Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9943 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9943 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 25/02/2025 R.G.N. 40408/2024
SANDRA RECCHIONE
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 02/01/1961 avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca e dichiarare l’inammissibilità del ricorso nel resto; udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME quale difensore delle parti civili COGNOME COGNOME e in sostituzione dell’Avv. COGNOME quale difensore della parte civile ASSOCIAZIONE ALILACCO, che ha concluso come da conclusioni e note spese alle quali si riporta; uditi i difensori del ricorrente, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME i quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 14 marzo 2024, confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile di usura aggravata (capo 2) e tentata estorsione aggravata (capo 3).
1.1. Avverso la sentenza ricorrono per cassazione i difensori di COGNOME, eccependo la violazione degli artt. 605, 604, 533, 185, 179, 178 lett. a) e 33 cod. proc. pen. e 12 D.Lgs. n. 116/2017, in quanto la composizione del Collegio giudicante era stata attuata con il ricorso ai giudici onorari, non potendo applicarsi la disposizione derogatoria dell’art. 30 del D.Lgs. n. 116/2017, come precisato da una sentenza di questa Sezione (n. 8796/2024): la composizione del Collegio giudicante con un giudice onorario, continuativamente, dal 21 maggio 2019 fino alla deliberazione della pronuncia di primo grado, aveva causato la nullità della stessa e, conseguentemente, della sentenza di appello; ciò non valeva per il reato di cui al capo 1), dal quale COGNOME era stato assolto, stante la intangibilità del giudicato.
1.2. I difensori rilevano altresì l’omissione e la manifesta illogicità della motivazione, lamentando il rigetto della richiesta di rinnovazione dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen.; quanto alla omissione, si osserva che la motivazione della Corte di appello si era risolta in apodittiche
formule di stile, non essendo stato considerato che la richiesta tendeva, da un lato, a tentare di colmare le lacune documentali lamentate dalla dott.ssa COGNOME nella consulenza tecnica a sua firma e, dall’altro, ad acquisire elementi in favore dell’allora indagato attraverso il riscontro del suo narrato e la conseguenziale smentita di quello delle persone offese; la consulenza tecnica era stata resa non solo ignorando il contenuto dell’interrogatorio di COGNOME e delle dichiarazioni di NOME COGNOME del 23 maggio 2014, che riscontravano quelle dell’indagato, ma anche quelle successive di NOME COGNOME che, sentito in dibattimento all’udienza del 28 novembre 2017, aveva modificato per l’ennesima volta le precedenti dichiarazioni, nonchØ di quanto dichiarato dalla consulente tecnica della difesa; quanto alla illogicità manifesta della motivazione, il difensore osserva che la superfluità dell’approfondimento istruttorio affermata dalla Corte d’appello trovava una smentita nell’affermata incompletezza istruttoria che non aveva consentito ai giudici di liquidare la provvisionale ‘anche in ragione del fatto che il consulente aveva calcolato due distinti tassi di interesse – entrambi usurari – a seconda del debito assunto da Costantino’; allo scopo di ritenere infondata la doglianza, valeva la pena obiettare come il deficit probatorio rilevato dalla Corte partenopea per rigettare l’appello agli effetti civili fosse diverso da quello denunciato dalla difesa dell’imputato ai fini della richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., come risultava dai motivi di appello.
1.3. I difensori censurano il punto di sentenza rubricato ‘questione relativa all’illegittimità dell’ordinanza ex art. 512 cod. proc. pen. emessa dal tribunale in data 9.4.2019’, con la quale erano state acquisite le dichiarazioni rese da NOME COGNOME sotto il profilo della violazione di legge, nonchØ con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale di primo grado, inopinatamente disattesa da parte della Corte territoriale; rileva che, all’udienza del 12 marzo 2019, era stato lo stesso Tribunale a sottolineare come COGNOME si stesse volontariamente sottraendo all’esame; rispetto a tale doglianza, la Corte di appello aveva ritenuto infondata l’eccezione difensiva, con evidente vulnus motivazionale e non si era in alcun modo espressa sulla richiesta ex art. 603 cod. proc. pen. con riferimento a NOME COGNOME.
1.4. I difensori rilevano che la sentenza impugnata era meritevole di censura anche nel punto in cui aveva rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria in appello senza ritenere l’incombente decisivo: malgrado la richiesta del consulente tecnico, l’Ufficio di Procura non aveva provveduto ad acquisire gli estratti conto di tutti i conti correnti bancari intestati a NOME COGNOME e a NOME COGNOME nØ la copia degli assegni bancari e soprattutto circolari quietanzati emessi dalle banche di riferimento, stimata dal consulente come necessaria per consentire la verifica dell’identità di coloro che ebbero a porre all’incasso gli assegni emessi dalle persone offese ed i loro eventuali rapporti con COGNOME; tali lacune documentali avevano inevitabilmente inciso sull’approccio metodologico seguito ai fini dell’espletamento dell’incarico rendendo necessitato il ricorso prevalente alle dichiarazioni delle persone offese per individuare -tra tutte le movimentazioni transitate sui conti correnti scoordinati dal consulente- quelle destinate a COGNOME ed a Castellone, all’epoca coindagato di COGNOME; era quindi stata chiesta la nomina di un perito al fine di disporre i necessari accertamenti bancari, prova la cui assunzione era decisiva, ma la richiesta era stata rigettata dai giudici del merito; la sentenza impugnata era contraddittoria, atteso il travisamento dell’elaborato del consulente nella parte in cui affermava che alcuna omissione ricostruttiva era riscontrabile nella consulenza; inoltre, era stata completamente ignorata la consulenza tecnica prodotta dalla difesa.
1.5. I difensori eccepiscono l’omissione e l’illogicità manifesta della motivazione in relazione agli artt. 110, 81 cpv., 644 commi primo e quinto n. 2 e 81 cpv., 56, 61 n. 2, 110, 629, secondo comma, cod. pen., l’erronea valutazione delle risultanze probatorie, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla attendibilità delle persone offese: la Corte di appello non aveva operato alcun accenno alle ‘lacune soprattutto in ordine alla esatta determinazione delle somme che furono ricevute in prestito e di quelle corrisposte dalle vittime’ di cui aveva dato atto il
Tribunale, e non aveva considerato l’assoluta confusione ed incertezza con riferimento al debito che sarebbe stato contratto da NOME COGNOME; vi era stata un’illogicità manifesta della motivazione, atteso che la Corte di appello non si era confrontata con le doglianze difensive circa la credibilità delle persone offese; inoltre, il giudizio di verosimiglianza circa l’accollo del debito di NOME COGNOME da parte del fratello e della cognata appariva una mera congettura; stupiva poi che, nella progressione delle condotte minatorie descritte al capo 3), la decisione di appello istituiva un nesso eziologico tra la volontà di denunciare e le minacce subite il 17 ottobre 2010 in quanto non piø tollerabili, nonostante che l’episodio fosse connotato da minore gravità rispetto a quello precedente che aveva visto protagonista il Castellone e che aveva valso a Motti l’applicazione delle circostanze aggravante di cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen.
1.6. I difensori eccepiscono l’omissione della motivazione in relazione agli artt. 110, 81 cpv., 644, commi primo e quinto, n. 2 cod. pen. e l’erronea valutazione delle risultanze probatorie acquisite: nell’atto di appello era stato evidenziato che, nella sentenza di primo grado, non era stata riportata con completezza l’annotazione di servizio del 17 ottobre 2010 nella parte in cui NOME COGNOME, fin da subito, aveva affermato che il fratello NOME aveva acquistato a debito dei preziosi da COGNOME e da altri gioiellieri, con la conseguenza che i giudici di primo grado avevano svilito la tesi difensiva, omettendo di indicare l’origine dei debiti di NOME COGNOME; la valutazione relativa all’origine dei debiti di NOME COGNOME rispetto a COGNOME e dunque sulla natura commerciale e non finanziaria del rapporto assumeva rilievo non solo allo scopo di suffragare la tesi difensiva in merito alla liceità del rapporto con le persone offese, ma anche soprattutto per censurare le conclusioni del consulente tecnico dell’accusa sulla natura usuraria del tasso applicato.
1.7. I difensori lamentano che la Corte di appello non aveva fornito alcun apporto valutativomotivazionale, giungendo ad un giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato senza procedere alla valutazione delle doglianze difensive in relazione alla ritenuta e fideistica attendibilità delle persone offese; in particolare, si eccepisce l’erroneità della sentenza relativamente al contrasto, denunciato con l’appello, tra il meccanismo posto a fondamento del patto usurario (la novazione degli assegni non onorabili con altri maggiorati del 5%) e le vicende relative al conferimento della procura speciale del 7 maggio 2020; la sentenza di appello aveva scelto un’opzione ricostruttiva senza argomentare le ragioni per le quali, da un lato, non meritassero di essere prese in considerazione la testimonianza della COGNOME nella parte evidenziata dalla difesa, dall’altro non dovessero essere valorizzate quelle dello stesso COGNOME innanzi al Tribunale: la premessa del ragionamento della Corte di appello secondo cui ‘Ł evidente che con la procura a vendere le parti abbiano inteso porre in essere una sorta di novazione totale dei debiti precedenti’ trovava una smentita totale negli atti ritualmente riportati dalla difesa in sede di impugnazione di merito; in particolare, se la procura a vendere rappresentava la modalità di estinzione di un debito di assegni che non prevedevano nell’importo alcun tasso usurario, non si comprendeva come la sottoscrizione dell’atto potesse concorrere all’integrazione del reato di usura; la sentenza era censurabile anche nella parte in cui tentava di superare le doglianze difensive relative alla confutazione del concorso di persone nel reato di usura tra COGNOME e Castellone, avendo il consulente del Pubblico Ministero non conteggiato nel quantum dovuto da COGNOME anche il credito vantato da Castellone, pur calcolando invece a carico di COGNOME le somme pagate da COGNOME al solo Castellone; inoltre, la Corte di appello si era limitata ad un mero richiamo alla sentenza irrevocabile pronunciata nei confronti di Castellone, senza indicare quali fossero gli elementi di riscontro ad essa rispetto alla responsabilità concorsuale per il reato di usura; nØ poteva farsi riferimento ai ‘plurimi elementi di prova passati in rassegna dai giudici di primo grado’, visto che la sentenza di primo grado difettava di un autonomo paragrafo dedicato alla natura concorsuale dell’affermazione di responsabilità; non era stato poi considerato che nella denuncia vi era stato il riferimento, da parte di COGNOME, a
rapporti debitori analoghi a quelli che egli aveva con COGNOME, ma autonomi rispetto ad esso, che quindi avrebbero dovuto essere conteggiati.
1.8. I difensori eccepiscono l’erronea valutazione delle risultanze probatorie acquisite, rilevando che il giudice di appello aveva svilito la prova documentale proveniente dalla persona offesa (i fogli manoscritti), pervenendo ad un giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato senza procedere alla valutazione ed alla doverosa risposta delle doglianze difensive in relazione alla ritenuta e fideistica attendibilità delle persone offese: la Corte di appello aveva scelto di ignorare il dato documentale, da cui emergeva la natura non usuraria del rapporto, per valorizzare la deposizione della persona offesa.
1.9. I difensori eccepiscono l’erronea valutazione delle risultanze probatorie acquisite e l’omessa motivazione in ordine alle doglianze mosse dalla difesa alla consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, confezionata soltanto sulla base delle dichiarazioni rese dalle persone offese; contrariamente a quanto scritto nella sentenza di appello, i criteri tecnici della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero erano stati contestati nella consulenza della difesa, e la Corte di appello non aveva spiegato perchØ dovesse prevalere la prima sulla seconda.
1.10. I difensori rilevano l’omissione e l’illogicità manifesta della motivazione in relazione agli artt. 110, 56, 629, secondo comma, cod. pen. e l’insussistenza della contestata aggravante: premesso che già il Tribunale aveva ritenuto dimostrato il concorso di COGNOME anche nella minaccia posta in essere direttamente da Castellone, i difensori osservano che la sentenza impugnata non aveva spiegato in che modo gli elementi istruttori ritenuti non attendibili per addivenire ad una pronuncia di colpevolezza per la vicenda COGNOME, avevano invece la capacità di dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio il concorso morale di COGNOME nella condotta materiale posta in essere da Castellone; inoltre, la sentenza aveva ricostruito l’episodio avvenuto a casa di Castellone nel senso di una reazione avuta dal coimputato assolutamente estemporanea ed imprevedibile alla richiesta di COGNOME di una dilazione dei pagamenti scaduti e non era stato argomentato nulla sulla consapevolezza da parte di COGNOME che Castellone avesse la disponibilità di un’arma.
1.11. I difensori censurano la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto sussistente l’aggravante prevista dall’art. 644, quinto comma, n. 2 cod. pen.; già nell’atto di appello si era evidenziato come la sottoscrizione della procura a vendere, indicata quale circostanza fattuale idonea ad integrare l’aggravante, risultasse – perfino nel capo di imputazione – inclusa tra le condotte di dazione; la sentenza impugnata aveva omesso di argomentare la ragione per la quale la restituzione degli assegni detenuti da COGNOME ad COGNOME all’atto della sottoscrizione della procura speciale dovesse ritenersi integrare la funzione di garanzia della casa, visto che proprio il consulente del Pubblico Ministero aveva considerato lo scambio sinallagmatico tra i titoli e la procura irrevocabile a vendere al diverso fine del calcolo della debitoria.
1.12. I difensori, relativamente alla conferma della confisca disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 12sexies D.L. n. 306/92 e dell’art. 644, ultimo comma, cod. pen., osservano che l’analisi e la valutazione dei redditi della famiglia Monti non poteva prescindere dalla considerazione della solidità patrimoniale dei soggetti e delle rispettive famiglie d’origine, come emerse dall’istruttoria dibattimentale, che aveva dato atto non solo delle lecite attività e capacità economiche, ma soprattutto della spiccata propensione imprenditoriale del ricorrente: a fronte delle doglianze della difesa, basate sulla consulenza del tecnico di parte, la Corte di appello aveva esposto una motivazione assolutamente generica, che non teneva conto di: i) il metodo di accertamento della sproporzione; ii) l’incompletezza della ricostruzione operata dal primo giudice sotto il profilo temporale, avendo preso in considerazione soltanto le dichiarazioni dei redditi dal 1998 in poi; iii) l’accertamento dei redditi oggetto del cd condono tombale; iv) l’operatività della presunzione di illecita accumulazione anche nei confronti di soggetti terzi rispetto al condannato,
cioŁ della moglie e della figlia di COGNOME; v) la mancanza di qualsiasi accertamento in ordine alla interposizione fittizia da parte della moglie e della figlia di COGNOME rispetto ai beni loro intestati; in particolare, non erano stati presi in considerazione i numerosi input valutativi valorizzati dalla consulente della difesa per colmare l’assenza dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per gli anni antecedenti al 2002.
1.13. I difensori lamentano la carenza assoluta di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, anche in considerazione del tempo trascorso e del comportamento tenuto dal ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato e nessuno dei reati in contestazione risulta prescritto.
Preliminarmente si rileva che ci si trova al cospetto di un caso di c.d. “doppia conforme”, costruzione giuridica che postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità Ł essenzialmente quello che – a presidio del devolutum – discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018); al di fuori di tali binari, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio.
Nel caso in esame, l’esito del giudizio in entrambi i gradi Ł giunto al medesimo risultato, sicchØ l’indagine di legittimità deve limitarsi al vaglio della correttezza del procedimento sotto i profili della completezza di valutazione del compendio probatorio e dell’assenza di manifesto travisamento delle prove; deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), che, in tali termini, deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza. Infine, in ordine alle critiche rivolte alla valutazione di elementi probatori, giova ricordare che trattasi di terreno interdetto alla verifica di legittimità, che può riguardare soltanto il corretto e completo apprezzamento del materiale probatorio sotto il profilo indicato. E, sul punto, le argomentazioni espresse dalla Corte di appello risultano corrette ed esaustive.
1.1. Ciò premesso, relativamente al primo motivo di ricorso, si deve riaffermare in premessache, il divieto, non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., introdotto dall’art. 12 d.lgs. n. 116 del 13 luglio 2017, determina una limitazione alla “capacità” del giudice ex art. 33 cod. proc. pen., la cui violazione Ł causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.: si tratta di una nullità insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 3, n. 39119 del 06/07/2023, M., Rv. 285112; Sez. 3, n. 9076 del 21/01/2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 279942).
1.1.1. Invero, il mutato quadro normativo con l’introduzione di una disciplina organica della magistratura onoraria nelle parti nelle quali ha modificato l’assegnazione dei giudici onorari ed ha disciplinato l’assegnazione di questi nei giudizi penali e civili, impedisce di richiamare il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’integrazione di un collegio da parte di un giudice onorario in veste di supplente, non viola l’art. 43bis del R.D. 30 gennaio 1941 n. 12, che si riferisce all’esercizio delle funzioni del tribunale in composizione monocratica, nØ Ł causa di nullità processuale, atteso che detta previsione introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione di procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari (Sez. 5, n. 47999 del 27/05/2016, De Curtis, Rv. 268465) e che la trattazione da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall’art.
43bis , comma 3, lett. b) del R.D. n. 12/1941, ossia in relazione ai reati non previsti dall’art. 550 cod. proc. pen., non Ł causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo dell’assegnazione del lavoro tra giudici ordinari e giudici onorari (Sez. 4, n. 9323 del 14/12/2005, dep. 2006, Innacco, Rv. 233911), indirizzo interpretativo che si fondava sulla disposizione dell’art. 43bis , ora espressamente abrogata dall’art. 33 del d.lgs. 116/2017 (Sez. 2, n. 9913 del 02/02/2024, COGNOME, non mass.).
1.1.2. Tanto premesso, nel caso di specie, tuttavia, non Ł dato ravvisare la dedotta nullità poichØ al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo 116/17 (15/8/2017), era stata già esercitata l’azione penale (il rinvio a giudizio nel procedimento in oggetto risulta essere stato disposto con decreto del G.u.p. in data 12/05/2015 e la prima udienza dibattimentale risulta essersi tenuta in data 29/06/2015).
Pertanto, trova applicazione la disciplina transitoria di cui all’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 116/2017 cheesclude che per i procedimenti in corso si applichino i divieti introdotti dalla riforma: “Per i procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, iscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l’azione penale”.
1.1.3. Come Ł noto, l’atto di esercizio dell’azione penale Ł identificabile esclusivamente nella “richiesta di rinvio a giudizio” o, per i reati meno gravi, nel decreto di citazione a giudizio: atti con i quali il pubblico ministero esprime, in modo irrevocabile, la volontà di perseguire la persona iscritta nel registro delle notizie di reato. I successivi atti, con i quali la parte pubblica manifesta la persistenza della sua volontà punitiva sono espressione delle sue facoltà processuali, ma non sono qualificabili come atti di esercizio dell’azione penale (Sez. 2, n. 30554 del 06/06/2024, COGNOME non mass.; Sez. 3, n. 46874 del 09/05/2023, Salvia, non mass.).
1.1.4. Questo Collegio Ł consapevole che in una precedente sentenza di questa Corte, in termini dissonanti rispetto all’orientamento indiscusso formatosi, si Ł precisato che ‘non trova applicazione nel caso in esame la disposizione derogatoria di cui all’art. 30 dello stesso d.lgs. 116 del 2017 posto che dalla ricostruzione dell’andamento del procedimento di primo grado risulta che il dibattimento veniva ripetutamente rinnovato per mutamento del collegio anche nel 2020 e, quindi, in data ben successiva l’entrata in vigore della norma’ (Sez. 2, n. 8796 del 14/02/2024, Veneziano, non mass.; seguita da Sez. 2, n. 27371 del 08/05/2024, Roggia, non mass., in fattispecie di dubbia sovrapponibilità, essendosi la motivazione limitata ad affermare che ‘non trova applicazione nel presente giudizio la disposizione derogatoria di cui all’art. 30, commi 1 e 5, del citato d.lgs. n. 116 del 2017, dal momento che la destinazione del giudice onorario di tribunale a comporre il collegio penale Ł successiva all’entrata in vigore della norma, nella sua originaria formulazione’), ancorando così la non operatività della deroga al divieto suddetto al momento dell’apertura del dibattimento, ma tale affermazione si ritiene essere contraria alla lettera della legge e comunque da quest’ultima non consentita in via interpretativa.
Infatti, il legislatore ha scelto di consentire l’utilizzo dei giudici onorari in tutti quei procedimenti per i quali Ł stata esercitata l’azione penale, che, come noto, può essere esercitata tramite la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di citazione diretta a giudizio, la richiesta di giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di emissione del decreto penale di condanna o di applicazione della pena su richiesta (si vedano gli artt. 60 e 416 cod. proc. pen.); non si può, pertanto, spostare in avanti il momento in cui non opererebbe la deroga al divieto fino ad una diversa fase processuale quale Ł l’apertura del dibattimento, vista la chiara indicazione contenuta nel citato art. 30, frutto di una precisa scelta legislativa che non consente eccezioni o applicazioni estensive che finirebbero per tradire irreparabilmente la chiara voluntas legis .
1.1.5. E, sulla base di queste considerazioni, la S.C. ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 30 d.lgs n. 116 del 2017, non potendosi dubitare della legittimità costituzionale della predetta disciplina transitoria, la quale, assegnando rilevanza decisiva all’atto di esercizio dell’azione penale, esprime le ragionevoli scelte del legislatore in ordine alla individuazione del giudice naturale (Sez. 2, n. 30554/24, COGNOME, cit.).
1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, la giurisprudenza di questa Corte Ł costante nel sostenere che il giudice di appello che intende respingere una specifica richiesta di parte di rinnovazione del dibattimento ha l’obbligo di dare conto dell’assenza di decisività degli elementi già raccolti o ad inficiarne la loro valenza (Sez. 5, n. 15606 del 03/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263259; Sez. 6, n. 1249 del 26/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258758).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato la decisione di non rinnovare l’istruttoria dibattimentale, ritenendo superflui i supplementi istruttori invocati (pag. 4), con un giudizio di merito sul quale non Ł ammesso sindacato nella presente sede.
1.3. Relativamente al terzo motivo di ricorso, si ricorda come secondo l’orientamento di questa Corte a cui il Collegio intende dare adesione, allorchØ con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (cfr., ex multis , Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452); l’applicazione del suddetto principio al caso in esame comporta proprio l’inammissibilità del motivo di ricorso posto che la prova di cui il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità non ha avuto incidenza determinante nel giudizio di colpevolezza affermato concordemente dai giudici di merito sulla base delle dichiarazioni delle parti offese e della consulenza tecnica disposta.
1.4. Quanto ai motivi di ricorso – dal quarto al nono – si deve ricordare in premessa la natura del sindacato di legittimità.
1.4.1. Al riguardo, si Ł piø volte ribadito che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che devono ritenersi inammissibili le censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio.
In tal senso, non va dimenticato che “… sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito” (cfr., Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
1.4.2. Ciò premesso, nel caso in esame i motivi di ricorso si traducono in una critica, seppure argomentata, alla consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero ed alla attendibilità delle persone offese, con motivi che chiedono un’inammissibile nuova valutazione delle prove a questa Corte, in alcuni casi non confrontandosi con le motivazioni della Corte di appello (si veda la risposta al motivo 1.6. contenuta a pag. 7 della sentenza impugnata); si deve inoltre rilevare che, riguardo alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, il Collegio condivide e riprende la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea
motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere piø penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214-01).
Peraltro questa Corte, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice dì merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto; inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr., ex multis , Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 227493).
Contraddizioni che non si rinvengono affatto nel caso in esame, nel quale la Corte di appello ha fornito congrua motivazione sull’attendibilità del racconto delle persone offese, evidenziando i riscontri alle dichiarazioni delle stesse (pag. 6); inoltre, quanto all’omessa considerazione della consulenza della difesa, si deve ribadire che il giudice, se ha indicato esaurientemente le ragioni del proprio convincimento, non Ł tenuto a rispondere in motivazione a tutti i rilievi del consulente tecnico della difesa, in quanto la consulenza tecnica costituisce solo un contributo tecnico a sostegno della parte e non un mezzo di prova che il giudice deve necessariamente prendere in esame in modo autonomo (vedi, Sez. 2, n. 15248 del 24/01/2020, COGNOME, Rv. 279062).
1.5. Relativamente alla tentata estorsione e, in particolare, alla contestata aggravante, la sentenza di primo grado ha dato atto che ‘delle minacce di cui fu vittima COGNOME NOME vi Ł … esplicita traccia nelle conversazioni registrate da COGNOME NOME il 14/06/2010 ed il 18/12/2010 nelle quali COGNOME NOME parla di un pestaggio subìto dall’COGNOME e del fatto che egli stesso avesse minacciato quest’ultimo su istigazione proprio di COGNOME Alessandro. Ed il COGNOME riferì di aver appreso direttamente dal COGNOME che quest’ultimo aveva minacciato con una pistola Avallone Costantino’ (pag. 43 sentenza di primo grado); in modo del tutto giustificato, pertanto, la Corte di appello ha concluso per il concorso tra COGNOME e COGNOME in tutte le condotte criminose, donde la sussistenza anche dell’aggravante dell’uso dell’arma.
Si deve, peraltro, osservare che l’eccezione relativa all’aggravante dell’arma era stata proposta in appello in maniera totalmente generica, per cui nessun onere motivazionale aveva la Corte di appello sul punto.
1.6. Altrettanto corretto Ł il ragionamento della Corte di appello sulla aggravante di cui all’art. 644, quinto comma, n. 2 cod. pen.: premesso che la suddetta aggravante sussiste ‘se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari’, la Corte di appello, rispondendo alla censura proposta, ha sottolineato che, secondo gli accordi presi tra COGNOME ed COGNOME, il primo, in cambio della procura a vendere, avrebbe dovuto restituire gran parte degli assegni che aveva ricevuto, così integrando perfettamente la sussistenza dell’aggravante; anche in questo caso, il motivo di ricorso propone inammissibili rivalutazioni di merito.
1.7. Quanto alla confisca, il motivo di ricorso pretende di fornire una diversa valutazione rispetto a quanto osservato dalla Corte di appello, che alle pagine 13 e 14 della sentenza impugnata, ha evidenziato come ‘le allegazioni prodotte dalla difesa non abbiano superato gli esiti e gli accertamenti svolti in fase di indagine, in base ai quali emergeva una sproporzione tra il redditi dichiarato dall’imputato ed il valore economico dei rapporti finanziari e dei beni oggetto di confisca’, valutando anche la consulenza della difesa e ritenendo generiche le affermazioni sulle attività
commerciali ed imprenditoriali di Motti, così rispondendo a tutte le censure sollevate in appello ed inammissibilmente riproposte con il presente motivo di ricorso.
1.8. Relativamente infine al trattamento sanzionatorio, si deve precisare che Ł inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare (come nel caso in esame) l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica; peraltro, il comportamento tenuto dal ricorrente Ł stato pienamente valutato al fine della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
2. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchØ, in virtø del principio della soccombenza, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili: spese che, non sussistendo motivi per la compensazione, vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo (euro 3.686,00 oltre accessori di legge a favore di RAGIONE_SOCIALE ed euro 3.686,00 oltre accessori di legge, complessivi per entrambe, a favore delle due ulteriori parti civili, COGNOME Costantino e COGNOME Margherita).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME sos impresa, che liquida in euro 3.686,00, oltre accessori di legge nonchŁ dalle altre parti civili COGNOME COGNOME e COGNOME Margherita che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 25/02/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME