Doppia Valorizzazione Pena: La Cassazione Conferma la Legittimità
Nel processo penale, la determinazione della pena è una fase cruciale in cui il giudice pondera diversi fattori. Un principio spesso discusso è quello della doppia valorizzazione pena, ovvero se uno stesso elemento, come i precedenti penali di un imputato, possa essere utilizzato più volte a suo sfavore. Con l’ordinanza n. 47195/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato, chiarendo i confini di questa pratica.
I Fatti del Caso in Esame
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato, condannato dalla Corte di Appello di Roma per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e false attestazioni. La Corte territoriale, pur riducendo l’entità della pena, aveva confermato la sua colpevolezza. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sollevando un unico motivo di doglianza: la presunta violazione del divieto di doppia valutazione. A suo dire, i suoi precedenti penali e il suo comportamento erano stati considerati negativamente due volte: prima per negargli la concessione delle circostanze attenuanti generiche e, successivamente, per stabilire la misura della pena.
Il Principio della Doppia Valorizzazione della Pena
Il cuore della questione giuridica risiede nel capire se la doppia valorizzazione pena sia legittima. L’imputato sosteneva che utilizzare lo stesso fattore per due decisioni distinte ma convergenti (negare un beneficio e quantificare la sanzione) costituisse un’illegittima duplicazione di giudizio a suo danno. Questo argomento, se accolto, avrebbe potuto portare a un ricalcolo della pena in senso più favorevole.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, allineandosi alla sua giurisprudenza costante. I giudici hanno spiegato che non vi è alcuna illegittimità nel valutare lo stesso elemento per finalità diverse. La valutazione per la concessione delle attenuanti generiche e quella per la determinazione della pena base sono due momenti distinti del giudizio, che rispondono a logiche differenti.
In primo luogo, il giudice valuta se concedere le attenuanti generiche, un beneficio che mitiga la sanzione. In questa fase, elementi come i precedenti penali o la personalità dell’imputato sono fondamentali per decidere se il soggetto meriti o meno tale trattamento di favore.
In secondo luogo, e in modo autonomo, il giudice deve quantificare la pena all’interno della cornice edittale prevista dalla legge. Per farlo, deve considerare la gravità del fatto e la capacità a delinquere del reo. In questo contesto, gli stessi precedenti penali possono essere legittimamente riconsiderati come indice della personalità dell’imputato e della sua pericolosità sociale.
La Corte ha sottolineato che si tratta di due giudizi con finalità diverse: il primo è un giudizio sulla “meritevolezza” di un beneficio; il secondo è un giudizio sulla “adeguatezza” della sanzione. Pertanto, la doppia valorizzazione pena non viola alcun principio di legge, ma rientra nel corretto esercizio del potere discrezionale del giudice.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un principio di notevole importanza pratica. Essa conferma che la biografia criminale di un imputato può avere un duplice impatto negativo nel processo di commisurazione della pena. Da un lato, può precludere l’accesso a benefici come le attenuanti generiche; dall’altro, può giustificare l’applicazione di una pena più severa, vicina al massimo edittale.
Per gli avvocati e gli imputati, ciò significa che la difesa deve essere costruita tenendo conto di questa possibilità, cercando di valorizzare eventuali elementi positivi della personalità del reo che possano controbilanciare il peso dei precedenti. Per i giudici, questa pronuncia riafferma l’ampiezza del loro potere discrezionale, purché motivato in modo logico e coerente con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.
È possibile utilizzare gli stessi elementi, come i precedenti penali, sia per negare le attenuanti generiche sia per determinare l’entità della pena?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che è legittimo. Il giudice può valutare lo stesso elemento per due finalità distinte: la prima per decidere sulla concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche, la seconda per quantificare la pena finale all’interno della cornice edittale.
Perché non si tratta di una valutazione illegittima?
Non è illegittima perché le due valutazioni perseguono scopi diversi. Una riguarda la configurabilità delle attenuanti (un giudizio sulla meritevolezza di un beneficio), l’altra riguarda la commisurazione della pena (un giudizio sull’adeguatezza della sanzione), che considera la gravità del fatto e la personalità dell’imputato.
Qual è stata la decisione finale della Corte in questo caso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47195 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47195 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (CUI:051PTU3) nato il 15/10/1999
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ne ha confermato la condanna per i delitti di cui agli artt. 337 e 495 cod. pen. (capi A e B), riducendo però l’entità della pena inflitta;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta la doppia valorizzazione dei precedenti penali e del comportamento dell’imputato sia per determinare l’entità della pena sia per negare le circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato in quanto, come già ricordato dalla Corte di appello, è ormai consolidato l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini della determinazione della pena, il giudice può valutare la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, già prese in considerazione ai fini della valutazione sulla configurabilità o meno delle circostanze attenuanti generiche, in quanto legittimamente lo stesso elemento può essere rivalutato in vista di una diversa finalità (cfr. Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, COGNOME Rv. 258011 – 01; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378 – 01; Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 – 03);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/11/2024