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Dosimetria della pena: i limiti del giudice

Un soggetto, condannato per tentato furto aggravato, ha impugnato la sentenza d’appello lamentando un’errata determinazione della pena. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la dosimetria della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Tale valutazione può essere sindacata solo se illogica o arbitraria, circostanze escluse nel caso di specie, dove la pena era giustificata dall’elevata capacità a delinquere dell’imputato, dimostrata da precedenti tentativi di furto.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dosimetria della pena: I Limiti alla Discrezionalità del Giudice secondo la Cassazione

La determinazione della giusta pena è uno dei compiti più delicati del giudice penale. Ma fino a che punto questa decisione è sindacabile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della discrezionalità del giudice in materia di dosimetria della pena, confermando un orientamento consolidato. Il caso riguarda un ricorso presentato contro una condanna per tentato furto aggravato, in cui l’imputato contestava esclusivamente l’entità della sanzione inflitta. Vediamo come la Suprema Corte ha affrontato la questione.

Il Caso in Esame: Dal Tentato Furto al Ricorso in Cassazione

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di condanna emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato era stato ritenuto colpevole di tentato furto aggravato e condannato alla pena di un anno di reclusione e 100,00 euro di multa.

Non contestando la propria colpevolezza, l’imputato ha deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione non sulla responsabilità, ma specificamente sulla quantificazione della pena. A suo avviso, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente giustificato la scelta di una sanzione ritenuta eccessiva.

La Dosimetria della Pena e la Valutazione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso ‘manifestamente infondato’ e, di conseguenza, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nel principio, più volte affermato, secondo cui la dosimetria della pena è un’attività che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.

I Criteri dell’Art. 133 del Codice Penale

Il giudice, nel determinare la pena, deve attenersi ai criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale, che impongono di valutare:

1. La gravità del reato (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione).
2. La capacità a delinquere del colpevole (i motivi a delinquere, il carattere del reo, i precedenti penali e giudiziari, la condotta contemporanea o susseguente al reato).

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano motivato la loro scelta sanzionatoria richiamando ‘l’elevata capacità a delinquere’ dimostrata dall’imputato, evidenziata dai reiterati tentativi di furto nel tempo. Questa motivazione, seppur sintetica, è stata ritenuta dalla Cassazione coerente, logica ed esaustiva.

Quando il Ricorso per la Dosimetria della Pena è Inammissibile?

La Suprema Corte ha ribadito che il suo sindacato sulla quantificazione della pena è limitato. Non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il controllo di legittimità è ammesso solo quando la decisione sulla pena è frutto di ‘mero arbitrio o di ragionamento illogico’. Poiché nel caso in esame la motivazione era basata su un criterio previsto dalla legge (la capacità a delinquere) e non appariva irragionevole, il ricorso è stato respinto.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione sull’orientamento giurisprudenziale consolidato che protegge la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena. Il ragionamento dei giudici di appello, che hanno confermato la sanzione di primo grado, è stato considerato immune da censure. Hanno correttamente valorizzato un elemento concreto – la reiterazione di condotte criminose – per desumere un’alta pericolosità sociale dell’imputato. Tale valutazione rientra pienamente nei parametri dell’art. 133 c.p. e non costituisce un esercizio arbitrario del potere discrezionale. La Cassazione sottolinea che basta l’enunciazione, anche sintetica, di uno o più dei criteri legali per ritenere adempiuto l’obbligo di motivazione, a meno che non emerga una palese illogicità, qui assente.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma che contestare in Cassazione l’entità della pena è un’operazione complessa e dalle scarse probabilità di successo se non si è in grado di dimostrare una palese irragionevolezza o un’assoluta mancanza di motivazione da parte del giudice di merito. La dichiarazione di inammissibilità comporta, inoltre, conseguenze onerose per il ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, egli è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria serve a scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati, che sovraccaricano il sistema giudiziario senza avere concrete possibilità di accoglimento.

È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. Il ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la decisione del giudice è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Non è sufficiente ritenere la pena semplicemente ‘troppo alta’.

Su quali basi il giudice ha giustificato la pena in questo caso specifico?
Il giudice ha giustificato la pena basandosi sull’elevata capacità a delinquere dell’imputato, un criterio previsto dall’art. 133 del codice penale. Tale capacità è stata desunta dai vari tentativi di furto che l’imputato aveva commesso nel tempo.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, salvo ipotesi di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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