietà delle argomentazioni utilizzate dalla Corte d’assise di appello  per  giustificare  il quantum di  pena  rende  inutile  l’annullamento  con  rinvio dell’impugnata  sentenza.
In  siffatta  situazione,  la  Corte  di  cassazione  può  procedere  direttamente  alla determinazione della pena, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell’articolo 620 lettera i) cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo dedotto non supera il vaglio di ammissibilità.
Va, in premessa, ricordato che le statuizioni relative sia alla graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni correlati rispettivamente alle circostanze aggravanti ed a quelle attenuanti, sia al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piø idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931 in termini Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 – 01; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017 , COGNOME, Rv. 270450 – 01).
Il giudice di merito per assolvere all’obbligo di motivazione correlato alla discrezionalità attribuitagli dall’ordinamento, Ł sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen..
E’, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (ex multis Sez. 4,. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 – 01Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464 – 01).
Non Ł ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta (Sez. 2, n. 37061 del 22/10/2020, Nunziato, Rv. 280359 – 01;Sez. 4, n. 48391 del 05/11/2015, Armuzzi, Rv. 265332 – 01;Sez. 3, n. 13210 del 11/03/2010, Puzzo, Rv. 246820 – 01).
2.  La  Corte  distrettuale,  con  motivazione  diffusa  ed  esplicativa,  ha  chiarito
esaustivamente le ragioni in base alle quali, pur mitigando il trattamento sanzionatorio con il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, ha rideterminato la pena in termini contenuti, lasciando immutata la pena base inflitta in primo grado – anni 22 di reclusione quindi inferiore dalla media edittale, pari ad anni 22 e mesi 6 di reclusione – ed operando diminuzioni per le due attenuanti riconosciute inferiori  a  quelle  massime consentite.
Al riguardo, ha ritenuto ostativi alla commisurazione della pena in termini ancora piø favorevoli elementi fattuali, di sicura valenza negativa alla stregua delle previsioni dell’art. 133 cod. pen., ed in particolare:
 il  rapporto  familiare  tra  imputato  e  vittima,  considerato  talmente  rilevante dall’ordinamento da costituire un aggravante ad effetto speciale in astratto idonea a trasformare la pena temporanea in perpetua;
l’efferatezza delle modalità esecutive dell’azione delittuosa, analiticamente descritte nel corpo della motivazione per valorizzarne la concreta gravità, l’elevata offensività e la notevole intensità sia del dolo, sia della capacità a delinquere dell’odierno ricorrente, anche richiamando la sentenza emessa in esito al primo grado del giudizio;
la condotta tenuta da NOME immediatamente dopo la consumazione dei reati, caratterizzata non dall’immediata e tempestiva confessione, ma da ripetuti tentativi di intralciare l’attività investigativa in corso così da evitare la scoperta del suo personale coinvolgimento nell’azione delittuosa (pagg. 14 e seg. sentenza della Corte di assise di Monza). Non solo egli aveva cancellato tutte le tracce del delitto, ma aveva denunciato la scomparsa del padre accreditando la tesi del gesto suicidario e rivolgendosi a trasmissioni televisive doveva aveva lanciato appelli per ritrovarlo (cfr. pagg. 2 e seg. della sentenza della Corte di assise di appello);
la portata limitata del risarcimento del danno avendo l’imputato scelto di cedere ai parenti anche la proprietà di beni che non avrebbe potuto ereditare per indegnità.
A fronte di siffatti elementi negativi sono stati ritenuti recessivi quelli opposti dalla difesa ovvero la causale del delitto originata dal problematico rapporto coi genitori, che in passato avevano compiuto atti di molestia di tale gravità da condizionare lo sviluppo psicologico dell’imputato, e le peculiari condizioni di fragilità psicologica in cui versava NOME durante la consumazione dei reati.
Tali elementi sono stati ritenuti, alla luce di un apparato giustificativo logico e razionale ed attraverso apprezzamenti non censurabili in questa sede, utili per ribaltare in senso piø favorevole all’imputato il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuati e a pervenire ad un trattamento sanzionatorio piø mite, anche se non pari o prossimo al minimo edittale.
Quanto alla misura dell’aumento per il reato satellite di cui all’art. 411 cod. pen., Ł stata anch’essa giustificata, sia pure implicitamente, con il richiamo alla particolare gravità del reato analiticamente descritta nelle pagg. 22 e seg. della sentenza di primo grado.
NOME aveva perseguito un piano organizzato dimostrando un’elevata capacità a delinquere: dopo avere ripulito la scena del delitto dal sangue, per ore e ore, usando stracci, tende, asciugamani, sgrassatore e candeggina, aveva sfruttato la circostanza dell’impegno a Lodi del padre per simularne l’allontanamento, aveva portato l’autovettura in uso al genitore distante da casa, si era sbarazzato del cellulare di quest’ultimo e dell’arma del delitto, aveva acquistato una resina ‘per una composizione’, aveva trascinato il frigorifero con il cadavere nel box, dopo alcuni giri di perlustrazione aveva collocato il corpo nel bagagliaio dell’autovettura ricevuta in prestito dalla fidanzata, si era diretto nello stabilimento dismesso
ove in passato aveva scattato alcune fotografie, aveva disteso il cadavere ed appiccato il fuoco per disfarsene definitivamente.
Inoltre, la pena per il reato di distruzione di cadavere Ł stata quantificata in un anno di reclusione, pari a metà del minimo edittale,e non sono prospettate ragioni per una maggiore riduzione; si rileva, in particolare, che a fronte dell’analitica disamina condotta nella sentenza di primo grado sul punto, che ha evidenziato, oltre all’attenta programmazione del delitto, la brutalità dell’azione contro il padre e l’elevata offesa al bene giuridico protetto, il ricorso nonprospetta nessuna argomentazione contraria e, nel richiamare l’atto di appello, si rivela generico poichŁ nulla riporta delle obiezioni in quella sede sviluppate.
 All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 16/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.