Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32040 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32040 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Imola il 06/10/1979 avverso la sentenza del 07/11/2024 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 novembre 2024, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna del 29 gennaio 2024, con la quale – per quanto qui rileva – l’imputato era stato condannato alla pena di anni due e mesi tre di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 8 e 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quale amministratore di diritto o di fatto d più società, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e in più circostanze,
emesso o utilizzato in dichiarazione fatture per operazioni inesistenti, a fini di evasione, anche attraverso l’uso di “società-filtro”.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione degli artt. 157 e 159 cod. pen., per la mancata declaratoria di prescrizione dei reati di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000. Si sostiene che la prescrizione avrebbe dovuto ritenersi decorsa al 5 settembre 2024 e, dunque, prima dell’udienza di appello (7 novembre 2024). Secondo la difesa, l’astensione del difensore dall’udienza per l’adesione ad un’iniziativa proclamata da un organismo di categoria avrebbe dovuto essere considerata al massimo in 60 giorni; a partire dal 17 dicembre 2018 e non per tutta la sua durata, ovvero fino al 25 marzo 2019. La sospensione COVID avrebbe dovuto operare per soli sette giorni e non per tutta la durata del periodo, essendovi stato un rinvio di ufficio per ragioni organizzative interne. Vi sarebbe stato, poi, un rinvio da parte del Tribunale (la cui data non viene indicata dalla difesa), disposto per l’audizione dei testimoni e non su richiesta difensiva e, dunque, non valutabile ai fini della sospensione della prescrizione.
2.2. In secondo luogo, si lamentano vizi della motivazione in relazione alla valutazione della testimonianza del luogotenente COGNOME il quale avrebbe dato una propria interpretazione investigativa degli atti, non limitandosi a riportare i dati di fatto. Il ricorso riproduce (alle pagg. 18-26) il motivo di appello sul punto Si sostiene che la Corte territoriale non ha analizzato la verosimiglianza della ricostruzione operata dall’appellante, omettendo di indicare gli elementi di non credibilità della stessa. Si riproducono stralci della motivazione della sentenza di appello (pagg. 27-30 del ricorso) sostenendo che la Corte si sarebbe limitata ad apprezzare le affermazioni accusatorie del luogotenente COGNOME.
2.3. Con un terzo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., oltre al vizio motivazionale, per la mera adesione della Corte d’appello alla ricostruzione operata dalla Guardia di Finanza.
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata si basa sui seguenti assunti: 1) la COGNOME non aveva esperienza nel settore dei servizi, cosicché le società a lei riferibili non potevano operare, anche perché prive di contabilità e strutture organizzativa; 2) la catena commerciale aveva l’unico scopo dell’evasione di imposta, perché gli importi incassati dalle società italiane erano stati pressoché integralmente girati a quelle slovene; si trattava, cioè, di costi aggiuntiv facilmente evitabili; 3) la società slovena era anch’essa non operante, ma solo utilizzata per prelevare importi in contanti che non erano stati pagati alle società
ucraine di somministrazione del personale, come emergeva delle modalità di pagamento in contanti, dalla gestione delle fatturazioni e delle quietanze e dalla scelta di un paese come la Slovenia, nel quale i controlli antiriciclaggio sono scarsi; 4) l’imputato era il creatore delle apparenze documentali inerente alle due società ucraine, essendo state trovate le fatture sul suo computer; 5) la ditta COGNOME operava solamente nella cartellonistica e, dunque, era una società che, per dimensioni, non aveva la capacità economica necessaria per estendersi in settori diversi; le consulenze svolte da COGNOME erano soltanto dei documenti scaricati da Internet a cui era stata cambiata l’intestazione, mentre le fatture emesse nei confronti di COGNOME erano di comodo; 6) la regolarità delle scritture contabili, la tracciabilità dei pagamenti, le documentazioni contrattuali fotografiche erano state create ad arte per mascherare l’insistenza delle prestazioni, pur in assenza di prova di retrocessione di denaro; 7) il dolo era provato dalla creazione di un fittizio sistema di società atto a commettere evasioni fiscali, ivi compresa la esterovestizione della società RAGIONE_SOCIALE
La difesa sostiene che l’imputato ha adeguatamente spiegato, nel corso dei due esami a cui è stato sottoposto, la realtà delle prestazioni e i motivi per i quali era stato creato un sistema di società sia italiane che estero e ricorda che è stato prodotta una chiavetta USB con fotografie, contratti e sponsorizzazioni degli eventi organizzati.
Quanto ai punti sopra evidenziati, la difesa valuta in senso critico le dichiarazioni accusatorie del luogotenente COGNOME, fatte proprio dai giudici di merito ed afferma – seguendo una corrispondente numerazione – che: 1) COGNOME ha spiegato che conosceva la COGNOME da tempo, mentre l’inesperienza di questa nel settore è irrilevante, perché la stessa aveva semplicemente un ruolo di agenzia ed era coadiuvata dallo stesso COGNOME; 2) la ragione economica del prevedere un’agenzia italiana risiedeva nel fatto che le società clienti, che richiedevano le sponsorizzazioni, preferivano un interlocutore italiano, nonostante le effettive prestazioni venissero svolte dalla società slovena; la creazione di una società slovena non avrebbe avuto senso a fini di evasione, perché avrebbe semplicemente moltiplicato i soggetti sottoponibili al controllo fiscale, mentre l’obiettivo dell’abbattimento dei costi avrebbe potuto essere realizzato attraverso una diretta fatturazione in Slovenia; un esame globale degli atti avrebbe permesso di appurare l’effettiva esistenza di un margine di guadagno della società slovena; 3) la società RAGIONE_SOCIALE è stata oggetto di accertamento fiscale in Slovenia senza che siano stati rilevate irregolarità e ciò confuta la tesi secondo cui in tale paese non vengono effettuati i controlli; l’uso del contante è giustificato dal fatto che nel settore tutti gli operatori pretendono di essere pagati in contanti; mentre l’eventuale trattenimento di somme da parte
di COGNOME avrebbe impedito lo svolgimento delle prestazioni, le quali sono invece certamente avvenute; 4) le società ucraine erano perfettamente regolari e operative e fornivano il personale per gli eventi, mentre il fatto che sul computer dell’imputato vi fossero fatture dei fornitori è del tutto normale; 5) vi erano specifici motivi che spingevano COGNOME a tentare di ampliare, attraverso consulenza e sponsorizzazioni, la propria attività; il fallimento del suo progetto imprenditoriale non significa che le fatture relative alle attività dirett realizzarlo fossero false, perché di fronte all’insolvibilità dell’interlocut COGNOME era costretto a effettuare un saldo e stralcio, senza che per questo si potesse individuare un illecito sottostante; 6) la Corte d’appello riconosce che l’imputato ha dimostrato la realtà delle operazioni economiche sottese alle fatture di cui all’imputazione, ma afferma la falsità delle fatture pur a fronte dell prova dei pagamenti, delle prestazioni, della documentazione contrattuale e finanziaria e in mancanza di retrocessioni di denaro; 7) il dolo di evasione deve essere escluso, per l’inesistenza di motivi economici validi alla base della costituzione di società diverse destinate, nell’ipotesi accusatoria, alla creazione degli elementi passivi fittizi; COGNOME si recava spesso in Slovenia per organizzare gli eventi e si rivolgeva ad uffici amministrativi che si trovavano effettivamente in Slovenia.
2.4. Con un quarto motivo di doglianza, si lamentano la manifesta illogicità e la contraddittorietà della sentenza impugnata, per la mancata considerazione della non fittizietà delle attività svolte. Si richiama il passaggio motivazionale ne quale la corte d’appello afferma che non è dimostrato che RAGIONE_SOCIALE operassero solo come cartiere, affermando poi che lo scopo frodatorio veniva perseguito creando l’apparenza di un subappalto, o di una catena di subappalti. La difesa ribadisce come l’agenzia italiana riconducibile alla COGNOME fosse creata – per la mera assistenza ai clienti, mentre l’agenzia slovena organizzava eventi per le gare all’estero, avvalendosi, fra gli altri, anche di fornitori ucraini per la manodopera.
2.5. Si lamentano, in quinto luogo, la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., nonché la mancata disamina degli elementi favorevoli ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di una mitigazione del trattamento sanzionatorio. Quanto al primo aspetto si sarebbero dovuti valorizzare: la condotta processuale collaborativa dell’imputato, esaminato due volte in dibattimento; l’esito complessivo del giudizio, che ha visto il venire meno della maggior parte delle imputazioni originariamente contestate; la dimostrazione della realtà di buona parte delle prestazioni sottese alle fatture. Quanto alla pena, si sarebbero dovute considerare: la ridotta gravità della
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condotta, il ridimensionamento del capo di imputazione, l’assenza di un lucro significativo, l’atteggiamento collaborativo dell’imputato.
La difesa ha depositato memoria, con la quale ribadisce quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, va rilevato che la sentenza impugnata è integralmente confermativa della decisione di primo grado, ed integra dunque un caso di c.d. “doppia conforme”. Va richiamata, dunque, la giurisprudenza consolidata di questa Corte, per la quale il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute n motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (ex plurimis, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155; Sez. 2, n. 5336 del 09i01/2018, Rv. 27201 . 8; Sez. 4, n. 44765 . del 22/10/2013, Rv. 256837). A ciò deve aggiungersi che le censure del ricorrente sono dirette, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificità del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011).
1.1. Il primo motivo di ricorso – inerente al computo della prescrizione – è manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa – la quale comunque non contesta il tempo di commissione dei reati, né l’applicazione del termine decennale complessivo in forza del comma 1-bis dell’art. 17 del d.lgs. n. 74 del 2000 – il calcolo effettuato dalla Corte territoriale è corretto, perché devono essere computati 265 giorni di sospensione.della prescrizione.
1.1.1. Il differimento dell’udienza dal 17 dicembre 2018 al 25 marzo 2019 deve essere considerato per intero (98 giorni), trattandosi di adesione del difensore ad un’astensione dalle udienze proclamata da un organismo di categoria, non assimilabile ad impedimento.
È sufficiente qui richiamare il noto e consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui l’adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze indetta da organismi di categoria non integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire, sicché il rinvio della trattazione del processo disposto, in tal caso, dal giudice determina la sospensione del corso della prescrizione fino alla celebrazione dell’udienza successiva, non trovando applicazione il limite massimo di durata, pari a sessanta giorni, previsto dall’art. 159, primo comma, n. 3), cod. pen. (ex multis, Sez. . 3, n. 8171 del 07/02/2023, Rv. 284154; Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, Rv. 263052).
1.1.2. Quanto alla sospensione per l’emergenza “Covid-19”, come ben evidenziato dalla Corte territoriale, la stessa opera per intero (64 giorni), essendo l’udienza fissata per il 4 maggio 2020. Infatti, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell’emergenza pandennica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall’art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all’il maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale (ex Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 10/02/2021), Rv. 280432 – 02).
1.1.3. Quanto infine, al differimento, disposto all’udienza dell’8 giugno 2022, alla data del 31 ottobre 2022, poi anticipata al 19 settembre 2022 (per cui devono essere computati 103 giorni) – cui sembra riferirsi il ricorso per cassazione – la difesa trascura di considerare di avere formulato un’espressa
richiesta di rinvio con sospensione dei termini di prescrizione, come risulta dal verbale di udienza.
1.2. Al secondo motivo di doglianza si attagliano pienamente le considerazioni generali svolte sub 1.
Esso risulta sostanzialmente privo di argomentazioni a sostegno, perché è basato sull’affermazione, del tutto immotivata, secondo cui il luogotenente COGNOME avrebbe dato una propria interpretazione investigativa degli atti che non sarebbe stata posta a confronto con la versione difensiva fornita dall’imputato. Il ricorso si limita, però a riprodurre il motivo di appello sul punto, oltre a stra della motivazione della sentenza di appello, senza spiegare le ragioni della sussistenza del supposto vizio motivazionale.
1.3. Il terzo motivo, pur non essendo privo di riferimenti critici all motivazione della sentenza impugnata, contrapposta alla versione difensiva, è parimenti inammissibile, perché sostanzialmente basato – a fronte di una “doppia conforme” – sulla richiesta di una rilettura del quadro probatorio, preclusa in sede di legittimità.
La stessa prospettazione difensiva non fa emergere vizi, riconducibili alle categorie dell’articolo 606 codice procedura penale e, anzi, si presenta del tutto insufficiente a confutare quanto affermato dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione.
Del tutto correttamente, la sentenza impugnata si è ‘basata sulle affermazioni dell’ufficiale che ha proceduto all’accertamento, vista l’inconsistenza della versione difensiva, la quale non tiene conto dei seguenti profili: 1) l’interposizione della COGNOME, la quale sostanzialmente non svolgeva alcuna attività con le società a lei riferibili, era spiegabile solo in un’ottica frodatori gli importi incassati dalle società italiane erano stati pressoché integralmente girati a quella slovena, mentre la prospettazione difensiva si limita ad asserire, senza puntuale riferimenti agli atti di causa che vi era un profitto da parte di tale società; 3) del tutto generica è l’assunto del ricorrente quanto al fatto che la società slovena era operante, perché non spiega la sua mancanza di risorse, né l’anomalia dei pagamenti in contanti, se non attraverso la mera affermazione secondo cui quella era la prassi del settore; mentre è irrilevante, oltre che generica, l’affermazione difensiva relativa al superamento dei controlli fiscali in Slovenia; 4) la difesa non spiega la ragione per la qual le fatture riferite all società ucraine erano state trovate sul computer dell’imputato; circostanza logicamente spiegabile con la predisposizione delle stesse da parte dello stesso imputato, in ottica frodatoria; 5) l’inoperatività della ditta COGNOME nel setto rilevante ai fini dell’imputazione e la sostanziale inconsistenza delle consulenze svolte da COGNOME – che erano soltanto documenti scaricati da Internet, privi di
sostanza, a cui era stata cambiata l’intestazione – non trovano adeguata confutazione nell’appello, né nel ricorso per cassazione, che ne riproduce il contenuto; 6) la regolarità delle scritture contabili, la tracciabilità dei pagament le documentazioni contrattuali e fotografiche (contenute nella pennetta USB prodotta) sono irrilevanti, trattandosi di apparenze create ad arte, come la mancanza di prova di retrocessione di denaro, non essendo la retrocessione, elemento costitutivo dei reati contestati; 7) il dolo di evasione è ampiamente provato dalla creazione di un fittizio sistema di società, in larga parte prive d struttura o, comunque, di operatività nel settore di riferimento.
1.4. Le considerazioni appena svolte si attagliano anche al quarto motivo di doglianza, con cui si lamenta la mancata considerazione della non fittizietà delle attività svolte da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
La censura è basata sull’estrapolazione, decontestualizzata, di affermazioni della sentenza di appello (pagg. 4-5) secondo cui non era dimostrato che tali realtà operassero solo come cartiere. La stessa Corte d’appello descrive, però, nel prosieguo della motivazione – non oggetto di puntuale contestazione da parte della difesa – il modus operandi frodatorio utilizzato, basato sull’apparenza di un subappalto, o di una catena di subappalti, con l’interposizione fittizia di più soggetti (pagg. 5-6).
1.5. Anche il quinto motivo di ricorso – relativo alla mancata disamina degli elementi favorevoli ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di una mitigazione del trattamento sanzionatorio – è inammissibile. La difesa si limita a generiche e affermazioni tese a sminuire la gravità dei fatti commessi, basandosi su vaghi riferimenti alla circostanza che le imputazioni originariamente contestate sarebbero in parte venute meno nel giudizio di primo grado e al comportamento processuale dell’imputato. Non considera, però, la motivazione del provvedimento impugnato (pag. 8) che, proprio considerando le ipotesi oggetto di condanna, ne evidenzia la gravità, con analitici conteggi dei relativi importi. Né può essere logicamente posta in discussione la corretta affermazione dei giudici di primo e secondo grado relativa all’elevata intensità del dolo, che emerge dal sistema di false fatturazioni escogitato, dotato di un rilevante livello di complessità e di sofisticazione, nonché basato su una considerevole organizzazione di medi. Infine, il ricorso omette di considerare la negativa personalità del soggetto, delineata dal precedente penale, che denota una persistenza della sua inclinazione a condotte decettive che esclude il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbe, quale unico effetto, l’applicazione di una pena eccessivamente modesta.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/06/2025