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Doppia punibilità: riciclaggio e reato presupposto

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del PM contro un’assoluzione per riciclaggio e impiego di beni illeciti. La decisione si fonda sulla mancanza del reato presupposto, in quanto la vendita di petrolio da parte di un governo regionale estero era lecita al momento dei fatti. Viene sottolineata l’importanza del principio di doppia punibilità e i limiti processuali al ricorso contro sentenze di proscioglimento, anche alla luce della Riforma Cartabia.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Doppia punibilità: riciclaggio e reato presupposto secondo la Cassazione

In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato un complesso caso di riciclaggio internazionale, riaffermando principi fondamentali in materia di reato presupposto e doppia punibilità. La decisione chiarisce anche i limiti del ricorso per cassazione da parte della Procura avverso una sentenza di proscioglimento, alla luce delle recenti modifiche normative. Il caso riguardava l’acquisto di ingenti quantità di petrolio da un governo regionale estero, operazione che secondo l’accusa configurava i reati di riciclaggio e impiego di beni di provenienza illecita.

I Fatti di Causa

Tra il 2015 e il 2016, alcuni operatori del settore petrolifero acquistavano greggio proveniente da una regione autonoma dell’Iraq. L’accusa sosteneva che tale petrolio fosse di provenienza delittuosa, in quanto sottratto al controllo dello Stato centrale iracheno, unico ente titolato, secondo la tesi accusatoria, alla commercializzazione delle risorse nazionali. Di conseguenza, gli acquirenti erano stati accusati di aver riciclato (art. 648-bis c.p.) o impiegato (art. 648-ter c.p.) beni derivanti da un’appropriazione indebita o un furto commesso all’estero.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Giudice dell’udienza preliminare che la Corte di Appello hanno prosciolto gli imputati con la formula “il fatto non sussiste”. La motivazione centrale di entrambe le decisioni risiedeva nell’assenza del cosiddetto “reato presupposto”. I giudici hanno stabilito che la commercializzazione del petrolio da parte del governo regionale autonomo, all’epoca dei fatti, era consentita da una legge regionale in vigore (legge n. 22 del 2007) e si inseriva in una complessa disputa di natura politica e costituzionale con il governo centrale. Pertanto, l’operazione non poteva essere qualificata come furto o appropriazione indebita secondo la legge locale. Una successiva sentenza della Corte federale irachena, che nel 2022 ha dichiarato incostituzionale tale legge, è stata ritenuta irrilevante poiché successiva ai fatti contestati e priva di conseguenze penali retroattive.

Il Ricorso e il principio di doppia punibilità

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la violazione della legge penale. Sosteneva che i giudici di merito avessero errato nell’interpretare il diritto iracheno e che la condotta degli imputati, i quali avrebbero agito con la consapevolezza dell’illegittimità dell’operazione, integrasse i reati contestati. Tuttavia, il ricorso si scontrava con il principio fondamentale della doppia punibilità: affinché un bene proveniente dall’estero possa essere considerato di origine illecita ai fini del riciclaggio in Italia, l’atto che lo ha generato deve costituire reato non solo per la legge italiana, ma anche per quella del Paese in cui è stato commesso.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Procuratore Generale inammissibile per una serie di motivi, sia procedurali che di merito.

In primo luogo, il ricorso è stato giudicato aspecifico e contrario ai limiti imposti dalla legge. L’art. 428, comma 3-bis, c.p.p. stabilisce che il PM può ricorrere in Cassazione contro una sentenza di non luogo a procedere d’appello solo per specifici motivi di legittimità (violazione di legge), ma non per contestare la logicità o la completezza della motivazione, come invece tentato dal ricorrente.

In secondo luogo, la Corte ha rilevato come i giudici di merito avessero correttamente escluso la sussistenza del reato presupposto. La condotta era stata posta in essere in esecuzione di una legge regionale all’epoca vigente. La complessa vicenda politica tra governo centrale e regione autonoma non poteva essere ridotta a una semplice fattispecie di furto o appropriazione indebita, mancando gli elementi giuridici essenziali di tali reati.

Infine, la Cassazione ha valorizzato la modifica normativa introdotta dalla Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), che ha cambiato il criterio per la decisione di non luogo a procedere. Oggi, il giudice deve emettere tale sentenza non solo quando le prove sono insufficienti, ma anche quando “non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. La Corte d’Appello aveva correttamente applicato questo nuovo standard, ritenendo che non vi fosse alcuna seria possibilità che un eventuale processo potesse concludersi con una sentenza di condanna.

Le Conclusioni

La sentenza consolida tre importanti principi. Primo: non c’è riciclaggio senza un reato presupposto chiaramente identificabile come tale anche nell’ordinamento straniero in cui è stato commesso (principio di doppia punibilità). Secondo: i limiti all’impugnazione delle sentenze di proscioglimento da parte del PM sono rigidi e non possono essere aggirati con critiche generiche alla valutazione dei fatti. Terzo: la regola della “ragionevole previsione di condanna” è diventata il cardine del giudizio prognostico che evita la celebrazione di processi inutili, la cui sorte appare segnata fin dall’inizio.

Perché gli imputati sono stati prosciolti dall’accusa di riciclaggio e impiego di beni di provenienza illecita?
Sono stati prosciolti perché mancava il reato presupposto. La vendita di petrolio da parte del governo regionale estero, da cui provenivano i beni, era considerata lecita secondo la legge locale in vigore al momento dei fatti. Di conseguenza, il petrolio non poteva essere qualificato come di “provenienza delittuosa”.

Per quale motivo la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché violava i limiti processuali. Il PM ha criticato la valutazione dei fatti e la logicità della motivazione, mentre la legge consente di ricorrere contro un proscioglimento in appello solo per violazioni di legge. Inoltre, il ricorso è stato ritenuto generico e ripetitivo degli argomenti già presentati.

Quale impatto ha avuto la Riforma Cartabia su questa decisione?
La Riforma Cartabia ha introdotto il criterio della “ragionevole previsione di condanna” per decidere se procedere a giudizio. La Corte di Appello ha applicato questa nuova norma, concludendo che non c’era alcuna seria possibilità di ottenere una condanna in un eventuale dibattimento. La Cassazione ha confermato la correttezza di questa valutazione, rafforzando la decisione di non procedere e, di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso del PM.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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