Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19721 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19721 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/10/2023 della CORTE APPELLO di MILAN()
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’opposizione presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal medesimo ufficio in data 22 dicembre 2022 con la quale era stata rigettata l’istanza di dissequestro (rectius: revoca della confisca) della somma di euro 1.156.676,00, confiscata ex art. 187 D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e, in via subordinata, il dissequestro (rectius: revoca della confisca) della somma di euro 130.832,00, sottoposta a confisca in misura eccedente l’importo della confisca ex art. 187-terdecies lett. b) del citato decreto, ordinata con sentenza della Corte d’appello di Milano in data 24 settembre 2020, irrevocabile in data 7 gennaio 2021.
1.1. Il giudice dell’esecuzione ha premesso che, con la richiamata sentenza della Corte di appello di Milano, pronunciata a seguito di rinvio della cassazione (Sez. 5, n. 39999 del 2019), la pena detentiva e pecuniaria nonché la confisca disposte nei confronti di COGNOME, condannato per il reato ex art. 184, comma 1, lett. a) D. Lgs. n. 58 del 1998 (abuso di informazioni privilegiate), sono state ridotte; in particolare la confisca è stata ridotta alla somma di euro 168.060, a fronte della originaria somma di euro 1.324.736, in considerazione del trattamento sanzionatorio irrogato in sede amministrativa (euro 525.000) e della confisca amministrativa per l’ammontare di euro 1.193.914, già definitivamente applicato ex art. 187-terdecies D. Lgs. n. 58 del 1998 da parte della RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 18070 del 19 gennaio 2012 (definitiva a seguito della sentenza Sez. 3 civ. n. 26344 del 2017 che rigettava il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2278 del 2014).
1.2. Ad avviso del giudice dell’esecuzione, trattandosi di confisca emessa con provvedimento irrevocabile, non poteva essere richiesta la revoca in favore del condannato, anche in considerazione del fatto che la differenza fra la somma oggetto dell’originario sequestro preventivo e quella confiscata dalla RAGIONE_SOCIALE è pari ad euro 130.822, cioè inferiore a quella oggetto della confisca penale definitiva, pari ad euro 168.060.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, sviluppando due motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 187-terdecies TUF, poiché il giudice dell’esecuzione si è erroneamente trincerato dietro la definitività dei provvedimenti di confisca penale e amministrativa, senza
tenere conto che l’art. 187-terdecies TUF devetrovare applicazione, così come invocato dalla difesa, proprio perché si riferisce alla fase di esecuzione.
Il giudice dell’esecuzione si è limitato a constatare che entrambe le confische sono divenute irrevocabili – circostanza che non è contestata – invece di intervenire sul nodo della non duplicazione della confisca del profitto del reato, costituente un principio generale dell’ordinamento.
Questo tema, costituente il focus dell’incidente di esecuzione, è stato soltanto lambito nell’impugnata ordinanza, là dove si è osservato che è sempre stata ammessa la compatibilità convenzionale delle procedure parallele del doppio binario, ferma restando la necessità di verificare la proporzionalità della sanzione complessivamente inflitta rispetto al disvalore dei fati:i accertati.
Tuttavia, da tale considerazione generale si è tratta l’erronea conclusione della legittima coesistenza delle due confische, penale ed amministrativa, sullo stesso oggetto, derivante dalla definitività di entrambi i provvedimenti ablatori, confondendo il doppio binario – rilevante soltanto in sede processuale e cautelare così da legittimare la contemporanea pendenza del procedimento penale ed amministrativo – con il risultato finale di esso, che non consente, invece, una duplicazione della confisca del profitto, da ritenersi radicalmente preclusa alla stregua dei principi generali dell’ordinamento.
Questo era anche il nocciolo della sollecitata questione di legittimità costituzionale che, invece, il giudice dell’esecuzione ha sbrigativamente ritenuto manifestamente irrilevante.
A tenore dell’art. 187-terdecies, lett. b) D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, quando per lo stesso fatto è stata applicata una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 187-septies TUF ovvero una sanzione penale o una sanzione amministrativa dipendente da reato, l’esazione della somma dovuta per tali titoli è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente dall’autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria.
La ratio di tale norma risiede nella necessità di impedire che le sanzioni pecuniarie, definitivamente irrogate in sede amministrativa e penale, siano eseguite cumulativamente, ponendo il criterio che l’autorità che procede per seconda possa soddisfarsi soltanto sulla parte eccedente rispetto a quella già riscossa: da ciò si ricava il divieto di cumulo delle misure afflittive di natur patrimoniale, comunque denominate.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, con riferimento agli artt. 187 e 187-sexies TUF, con specifico riguardo al profilo della irrevocabilità dei provvedimenti ablatori quali presupposti applicativi della citata disposizione.
Il ricorrente sostiene che l’art. 187-terdecies TUF ha applicabilità generale, estesa anche alle confische dirette o per equivalente, stante la natura sanzionatoria delle stesse, e non riguardi soltanto le pene pecuniarie in senso stretto.
Tale necessaria estensione non può essere elusa dall’intervenuta irrevocabilità di entrambi i titoli ablativi, come pretende l’impugnata ordinanza, alla stregua del testo dell’art. 187-terdecies TUF, il quale nella lett. a) si riferisce alla irrogazione della pena, mentre nella lett. b) si riferisce alla concret escussione della medesima, laddove prevede che la “esazione della pena pecuniaria, della sanzione pecuniaria dipendente da reato ovvero della sanzione amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall’autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria”.
Anzi, il principio de quo trova applicazione privilegiata proprio in ambito esecutivo, là dove esprime la funzione di scongiurare l’escussione cumulativa delle sanzioni pecuniarie comunque denominate, applicate in sede penale ed amministrativa.
Da tale considerazione deriva che la definitività delle statuizioni sanzionatorie è il presupposto necessario per l’applicazione della norma in esame e non ne può invece costituire un limite.
La soluzione indicata nell’impugnato provvedimento comporta un effetto surrettiziamente abrogativo dell’art. 187-terdecies, lett. b), TUF, che prevede l’applicabilità del meccanismo compensativo in fase esecutiva.
Si ribadisce, in subordine, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della normativa indicata, nella parte in cui non prevede che il meccanismo compensativo ivi previsto si applichi anche nel caso in cui per lo stesso fatto a carico del reo sono state disposte sia la confisca penale quanto la confisca amministrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché pretende di introdurre in sede di incidente di esecuzione una questione che è stata trattata nel giudizio di merito e specificamente risolta nel senso opposto a quello invocato dal ricorrente ( che non ha impugnato la decisione.
Come correttamente ricorda il giudice dell’esecuzione, la questione della revoca o riduzione della confisca penale (e del trattamento sanzionatorio penale) aveva formato oggetto della sentenza della Corte di appello di Milano in data 14 settembre 2020, pronunciata a seguito di rinvio della cassazione (Sez. 5, n. 39999 del 2019).
Con detta decisione, divenuta irrevocabile per mancata impugnazione, il giudice di rinvio, facendo puntuale applicazione del principio di diritto stabilit dalla sentenza rescindente e compiendo le proprie motivate valutazioni di merito, ha ridotto la pena detentiva e quella pecuniaria nonché la confisca penale disposta nei confronti di COGNOME; in particolare la confisca è stata ridotta alla somma di euro 168.060, a fronte della originaria somma di euro 1.324.736, in considerazione della confisca amministrativa per l’ammontare di euro 1.193.914, già definitivamente applicato ex art. 187-terdecies D. Lgs. n. 58 del 1998 da parte della RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 18070 del 19 gennaio 2012 (definitiva a seguito della sentenza Sez. 3 civ. n. 26344 del 2017 che rigettava il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2278 del 2014).
Dunque, il provvedimento impugnato non ha violato i canoni normativi invocati dal ricorrente perché la ridetermiiiazione della c:onfisca penale è avvenuta già nella fase della cognizione, sicché non vi è motivo di provvedervi in sede di esecuzione: il giudice della cognizione aveva già tenuto conto del principio di non duplicazione delle sanzioni e della confisca, riducendo entrambe in considerazione dell’esito definitivo del procedimento amministrativo sanzionatorio.
3.1. Del resto, pure la questione della duplicità della sanzione è stata risolta nella sede di merito, senza che l’imputato abbia promosso alcuna impugnazione.
La formazione del giudicato sul punto, preclude, dunque, qualunque intervento del giudice dell’esecuzione.
Va incidentalmente notato che è irrilevante la questione di legittimità costituzionale che l’art. 187-terdecies TUE.
4.1. La disposizione in esame, sotto la rubrica «Applicazione ed esecuzione delle sanzioni penali ed amministrative», stabilisce che: «1. Quando per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del reo, dell’autore della violazione o dell’ent una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’articolo 187-septies ovvero una sanzione penale o una sanzione amministrativa dipendente da reato: a) l’autorità giudiziaria o la RAGIONE_SOCIALE tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate; b) l’esazione della pena pecuniaria, della sanzione pecuniaria dipendente da reato ovvero della sanzione pecuniaria amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall’autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria».
La norma è inserita nel Titolo I, Capo V del TUE, intitolato “Rapporti tra procedimenti».
In ragione del principio dell’autonomia tra procedimento amministrativo sanzionatorio, di competenza della RAGIONE_SOCIALE, e procedimento penale, di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria, sono state dettate le disposizioni riportate nel Capo V.
Tra esse rientra l’art. 187-terdecies TUF che riguarda la fase dell’applicazione delle sanzioni dopo che sono divenute definitive.
La disposizione, pienamente aderente ai principi costituzionali, del diritto convenzionale umanitario e del diritto euro unitario (Corte costituzionale, sentenza n. 68 del 2017 e sentenza n. 223 del 2018), fa applicazione, nella fase esecutiva, del divieto di duplicazione delle sanzioni che impernia tutta la materia del TUF.
4.2. Tuttavia, il principio di non duplicazione ha già avuto piena applicazione, come il ricorso non contesta, nel corso del giudizio di merito penale nel quale, dandosi atto della definitività dei provvedimenti amministral:ivi sanzionatori e ablativi, sono state conseguentemente ridotte e riproporzionate la sanzione penale e la confisca.
Non viene, dunque, in rilievo nel caso in esame l’applicazione della richiamata disposizione dell’art. 187-terdecies TUF in quanto ne è già stato
applicato il principio nel corso del giudizio di cognizione, sicché non vi è motivo di farne ulteriore applicazione in sede esecutiva.
Da ciò l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale adombrata dal ricorrente.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 marzo 2024.