Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43440 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43440 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA
avverso il provvedimento del 13/06/2024 del Tribunale di Catanzaro letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento sopra indicato, il Tribunale di Catanzaro, adito in funzione di Giudice del riesame ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 17 aprile 2024, con cui era stata applicata nei confronti di NOME COGNOME la misura della custodia cautelare per i delitti di tentata estorsione
aggravata dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. sub capi n 2), 408), 412) e 414) della contestazione provvisoria.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso NOME COGNOME, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo:
violazione di legge, in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e all’art. 416-bis cod. pen., e vizio di motivazione per omissione, contraddittorietà e illogicità manifesta per avere il Tribunale della libertà desunto la gravità del quadro indiziario dalle “interpretazioni e supposizioni soggettive della P.g.”, acriticamente richiamate nel provvedimento de libertate, e nonostante l’assenza di elementi da cui inferire la consapevolezza in capo al ricorrente della asserita appartenenza di NOME COGNOME alla consorteria di stampo mafioso;
violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., e vizio d motivazione per omissione, contraddittorietà e illogicità manifesta, per avere il Tribunale del riesame ritenuto sussistente, attuale e concreto il pericolo di recidivanza, senza congruamente valutare lo stato di incensuratezza del ricorrente, il “mutato stile di vita” del COGNOME e il dato temporale, essendo stata l’ordinanza genetica emessa nell’anno 2024 in relazione a presunte condotte criminose risalenti al 2021.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non supera il preliminare vaglio di inammissibilità per genericità e per manifesta infondatezza dei suoi motivi.
Il ricorrente – nel contestare il decisum dei Giudici di merito quanto alla “gravità indiziaria” – ha reiterato la deduzione di questioni in fatto e in diritto congruamente scrutinate ed ha omesso di “dialogare” con l’articolato e assai dettagliato corpo motivazionale posto a fondamento del gravato provvedimento.
Il Tribunale del riesame – inquadrata la vicenda sub iudice in un contesto delinquenziale particolarmente allarmante per l’operatività nel territorio cosentino di una confederazione di ‘ndrangheta, cui era strutturalmente collegata anche una vasta associazione dedita al narcotraffico che contribuiva con i proventi dell’attività di spaccio a implementare la c.d. “bacinella comune” – passava meticolosamente
in rassegna ciascuno degli episodi singulatim ascritti in via provvisoria al COGNOME, delineandone, in modo puntuale e in perfetta aderenza al corposo dato probatorio, il ruolo dallo stesso di volta in volta svolto (cfr. ordinanza pagg. 3 e ss).
Al cospetto di una trama motivazionale in alcun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, il ricorrente ha fondato sic et simpliciter le proprie ragioni di doglianza sull'”acritico richiamo da parte dei giudici di merito a supposizioni investigative”, senza tuttavia null’altro evidenziare e soprattutto senza indicare quali sarebbero state le supposizioni indebitamente utilizzate e in che modo esse avrebbero potuto destrutturare l’iter logicoargomentativo sotteso al provvedimento che in questa sede si contesta.
2.1. In relazione poi alla circostanza aggravante del metodo mafioso la motivazione, per quanto succinta, è congrua e adeguata: i Giudici di merito (pagg. 13 e ss.) evidenziavano come le modalità concrete delle condotte (di fatto consistite nel lancio di bottiglie contenenti liquido infiammabile e/o nell’incendio di automezzi al fine di convincere le vittime più riottose a pagare somme non dovute) e il contesto ambientale (territorio in cui è notoriamente radicata la presenza di organizzazioni di stampo mafioso) evocassero nella vittima di turno la forza intimidatrice del metodo mafioso e la operatività di una consorteria mafiosa.
L’affermazione si pone in perfetta linea di continuità con il costante orientamento di questa Corte (cfr., ex multis, Sez. 1 n. 38770 del 22/06/2022, Iaconis, Rv. 283637), secondo cui la circostanza aggravante in esame ha la funzione di reprimere il «metodo delinquenziale mafioso» di talché essa è connessa alle modalità della condotta, che devono evocare la forza intinnidatrice tipica dell’agire mafioso. E’ configurabile, quindi, l’aggravante laddove la condotta delittuosa sia stata, come nel caso di specie, oggettivamente funzionale a creare nella vittima la peculiare condizione di assoggettamento derivante dal prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici, provenienti non da un singolo ma dall’intero gruppo mafioso.
2.3. Parimenti aspecifica e reiterativa di questioni già congruamente esaminate (cfr. pag. 14 del provvedimento) è l’ulteriore doglianza relativa alla sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Il Tribunale della libertà chiariva come le condotte estorsive in contestazione si inserissero in un determinato scenario criminale e come i collaudati e stabili rapporti “delinquenziali” del ricorrente con NOME COGNOME, esponente di rilievounitamente ad NOME COGNOME– della confederazione ‘ndranghetista facente capo, tra gli altri, a NOME COGNOME rendessero poco verosimile la lettura offerta dal difensore circa la non consapevolezza del COGNOME di agire in ambienti criminali di un certo spessore e rilievo nonché di favorire l’organizzazione del COGNOME.
Ad ogni buon conto, seppure tale aggravante fosse stata erroneamente riconosciuta, la doglianza in parte qua non sarebbe sorretta da interesse concreto ed attuale ad impugnare ex art. 568 cod. proc. pen., dal momento che il titolo di reato e l’aggravante del metodo mafioso consentirebbero – comunque ed in ogni caso – l’applicazione della misura custodiale e lascerebbero immutata la regola della “doppia presunzione” ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in tema di esigenze cautelari: l’interesse ad impugnare deve essere inteso come pretesa all’eliminazione della lesione attuale di un diritto o di altra situazione soggettiv tutelata dalla legge, non già quale pretesa all’affermazione di un astratto principio giuridico o all’esattezza teorica della decisione.
Inammissibile per manifesta infondatezza il motivo relativo alla mancanza delle esigenze cautelari.
3.1 La motivazione è esente da deficit logici e lacune, laddove i Giudici di merito (cfr. pag. 16 del provvedimento) desumevano il pericolo di recidivanza dal nutrito ed allarmante curriculum vitae del COGNOME – che oltre ad avere riportato condanne per delitti contro il patrimonio presenta plurimi carichi pendenti per delitti dell stessa indole -, dalle concrete modalità della condotta – che evocano spregiudicatezza e disinvoltura nel delinquere -, nonché dalla contiguità del COGNOME con più ampi contesti criminali per gli stretti rapporti allacciati con soggetti elevato spessore delinquenziale, come COGNOME e COGNOME, vicini al COGNOME, uno dei vertici della consorteria ‘ndranghetista operativa sul territorio cosentino.
Al cospetto di tale impianto motivazionale, tutt’altro che illogico e carente, il difensore non ha allegato significativi e convincenti elementi di segno contrario tali da vincere la doppia presunzione relativa di legge ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., tale non essendo ex se ed eo ipso il fattore tempo, che rappresenta a tal fine un dato neutro se non accompagnato da altri elementi.
Alla inammissibilità del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma a favore della cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte cost., sent. n 186 del 2000).
Alla Cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 30 ottobre 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il
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