Dosimetria della pena: I Limiti alla Discrezionalità del Giudice secondo la Cassazione
La determinazione della giusta pena è uno dei compiti più delicati del giudice penale. Ma fino a che punto questa decisione è sindacabile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della discrezionalità del giudice in materia di dosimetria della pena, confermando un orientamento consolidato. Il caso riguarda un ricorso presentato contro una condanna per tentato furto aggravato, in cui l’imputato contestava esclusivamente l’entità della sanzione inflitta. Vediamo come la Suprema Corte ha affrontato la questione.
Il Caso in Esame: Dal Tentato Furto al Ricorso in Cassazione
La vicenda processuale ha origine da una sentenza di condanna emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato era stato ritenuto colpevole di tentato furto aggravato e condannato alla pena di un anno di reclusione e 100,00 euro di multa.
Non contestando la propria colpevolezza, l’imputato ha deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione non sulla responsabilità, ma specificamente sulla quantificazione della pena. A suo avviso, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente giustificato la scelta di una sanzione ritenuta eccessiva.
La Dosimetria della Pena e la Valutazione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso ‘manifestamente infondato’ e, di conseguenza, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nel principio, più volte affermato, secondo cui la dosimetria della pena è un’attività che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.
I Criteri dell’Art. 133 del Codice Penale
Il giudice, nel determinare la pena, deve attenersi ai criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale, che impongono di valutare:
1. La gravità del reato (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione).
2. La capacità a delinquere del colpevole (i motivi a delinquere, il carattere del reo, i precedenti penali e giudiziari, la condotta contemporanea o susseguente al reato).
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano motivato la loro scelta sanzionatoria richiamando ‘l’elevata capacità a delinquere’ dimostrata dall’imputato, evidenziata dai reiterati tentativi di furto nel tempo. Questa motivazione, seppur sintetica, è stata ritenuta dalla Cassazione coerente, logica ed esaustiva.
Quando il Ricorso per la Dosimetria della Pena è Inammissibile?
La Suprema Corte ha ribadito che il suo sindacato sulla quantificazione della pena è limitato. Non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il controllo di legittimità è ammesso solo quando la decisione sulla pena è frutto di ‘mero arbitrio o di ragionamento illogico’. Poiché nel caso in esame la motivazione era basata su un criterio previsto dalla legge (la capacità a delinquere) e non appariva irragionevole, il ricorso è stato respinto.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha fondato la sua decisione sull’orientamento giurisprudenziale consolidato che protegge la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena. Il ragionamento dei giudici di appello, che hanno confermato la sanzione di primo grado, è stato considerato immune da censure. Hanno correttamente valorizzato un elemento concreto – la reiterazione di condotte criminose – per desumere un’alta pericolosità sociale dell’imputato. Tale valutazione rientra pienamente nei parametri dell’art. 133 c.p. e non costituisce un esercizio arbitrario del potere discrezionale. La Cassazione sottolinea che basta l’enunciazione, anche sintetica, di uno o più dei criteri legali per ritenere adempiuto l’obbligo di motivazione, a meno che non emerga una palese illogicità, qui assente.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma che contestare in Cassazione l’entità della pena è un’operazione complessa e dalle scarse probabilità di successo se non si è in grado di dimostrare una palese irragionevolezza o un’assoluta mancanza di motivazione da parte del giudice di merito. La dichiarazione di inammissibilità comporta, inoltre, conseguenze onerose per il ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, egli è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria serve a scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati, che sovraccaricano il sistema giudiziario senza avere concrete possibilità di accoglimento.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. Il ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la decisione del giudice è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Non è sufficiente ritenere la pena semplicemente ‘troppo alta’.
Su quali basi il giudice ha giustificato la pena in questo caso specifico?
Il giudice ha giustificato la pena basandosi sull’elevata capacità a delinquere dell’imputato, un criterio previsto dall’art. 133 del codice penale. Tale capacità è stata desunta dai vari tentativi di furto che l’imputato aveva commesso nel tempo.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, salvo ipotesi di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35358 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35358 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza pronunciata il 30.09.2024 dal Tribunale di Bologna nei confronti dì NOME che aveva condannato alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 100,00 di multa per il reato di cui agli artt. 56, 624, 625, n. 2, 61, n.5 cod. pen.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione della pena.
Il motivo è manifestamente infondato. La Corte di merito, con argomentazioni coerenti, non illogiche, oltre che esaustive, a sostegno del trattamento sanzionatorio determinato dal giudice di primo grado, richiama l’elevata capacità a delinquere dimostrata dall’imputato con i vari tentativi di furto reiterati nel tempo (pag.3). In tema di dosimetria della pena va ricordato che il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 de 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754). È dunque ammissibile il sindacato di legittimità solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, da escludersi nel caso in esame.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 30 settembre 2025.