Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16058 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16058 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Gioiosa Jonica il 11/06/1952 COGNOME NOME nato a Stignano il 08/05/1967
avverso la sentenza del 19/04/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione al trattamento sanzionatorio;
uditi i difensori, avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME e avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per COGNOME NOME, che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/04/2024 la Corte di appello di Reggio Calabria, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Locri il 18/07/2017 nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME assolveva gli imputati dal reato di cui al capo 1) e rideterminava le pene.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad unico articolato motivo, con cui deduce la violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 133 e 9 comma quarto, cod. pen. 73, comma 1 e 80, comma 2, D.P.R. n. 309/1990. Osserva che, in seguito all’assoluzione per il reato associativo di cui al capo 1) e preso atto del già riconosciuto vincolo della continuazione, la Corte territoriale ha individuato la violazione più grave nel reato di cui al capo 3), relativo al tentati aggravato di importazione di trecentoventi chilogrammi di cocaina dal Sud America ed ha fissato la pena base in anni dodici di reclusione ed euro 34.000 di multa; ha poi aumentato detta pena di anni otto di reclusione ed euro 18.000 di multa per la circostanza aggravante di cui all’art. 80 del D.P.R. n. 309/1990, pervenendo alla pena di anni venti di reclusione ed euro 52.000 di multa; la pena è stata altresì aumentata di anni tre di reclusione ed euro 4000 di multa, ai sensi dell’art 63, comma quarto, cod. pen., arrivando alla pena di anni ventitré di reclusione ed euro 56.000 di multa; detta pena è stata, inoltre, aumentata di anni due di reclusione ed euro 3000 di multa per la continuazione con il reato di cui al capo 4), fino alla pena di anni venticinque di reclusione ed euro 59.000 di multa; è stato, infine, operato l’aumento di anni uno di reclusione ed euro 1000 di multa per la continuazione con il reato di cui al capo 2), giungendo in tal modo alla pena finale di anni ventisei di reclusione ed euro 60.000 di multa.
Tanto premesso, ritiene la difesa che la motivazione del provvedimento impugnato che fonda la dosimetria della pena si risolva in formule di stile, che sostanzialmente si limitano a richiamare gli indici regolatori del potere di commisurazione previsti dall’art. 133 cod. pen., senza fornire informazioni effettive sulle specificità del caso che, raccordate ai parametri legali, avrebbero reso evidente il percorso logico seguito e la scelta di comminare il massimo della pena applicabile; che, invece, nel caso di specie, proprio in ragione dell’entità della pena base, che si attesta in prossimità del massimo edittale, sarebbe stata necessaria una più stringente motivazione; che, invero, è orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dar ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, tra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dell’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giu che analoghe criticità si rinvengono in relazione agli aumenti di pena operati per la circostanza aggravante di cui all’art. 80 del D.P.R. n. 309/1990, applicato nella sua massima estensione, per l’aumento facoltativo di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen., per la recidiva qualificata, anch’esso disposto nella massima estensione e per i consistenti aumenti di pena applicati per la continuazione; che nemmeno la lettura della motivazione nel suo complesso consente di individuare altrove elementi logicamente correlabili alle determinazioni in punto di pena che
possano contribuire ad esplicitare le ragioni delle scelte, tenuto conto anche del fatto che l’odierno ricorrente è persona ultrasettantenne giudicata a distanza di oltre dieci anni dai fatti. Segnala, infine, il difensore che, in sede di giudi abbreviato, il reato di cui al capo 3) era stato ritenuto consumato ed al coimputato era stata irrogata la pena di anni sedici di reclusione, risultando di conseguenza paradossale che all’odierno ricorrente per lo stesso reato, ma in forma tentata, sia stata inflitta la pena di venti anni di reclusione.
NOME COGNOME a mezzo dei difensori, ha interposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo impugna l’ordinanza del 17/03/2023, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 16-sexies, comma 1, D.L. n. 8/1991, evidenziando come la difesa avesse invitato la Corte territoriale ad ordinare all’Ufficio di Procura di depositare verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione di NOME COGNOME in forma integrale, al fine di poter valutare l’immutabilità delle dichiarazioni gi rese; come i giudici di appello avessero proceduto all’escussione del collaboratore, ritenendo che non vi fosse un obbligo del giudice di acquisire agli atti detto verbale; come, invece, la lettera della norma e l’interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza di legittimità depongano nel senso della obbligatorietà dell’acquisizione, una volta che sia stata richiesta dalla parte; che il diniego della Corte di merito ha comportato una evidente lesione del diritto di difesa, specie se si considera che le dichiarazioni dell’Agostino, alcune delle quali del tutto inedite fino ad allora, sono state utilizzate nella determinazione della pena base per il reato di cui al capo 3), prossima al massimo edittale.
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen., nonché motivazione assente e manifestamente illogica. Rileva che, a seguito dell’intervenuta assoluzione per il reato associativo, è stata determinata la pena base per il più grave reato, individuato in quello di cui al capo 3), in anni dieci d reclusione ed euro 26.000 di multa, aumentata di anni sei di reclusione ed euro 16.000 di multa per la circostanza aggravante di cui all’art. 80 del D.P.R. n. 309/1990 e, infine, ulteriormente aumentata di anni due di reclusione ed euro 3000 di multa per la continuazione con il reato di cui al capo 4); che, presupponendo che la pena base sia stata individuata nell’ambito della cornice edittale già ridotta per il tentativo, benché ciò non sia specificato, non può non rilevarsi come, pur essendo vicina al massimo edittale, sia sfornita di idonea motivazione; che, invero, in luogo di esaminare tutti i criteri stabiliti dall’art. cod. pen., quello oggettivo e quello soggettivo, si limita ad analizzare solo
quest’ultimo; che, in particolare, i) non vi è alcun riferimento al fatto che trattasi di reato nella forma tentata o che la sostanza stupefacente non è stata oggetto di analisi scientifica, li) né vi è riferimento al decorso del tempo dal fatto, risalente a circa tredici anni fa, iii) né vengono prese in considerazione le argomentazioni difensive, tra cui il corretto comportamento processuale tenuto dal ricorrente, quello altrettanto corretto serbato dopo la commissione del reato, sia nel corso della custodia cautelare in carcere, sia dopo la scarcerazione avvenuta il 19/01/2022, elementi questi che determinavano la Corte di appello di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, a revocare la misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti dell’imputato, stante la mancanza di attualità nel giudizio di pericolosità sociale, iiii) né si è tenuto conto della pena sensibilmente inferiore comminata al coimputato COGNOME, giudicato separatamente, fini) né, infine, è stato operato il doveroso raffronto tra la pena comminata nei gradi di merito, prima che intervenisse l’assoluzione per il reato associativo, pari a tre anni di reclusione quale aumento a titolo di continuazione; che, comunque, anche l’esame dei parametri soggettivi di cui all’art. 133 cod. pen. viene svolto in maniera errata, atteso che la capacità a delinquere dell’imputato è stata valutata non all’attualità, ma alla data di commissione del reato, risalente a quasi tredici anni fa, senza tener conto del decorso di un tale lasso temporale e degli elementi indicati dalla difesa; che, infine, la motivazione è anche contraddittoria nella misura in cui risulta inconciliabile con le motivazioni espresse da un collegio parzialmente diverso in sede cautelare, che avevano portato alla revoca della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per essere venute meno le esigenze cautelari, anche alla luce della intervenuta revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 81 cod. pen., rilevando come la Corte territoriale non abbia motivato in relazione all’ingente aumento di pena effettuato per il reato di cui al capo 4), pari a due anni di reclusione, senza neppure specificare se detto aumento fosse da intendere come già ridotto per il tentativo.
3.4. Con il quarto motivo si duole della mancata determinazione del calcolo della pena, evidenziando che i giudici di appello non hanno ricostruito i calcoli effettuati per assumere come pena base dieci anni di reclusione, con la conseguenza che non è dato ricostruire le motivazioni per le quali hanno determinato la pena massima per poi ridurne l’entità, così come non si comprende se abbiano assunto come base il reato consumato o il reato tentato di importazione, tenuto conto che la pena base è compatibile sia con l’una che con l’altra figura.
3.5. In data 27/02/2025 sono pervenuti motivi nuovi in aggiunta a quelli principali a firma di entrambi i difensori, con cui si osserva che la Corte territoriale avrebbe ignorato che il Tribunale aveva derubricato il reato consumato in reato tentato; che ciò si desumerebbe dal calcolo della pena effettuato per il coimputato NOMECOGNOME atteso che – se avesse tenuto conto della derubricazione relativa al reato di cui al capo 3) – avrebbe dovuto individuare il reato più grave nell’ipotesi consumata di cui al capo 2), piuttosto che in quella tentata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
1.1. Ed invero, l’art. 132 cod. pen. riconosce al giudice un potere discrezionale nell’applicazione della pena, bilanciato e circoscritto, in rito, con l prescrizione di indicare i motivi che ne giustificano l’uso, nel merito, con l indicazione – nel successivo art. 133 cod. pen. – di precisi parametri di riferimento, oggettivi e soggettivi, che lo guidano nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
Alle previsioni codicistiche si aggiunge il dettato dell’art. 27, comma 3, Cost., che cristallizza la funzione rieducativa cui deve tendere la pena, alla quale va attribuita una specifica valenza rispetto a quella retributiva e di prevenzione generale. Trattasi di una prescrizione che è rivolta sia al legislatore, quale parametro di legittimità, che al giudice, quale canone autoapplicativo. In proposito, la Corte costituzionale in più occasioni ha avuto cura di precisare, con riferimento all’art. 27, comma 3, Cost., che «la finalità rieducativa della pena non è limitata alla sola fase dell’esecuzione, ma costituisce una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (ex plurimis, C. cost. n. 183 del 2011), dunque, anche nel momento della quantificazione della pena base.
Complementare rispetto al parametro costituzionale è poi la prescrizione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce il principio di proporzionalità che deve sussistere tra la gravità del fatto accertato nei suoi elementi soggettivi ed oggettivi e la pena irrogata (art. 49, comma 3) e in proposito il Giudice delle leggi ha sottolineato che la finalità rieducativa dell pena implica «un costante “principio di proporzione” tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra» (Corte Cost. n. 341 del 1994).
Dalle considerazioni che precedono discende che il giudice, nel fissare la pena – ed innanzitutto la pena base – per il reato di cui l’imputato è stato
ritenuto responsabile, deve tener conto non solo della funzione retributiva, perché la pena sia proporzionata alla gravità del reato e all’offensività in concreto della condotta del reo (art. 133, comma primo, cod. pen.) e di quella di prevenzione generale, che tiene conto della capacità a delinquere del medesimo (art. 133, comma secondo, cod. pen.), ma necessariamente anche della funzione rieducativa, che concorre con quella retributiva, dovendo la pena, in ragione del parametro costituzionale, essere «fortemente individualizzata in rapporto con le caratteristiche personali dei soggetti destinatari» (C. cost. n. 50 del 1980) e all’«obiettivo della rieducazione del condannato» (C. cost. n. 183 del 2011, cit.).
Orbene, sulle premesse ora sintetizzate si fonda il principio, che può dirsi ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’art. cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 – 01; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255153 – 01). A maggior ragione, l’irrogazione di una pena prossima al massimo edittale impone una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’ar 133 cod. pen. il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356 – 01).
1.2. Venendo al caso di specie, ritiene il Collegio che i punti critici riguardin a) la determinazione della pena base, che è stata fissata in anni dodici di reclusione (oltre euro 34.000 di multa), dunque, in misura prossima al massimo edittale previsto per il delitto tentato (anni tredici e mesi quattro di reclusion mentre il minimo edittale è fissato in anni due di reclusione, operando la massima riduzione per il tentativo sul minimo della pena) e b) l’aumento per la circostanza aggravate di cui all’art. 80, comma 2, del D.P.R. n. 309 del 1990, fissato in anni otto di reclusione, dunque, nella misura massima di due terzi prevista.
1.2.1. Orbene, l’applicazione di una pena base nella misura prossima al massimo edittale, così come l’aumento nella misura massima prevista per la circostanza aggravante ad effetto speciale avrebbe richiesto una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati nell’art. 133 cod pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena; ciò che invece è mancato nella specie perché – come si è evidenziato – la Corte d’appello ha fatto solo riferimento, in termini meramente assertivi e senza un reale collegamento con il fatto come accertato, alla gravità oggettiva della condotta ed alla negativa personalità dell’imputato, senza
ulteriori specificazioni di sorta.
1.2.2. Non solo, perché il dato costituito dalla quantità ingente di sostanza stupefacente di cui è stata tentata l’importazione è stato posto due volte a carico dell’imputato: la prima volta nella determinazione della pena base prossima al massimo edittale, avendo la Corte territoriale posto l’accento proprio «sugli ingenti quantitativi di narcotico», la seconda volta nell’applicazione dell’aumento nella misura massima per la circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309/90.
Rileva, in proposito, il Collegio che è vero che può dirsi consolidato l’orientamento secondo il quale il principio del cosiddetto “ne bis in idem” sostanziale, valido nell’ambito di operatività dell’art. 15 cod. pen., non può essere invocato per negare che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, possa utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare le scelt operate in ordine agli elementi la cui determinazione è affidata al suo prudente apprezzamento, purché il fattore stesso presenti un significato polivalente. In altri termini, nel determinare la pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili pe distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idem” (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378 – 01; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425 – 01). Si tratta, però, di casi in cui non viene in rilievo una circostanza definita, ma circostanze attenuanti indefinite e la commisurazione della pena base, per cui anche uno dei dati di cui al catalogo di cui all’art. 133 cod. pen., che costituisce il parametro rispetto al quale va esercitata, nei menzionati casi, la discrezionalità giudiziale, può essere valutato in termini coerenti a pena di contraddittorietà della motivazione – per giustificare la specifica commisurazione della pena base e il riconoscimento o diniego dell’attenuante indefinita. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tuttavia, è altrettanto vero che una siffatta operazione è preclusa al giudice di merito, con riferimento al diverso tema della doppia valutazione dello stesso elemento a fini di dosimetria della pena ai sensi dell’art. 133, cod. pen. e di applicazione della circostanza aggravante o attenuante definita. Invero, dal combinato disposto di cui agli artt. 63, comma primo e 68 cod. pen., si ricava il principio secondo il quale un fatto che integra una specifica circostanza tipizzata (attenuante o aggravante che sia) non può essere valutato una prima volta ai fini della quantificazione della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. e, poi, ai fi della sua attenuazione o aggravamento, atteso che l’aumento o la diminuzione della pena previsti da circostanze tipizzate presuppongono una base di calcolo
che esclude dai suoi elementi di valutazione quello stesso fatto che, appunto, integrando la circostanza aggraverebbe o attenuerebbe la pena (Sez. 3, n. 40765 del 30/04/2015, COGNOME, Rv. 264905 – 01; Sez. 5, n. 11554 del 10/02/2022, Marino, n.m.; Sez. 7, ord. n. 22408 del 14/04/2023, COGNOME n.m.; Sez. 1, n. 41908 del 15/06/2023, Montedoro, n.m.; Sez. 3, n. 24282 del 29/05/2024, Butera, n.m.). Dunque, deve escludersi che l’ingente quantitativo di stupefacente che il ricorrente ha tentato di importare possa essergli addebitato sia ai fini della quantificazione della pena base che del suo aggravamento, ai sensi dell’art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309/1990.
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato nei limiti che seguono.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato, atteso che la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che l’art. 16-sexies del D.L. n. 8 del 1991, conv. in I. n. 82 del 1991 (così come introdotta dalla I. n. 45 del 2001), nel prevedere in sede di esame del collaboratore di giustizia l’obbligo del giudice di acquisire, su richiesta di parte, il verbale illustrativo dei conten della collaborazione, non ricollega alcuna conseguenza, sul piano delle validità o dell’utilizzabilità delle dichiarazioni rese in giudizio, alla mancata o intempestiv acquisizione del verbale medesimo. Peraltro, l’esame in contraddittorio del soggetto garantisce adeguatamente i diritti difensivi, consentendo di vagliare l’attendibilità del narrato, in canoni di coerenza, costanza e precisione (Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, COGNOME, Rv. 283989 – 04; Sez. 3, n. 19536 del 05/02/2015, COGNOME, Rv. 263560 – 01; Sez. 2, n. 28397 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256460 – 01)
Inconferente, poi, risulta il richiamo della difesa a Sez. 5, n. 43979 del 12/04/2017, Aieta, Rv. 271630 – 01, atteso che trattasi di arresto che non riguarda il verbale illustrativo della collaborazione, quanto piuttosto il verbale d dichiarazioni rese al pubblico ministero su temi oggetto di esame, il cui deposito va effettuato dall’organo dell’accusa su istanza di parte, al fine di consentire l’esercizio dei diritti della difesa.
2.2. Coglie, invece, nel segno il secondo motivo, relativo alla carenza di motivazione in punto di dosimetria della pena.
Va premesso che la Corte territoriale aveva ben chiaro che il reato di cui al capo 3) fosse tentato, atteso che lo ha precisato con riferimento alla posizione dello Jerinò, laddove ha affermato che «la violazione più grave va individuata in quella delineata al capo 3), ove si è contestata la tentata importazione di ben 392,2 kg di cocaina» (pag. 48).
Ciò posto e ribadita, per un verso, la necessità di una motivazione puntuale, che specifichi i criteri seguiti nella determinazione della pena, quando essa sia
fissata in misura superiore alla media edittale, deve, per altro verso, precisarsi che, per dar conto del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, è sufficiente che il giudice indichi in modo specifico quali siano, tra i crit oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevant fini di tale giudizio (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258410 – 01; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825 01; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189 – 01), rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato facendo puntuale riferimento agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., individuati nella capacit dell’odierno ricorrente di intessere relazioni direttamente con i produttori di cocaina, nell’abilità nell’utilizzare le conoscenze maturate nel campo dell’attività commerciale svolta per reperire ditte e società all’interno dei cui container occultare lo stupefacente per poterlo trasportare e nella circostanza per cui non si è fatto scrupolo di mantenere i rapporti con il coimputato ierinò, anche mentre questi era latitante.
Tuttavia, trattasi di una valutazione che è ancorata al momento della commissione del reato e che non tiene conto di una serie di significativi fatti successivi, puntualmente evidenziati dalla difesa, in violazione dell’art. 133, comma secondo, n. 3, cod. pen, a mente del quale il giudice deve tener conto, ai fini del giudizio sulla capacità a delinquere del reo, anche della «condotta contemporanea o susseguente al reato». In particolare, la Corte territoriale non pare aver considerato che il reato ritenuto più grave, in relazione al quale ha individuato la pena base, risale al 22/08/2012 e che quello unificato dal vincolo della continuazione risulta commesso in data 17/04/2014, ma soprattutto che nelle more sono intervenuti due provvedimenti dell’Autorità giudiziaria che hanno valutato positivamente la condotta di vita nel frattempo assunta dallo COGNOME. Ed invero, in data 28/10/2022 la Corte di appello di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, revocava la misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti dell’imputato, ritenendo non più attuale la pericolosità sociale e successivamente, in data 25/11/2022, la Corte di appello di Reggio Calabria revocava la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, per essere venute meno le esigenze cautelari, avendo il ricorrente operato una rimeditazione della sua condotta di vita, anche in seguito al lungo periodo di detenzione sofferto, comprovata dal corretto comportamento serbato durante la sottoposizione alle misure cautelari non custodiali che si sono succedute nel tempo, prima quella dell’obbligo di dimora con divieto di uscita in orario serale e poi quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Trattasi di element significativi che evidentemente devono essere vagliati in punto di dosimetria
della pena.
La sentenza impugnata, dunque, va annullata anche con riferimento alla posizione di NOME COGNOME in relazione al trattamento sanzionatorio, con rinvio
al giudice del merito che dovrà effettuare una valutazione all’attualità degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
2.3. La decisività del secondo motivo rende assorbiti i restanti.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra
sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il giorno 14 marzo 2025.