Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1773 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1773 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOMECOGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 08/06/1987 avverso l’ordinanza emessa in data 19/07/2024 dal Tribunale di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19/07/2024, il Tribunale di Messina, adito con richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. da COGNOME NOMECOGNOME ha confermato l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere disposta nei suoi conftonti dal G.i.p. del Tribunale di Messina, in data 14/06/2024, in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, a lui rispettivamente ascritti
ai capi da 14) a 48) e poi 51), 114), 115), 117), 119), 120), nonché – quanto al reato associativo – al capo 124) della rubrica.
Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento, in relazione all’attuale sussistenza di esigenze specialpreventive, alla proporzionalità ed adeguatezza della misura applicata, nonché all’operatività attuale della doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Si censura, in particolare, la ritenuta partecipazione del COGNOME al sodalizio di cui al capo 124) anche in epoca successiva alla primavera 2021, e la ritenuta insussistenza di elementi idonei a far ritenere le esigenze cautelari ormai cessate (o comunque fronteggiabili con misure meno afflittive di quella carceraria).
2.1. Quanto al primo aspetto, la difesa lamenta il mancato apprezzamento delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME (che aveva individuato nell’aprile 2021 il termine della collaborazione del COGNOME nell’attività di spaccio per conto del marito) e dello stesso GENOVESE (che aveva parlato della propria attività illecita, svolta coordinando i complici telefonicamente stando carcere, svolta coinvolgere l’odierno ricorrente).
Si censura inoltre il rilievo del Tribunale secondo cui sia il risentimento espresso nelle intercettazioni dal DE COGNOME nei confronti del GENOVESE, per l’arresto subito nell’aprile 2021, sia il suo rifiuto di collaborare ancora durante la detenzione dell’altro (intendendo egli proseguire l’attività di narcotraffico in proprio fino al luglio 2021), non sarebbero indicativi della cessazione della sua appartenenza al sodalizio, e si sottolinea che le personali mire espansionistiche del COGNOME, cui si era riferito il Tribunale, fossero state riscontrate dalle risultanze in atti.
La difesa evidenzia che, in tale contesto – ulteriormente connotato dalla collaborazione del ricorrente nel giugno 2021 con gli organi di polizia, nel far ritrovare il nascondiglio e lo stupefacente riferibile al sodalizio – anche il recupero dello stupefacente di cui al capo 35) non poteva ritenersi indicativo della persistenza del legame associativo, con conseguente impossibilità di ritenere sussistente la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., correlata all’imputazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
2.2. Quanto al secondo aspetto, la difesa lamenta in primo luogo la mancata considerazione di quanto dedotto, in sede di riesame, a proposito del procedimento scaturito dall’arresto del luglio 2021 (concessione degli arresti domiciliari dopo alcuni mesi di detenzione in carcere; autorizzazioni lavorative sempre rispettate; rigetto della misura di prevenzione proposta; concessione dell’affidamento in prova per la pena residua): elementi totalmente ignorati dal Tribunale, nonostante il loro rilievo quanto alla possibilità di superare la doppia presunzione.
La difesa censura inoltre la valorizzazione sia di quanto avvenuto in sede di esecuzione dell’attuale misura, ovvero la spontanea consegna da parte del COGNOME (e non il rinvenimento all’esito di perquisizione, come erroneamente indicato dal Tribunale) della somma di Euro 4.800.000, sia del colloquio intercettato al riguardo tra la madre e la moglie del ricorrente.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, ritenendo adeguata la motivazione del Tribunale sotto ogni profilo oggetto di impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Come già ricordato nell’esposizione che precede, la difesa del COGNOME non ha inteso contestare la sussistenza della gravità indiziaria sia quanto al suo coinvolgimento nel sodalizio di cui al capo 124), sia quanto ai numerosissimi reatifine a lui ascritti (che ben delineano la sua figura di stretto collaboratore, sin dalla prima ora, del capo dell’associazione GENOVESE NOME).
L’ordinanza che in sede di riesame ha confermato la misura custodiale in carcere, in relazione ai predetti reati, è stata invece contestata sotto il profilo della ritenuta sussistenza di esigenze cautelari fronteggiabili con la sola predetta misura.
In particolare, l’odierno ricorso deduce vizi motivazionali in ordine alle specifiche deduzioni svolte, dinanzi al Tribunale, per sostenere il superamento della doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., correlata alla contestazione del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. A tale specifico proposito, si è in questa sede posto l’accento, da un lato, sull’epoca di cessazione del vincolo associativo, anche e soprattutto in relazione alle concrete modalità di tale distacco; dall’altro, sull’insussistenza di pendenze a carico del COGNOME successive all’ultimo arresto del luglio 2021, e sulle positive indicazioni desumibili dalla sua condotta in regime domiciliare, alle conseguenti decisioni assunte circa le modalità di esecuzione della relativa pena, nonché al rigetto della richiesta di misura di prevenzione personale formulata nei confronti dell’odierno ricorrente.
Ritiene il Collegio che il percorso argomentativo sviluppato dal Tribunale – pur connotato da accuratezza ricostruttiva – non resista alle doglianze prospettate in ricorso.
2.1. Per ciò che riguarda il primo aspetto, la difesa ha anzitutto valorizzato le dichiarazioni del GENOVESE e della moglie NOME, divenuti collaboratori di giustizia ritenuti pienamente attendibili dallo stesso Tribunale, oltre che in sede applicativa della misura. Si è in particolare evidenziato, anzitutto, che
la COGNOME aveva riferito che il COGNOME aveva spacciato stupefacente per conto del marito “a partire almeno dal 2019 e sino a poco prima dell’arresto di mio marito dell’aprile del 2021” (cfr. le dichiarazioni della donna riportate a pag. 16 dell’ordinanza impugnata, nota 5), mentre il GENOVESE – come già in precedena accennato – aveva fatto riferimento al COGNOME in relazione all’attività illecita svolta prima del proprio arresto del maggio 2021, non anche in relazione al successivo narcotraffico diretto telefonicamente dal carcere, avvalendosi dell’apparecchio procurato dalla moglie (cfr. pag. 14 dell’ordinanza).
In secondo luogo, la difesa ricorrente ha posto in evidenza le conversazioni intercettate dopo l’arresto del GENOVESE, comprovanti per un verso il suo tentativo – tramite il fratello NOME – di convincere il COGNOME nella prosecuzione del narcotraffico, ricevendo da questi un netto rifiuto (cfr. pagg. 1920 dell’ordinanza). Per altro verso, nella conversazione con tale COGNOME NOME, il COGNOME – nel riferirgli di aver rifiutato la proposta appena ricevuta da GENOVESE NOME per conto del fratello NOME – aveva indirettamente accusato quest’ultimo di essere stato responsabile del proprio arresto avvenuto nel precedente mese di aprile (cfr. pag. 20, cit.).
In terzo luogo, la difesa ha sottolineato l’intrinseca rilevanza di quanto avvenuto in data 09/06/2021, quando il COGNOME riferì alle Forze dell’ordine che il COGNOME (altro soggetto in posizione di vertice nella seconda fase del sodalizio: cfr. pag. 13 seg.) era il grossista dello stupefacente del tipo spice per conto del GENOVESE, e condusse gli operanti nell’abitazione di quest’ultimo e nella cantina presa in affitto, luoghi indicati come funzionali alla custodia dello stupefacente (pag. 23).
2.2. Al riguardo, il Tribunale: ha ritenuto irrilevante il decorso del tempo nel valutare la persistenza della doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in mancanza di elementi “sintomatici di una rescissione dei legami criminali accertati” (pag. 23); ha precisato – quanto alle conversazioni – che “la reazione del COGNOME di volersi fermare e di volere continuare da solo, acclarano, ben oltre il livello di qualificata probabilità richiesta in questa sede, l sua piena compenetrazione nelle dinamiche associative facenti capo al GENOVESE NOME (cfr. pag. 21); ha infine escluso che alla collaborazione con la Polizia del NOME COGNOME potesse attribuirsi una valenza sintomatica del suo distacco “dalle logiche criminali”, dovendo piuttosto ricondursi tale iniziativa al risentimento nei confronti del GENOVESE per l’arresto di aprile, ed al suo intento di coltivare approfittando della carcerazione di quest’ultimo – proprie “mire espansionistiche nel settore nel narcotraffico volte a progressivamente mettere all’angolo proprio il GENOVESE” (pag. 23-24).
2.3. Ritiene il Collegio che l’individuazione nella primavera 2021 (circa tre anni prima dell’esecuzione della misura) del termine ultimo di appartenenza del COGNOME al sodalizio potrebbe legittimamente ritenersi in sé non decisiva, quanto al venir meno della presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere; allo stesso modo, le conversazioni indicative dell’intenzione del COGNOME di non voler essere ulteriormente coinvolto nel narcotraffico, che il GENOVESE continuava a dirigere pur se in stato detentivo, potrebbero forse essere ritenute – altrettanto legittimamente – indicative solo di un momento di grave fibrillazione del sodalizio, correlate al risentimento del COGNOME per l’arresto da poco subito.
Quel che invece appare manifestamente illogica è la minimizzazione della condotta collaborativa con gli inquirenti tenuta dal COGNOME.
Appare invero superfluo sottolineare il dirompente rilievo demolitorio di ogni possibile vincolo associativo che – secondo Vid quod plerumque accidit deve essere attribuito a tale iniziativa del ricorrente, che non solo ebbe ad indicare nominativamente agli investigatori il COGNOME (altro soggetto in posizione apicale nel sodalizio) come uno stabile fornitore del GENOVESE, ma ritenne altresì di condurre gli operanti presso i luoghi utilizzati per la custodia dello stupefacente.
Si tratta di una condotta che non può essere in alcun modo derubricata nei termini indicati dal Tribunale, non solo perché, con il proprio atteggiamento collaborativo, il COGNOME ha clamorosamente preso di mira non tanto il GENOVESE (ritenuto il resposabile del proprio arresto), quanto un altro soggetto di centrale rilievo nella diffusione dello spice come il NASTASI, ma anche – ed anzi soprattutto – perché il ricorrente, decidendo di svelare aspetti di così centrale rilievo nel narcotraffico esercitato dall’associazione, aveva indiscutibilmente perso ogni “affidabilità” presso tutti i partecipi al sodalizio (oltre che, più in general presso gli ambienti dediti all’attività illecita nel settore degli stupefacenti).
Risulta pertanto del tutto illogico, oltre che apodittico, il riferimento de Tribunale a non meglio precisate “mire espansionistiche” che il COGNOME avrebbe perseguito con il proprio comportamento, approfittando della carcerazione del GENOVESE: il Tribunale avrebbe dovuto adeguatamente argomentare tali conclusioni, tenuto anche conto delle conseguenze derivanti dal collaborare con la Polizia “inguaiando” proprio la persona che aveva a suo tempo convinto il GENOVESE nel convertire allo spice l’attività di spaccio.
Quanto poi al secondo aspetto, la difesa ricorrente ha preso le mosse dall’insussistenza di ulteriori pendenze a carico del COGNOME per fatti successivi all’ultimo arresto del 08/07/2021, per il quale egli era stato separatamente giudicato, e ha esposto le vicende di tale processo, connotate dalla sostituzione dopo alcuni mesi della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari, dal puntuale rispetto di tale misura anche quanto alle autorizzazioni
accordate per lo svolgimento di attività lavorativa, e dalla concessione dell’affidamento in prova per l’esecuzione della pena residua: risultanze favorevoli al ricorrente che, per così dire, erano “culminate” nel rigetto, da parte del Tribunale di Messina, della misura di prevenzione formulata nei suoi confronti (cfr. pag. 15 seg. del ricorso, ed i documenti allegati).
Tale prospettazione difensiva, corredata anche in sede di riesame da puntuale documentazione, è stata del tutto, ignorata dal Tribunale, che ha ritenuto dirimente il rinvenimento della somma contante di Euro 4.800 in sede di esecuzione della misura confermata dal provvedimento impugnato, ed i commenti della moglie e della suocera risultanti dalle conversazioni intercettate (cfr. pag. 24 seg.).
Ritiene il Collegio che – anche a prescindere dal rilievo difensivo per cui si trattava di una somma spontaneamente consegnata, e non rinvenuta dagli operanti – tale percorso argomentativo sia del tutto inidoneo a privare di intrinseca rilevanza gli elementi offerti dalla difesa ai fini specifici che qui interessano, sia per le ricadute in punto di concreta adeguatezza della misura domiciliare in quella sede applicata, sia anche per la necessità di una valutazione congiunta del positivo andamento di quella vicende processuale con le ulteriori risultanze precedentemente esaminate, specie in relazione alla rilevantissima condotta collaborativa di cui si è detto.
Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Messina, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Non derivando dal presente provvedimento la rimessione in libertà del ricorrente, la Cancelleria provvederà agli adempimenti comunicativi di cui all’art. 94 comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17 dicembre 2024 Il Consigli GLYPH tensore
Il Presidente