Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1969 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/03/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, con le quali si é chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Corte di cassazione, Terza Sezione penale, con sentenza n. 2351/2023, ha annullato con rinvio quella della Corte di appello di Napoli di conferma della sentenza pronunciata dal Tribunale di quella città, affermativa della penale responsabilità di COGNOME NOME per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere (capo 1) e indebita compensazione di crediti inesistenti, con l’aggravante di aver commesso il fatto nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da professionista attraverso l’elaborazione di modelli di evasione fiscale (capi 5, 6, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30 e 31). L’COGNOME era stato condannato, come da dispositivo della sentenza impugnata, alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione, ritenuto più grave il reato di indebita compensazione di cui al capo 6) e riconosciute le generiche prevalenti sull’aggravante. La Corte rimettente, ritenuto il ricorso complessivamente infondato con riguardo alle censure sulla penale responsabilità, lo ha di contro ritenuto fondato quanto a quella inerente alla rilevata discrepanza tra dispositivo letto in udienza e motivazione, con assorbimento delle doglianze riguardanti l’allegata eccessività della pena. In particolare, il giudice rimettente, considerato che nella sentenza di primo grado era immediatamente rilevabile una difformità tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione ed il dispositivo depositati in cancelleria (il primo avendo statuito una pena di anni quattro, mesi sette di reclusione, il secondo quella di anni cinque, mesi sei di reclusione, con motivazione coerente con tale ultimo dispositivo), ha ritenuto di dover ribadire il principio di diritto in forza del quale la regola della prevalenza del dispositivo sulla motivazione non può essere derogata – quando non emerga un errore materiale del dispositivo obiettivamente rilevabile dagli atti e da ciò discenda, quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice, un risultato più favorevole per l’imputato – osservando che, nella specie, non erano stati,, per l’appunto, indicati dai giudici territoriali errori materiali, né era stato spiegato perché il dispositivo di cui alla motivazione dovesse essere più afflittivo per l’imputato, rispetto a quello letto in udienza. Ha, infine, ritenuto assorbita l’ultima doglianza con la quale si era lamentata un’eccessività della pena. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte del rinvio ha preliminarmente circoscriti:o l’oggetto del giudizio devoluto, rilevando che esso riguardava la determinazione della pena, in relazione alla difformità di cui sopra, procedendo alla sua rideterminazione nel senso più favorevole all’imputato, come da dispositivo letto in udienza. Ha, quindi, provveduto al relativo calcolo, individuando la pena base per il reato più grave di cui al capo 6), nella fattispecie aggravata ai sensi dell’art. 13 bis,
comma 3, d. Igs. 74/2000, in anni quattro, mesi sei di reclusione, riducendola per le generiche (considerate prevalenti e calcolate nella massima estensione) a quella di anni tre di reclusione che ha, dunque, aumentato per la continuazione con diciannove reati satellite nella misura di mesi uno ciascuno. Quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, peraltro, la Corte del rinvio ha rigettato il relativo motivo di gravame, osservando che la pena era bilanciata e proporzionata alla estrema gravità dei fatti e alla spregiudicatezza dimostrata dall’imputato che aveva contribuito, con ruolo non secondario, alla realizzazione di uno schema di evasione fiscale ben preciso con un’indebita compensazione di crediti IVA inesistenti per milioni di euro, tenuto conto che la fattispecie da considerarsi era comunque quella di cui al citato art. 13 bis, comma 3, d. Igs. n. 74/2000. Infine, ha ritenuto contenuti gli aumenti per ciascun reato satellite, tali in ogni caso da non essere suscettibili di una riduzione, considerata l’entità dei fatti.
L’imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla dosimetria della pena, rilevando che la pena base era stata individuata in misura ampiamente superiore alla media edittale, pari a anni 3 e mesi nove, rilevando l’insufficienza di un percorso giustificativo che faccia rinvio a mere formule di stile, come l’entità del fatto e la personalità dell’imputato, dovendo il giudice confrontarsi anche con gli argomenti esposti a difesa per contestare l’adeguatezza del trattamento sanzionatorio.
Il Procuratore generale, in persona’ del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
AVV_NOTAIO, del foro di Nlola, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale, NOMENOME> riportandosi COGNOME ai COGNOME motivi COGNOME di COGNOME ricorso COGNOME e COGNOME chiedendone l’accogli me nto
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza del motivo.
La Corte del rinvio ha rigettato il motivo del gravame con il quale era stata contestata la dosimetria della pena, sia con riferimento all’individuazione di quella base per il reato più grave, che avuto riguardo agli aumenti a titolo di continuazione per i reati satellite, valorizzando a sostegno della decisione
elementi certamente rientranti tra i parametri legali di cui all’art. 133, cod. pen. In particolare, ha stigmatizzato l’entità dell’evasione, ma anche il ruolo, tutt’altro che marginale, giocato dall’imputato nel suo perfezionarsi. Si tratta di una motivazione congrua, con la quale quel giudice ha giustificato un discostannento dal medio edittale, peraltro non così “ampiamente superiore”, come ritenuto a difesa, siccome pari a soli nove mesi di diffe ,enza. Sul punto, pare sufficiente un rinvio ai principi già fissati da questa Corte di legittimità, per ribadire che la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME Papa, Rv. 276288-01), ciò che la stessa difesa ha riconosciuto, osservandosi che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nei la discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore a la misura media di quella edittale (sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, I2v. 271243-01). Quanto, poi, agli aumenti per la continuazione, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (sez. 6, n. 44428 del 5/10/2022, COGNOME, Rv. 284005).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordien alla causa di inammissibilità (Corte cost., n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 9 gennaio 2024