Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38431 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38431 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) nato a NOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; DALL’OLIO
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore dell’imputato; lette le conclusioni del difensore della parte civile;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 gennaio 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato quella emessa il 26 aprile 2023 dal Tribunale di Nola nei confronti di NOME COGNOME ritenuto responsabile dei delitti di detenzione e porto in luogo pubblico di un ordigno esplosivo, ricettazione e danneggiamento.
1.1. Il fatto per il quale si procede è avvenuto il 31 dicembre 2020, alle ore 2.20 circa, quando si è verificata un’esplosione, davanti alla saracinesca del bar denominato RAGIONE_SOCIALE, di proprietà di NOME COGNOME, nel comune di Cicciano.
I conseguenti danni hanno coinvolto non solo la saracinesca e l’interno del locale, ma anche alcuni veicoli all’esterno dello stesso.
Il fatto è stato ricostruito anche tramite le immagini delle telecamere collocate nei pressi del bar che hanno inquadrato il soggetto che ha posizionato l’ordigno ricostruendone i movimenti nelle fasi immediatamente precedenti il fatto, oltre agli spostamenti della vettura sulla quale viaggiava l’autore dell’azione delittuosa.
Il veicolo è stato identificato nella Fiat Bravo intestata alla madre dell’imputato, COGNOME NOME e il fatto non è stato oggetto di contestazione alcuna nei giudizi di merito.
Il Tribunale e la Corte di appello hanno, altresì, concordemente valorizzato la circostanza della regolare e ordinaria utilizzazione della predetta automobile da parte di COGNOME.
1.2. I motivi di appello sono stati analiticamente smentiti dalla Corte napoletana alla luce delle seguenti considerazioni.
In punto di esatta identificazione di NOME COGNOME come l’autore della collocazione dell’ordigno, è stato evidenziato quanto emerso da plurimi elementi quali i filmati (dai quali è risultato che l’attentatore era un uomo), le deposizioni dei testi di polizia giudiziaria, il contenuto di intercettazioni e la testimonianz della madre dell’imputato.
L’attentatore ha utilizzato l’automobile della COGNOME.
E’ stato ritenuto dimostrato (alla luce delle dichiarazioni della donna e del contenuto di un’intercettazione tra l’imputato e la sorella ampiamente riportata alle pagg. 9-10 della sentenza impugnata) che la notte del 31 dicembre 2020 quel veicolo era nella disponibilità dell’imputato, essendo rimasta totalmente sfornita di prova l’ipotesi che il veicolo potesse essere in uso a terzi.
Inoltre, è stata valorizzata la circostanza della mancanza della prova di un alibi da parte dell’imputato la cui indicazione circa la visita serale o notturna alle
sorelle quando si è verificata l’esplosione è stata ritenuta non dimostrata, oltre che priva di ogni decisività, stante l’incertezza del momento in cui sarebbe avvenuta.
Alla luce del solido compendio indiziario sin qui descritto, la Corte di appello ha escluso la possibilità di formulare plausibili letture alternative idonee a determinare l’insorgenza di un dubbio ragionevole sulla ricostruzione operata dai giudici di merito.
In particolare, sono stati ritenuti inconferenti, rispetto alla ricostruzione dei fatti, i rapporti tra la persona offesa e NOME COGNOME, così come i dialoghi intercettati tra quest’ultimo, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Secondo la Corte di appello, il fatto che i rapporti tra la persona offesa e NOME, ex socio della RAGIONE_SOCIALE, non fossero amichevoli, tanto che la prima si era lamentata delle molestie e delle minacce provenienti da NOME (il quale aveva iniziato anche una causa civile contro la donna), è stato ritenuto non idoneo a smentire le prove a carico dell’imputato.
L’esclusione di qualsiasi elemento in grado di dimostrare il coinvolgimento di COGNOME è stata giudicata circostanza tale da neutralizzare ogni rilevanza delle conversazioni tra lo stesso COGNOME e i citati COGNOME e COGNOME.
Analogamente, è stato negato rilievo alla tesi difensiva volta a valorizzare i rapporti tra NOME e NOME COGNOME.
Infine, non è stata accolta la prospettazione secondo cui l’estraneità di COGNOME dovrebbe discendere dalla mancanza di movente o dall’assenza di prova dello stesso.
La relativa deduzione difensiva è stata considerata sostanzialmente irrilevante, alla luce della solidità del quadro indiziario a carico dell’imputato.
E’ stato rigettato anche il motivo di appello avente ad oggetto la qualificazione del reato di cui al capo A) in quello di cui all’art. 678 cod. pen., tenuto conto di quanto rilevato dagli artificieri che hanno segnalato la «natura dirompente» dell’ordigno in ragione degli effetti dell’onda d’urto generata.
La Corte di appello ha escluso la concedibilità delle attenuanti generiche alla luce delle modalità del fatto e della capacità a delinquere dimostrata, anche in ragione del riscontrato inserimento dell’imputato in ambienti delinquenziali.
In punto di trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha condiviso la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale si è discostato, nell’individuazione della pena base, dal minimo edittale a ragione della spiccata gravità del fatto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del NOME difensore, AVV_NOTAIO, articolando tre
motivi.
2.1. Con il primo motivo ha eccepito contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della quale ha rilevato, preliminarmente, il contrasto con le «risultanze istruttorie».
Ha evidenziato circostanze fattuali ritenute significative, quali l’assenza di rapporti tra l’imputato e la persona offesa, al contrario di NOME COGNOME del quale sono state messe in evidenza le relazioni e i contrasti con la COGNOME, come attestato dall’esistenza di una controversia civile e la commissione di atti persecutori ai danni della seconda; circostanza confermata da testimoni escussi.
Il ricorrente si è soffermato, inoltre, sulla sostanziale inattendibilità di NOME NOME su circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento del fatto per il quale s procede.
In particolare, il motivo ha avuto riguardo alla vicenda di una ritorsione per una rapina commessa dal fratello della persona offesa (NOME COGNOME) ai danni della madre di NOME COGNOME, detto NOME COGNOME.
Si tratta di risultanza smentita nel corso del giudizio e, dunque, idonea a costituire un elemento a carico di COGNOME.
Il ricorrente ha, inoltre, evidenziato la rilevanza della mancanza di movente.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito l’assenza di motivazione sulle prove (ritenute comunque mancanti) a carico di COGNOME.
La carenza probatoria è stata riferita, in primo luogo, alla stessa identificazione dell’imputato come l’attentatore.
Anche sul fatto che si trattasse di un uomo, e non di una donna, non sarebbero stati acquisiti elementi di certezza.
La qualità delle immagini non consentiva di pervenire alle conclusioni fatte proprie dalla Corte di appello di Napoli, non essendo sufficiente la presenza dell’automobile della madre dell’imputato nei pressi del luogo dell’attentato.
Il riferimento alla conversazione con la sorella è stato ritenuto inidoneo a supportare la motivazione della Corte napoletana.
2.3. Con il terzo motivo è stato eccepito il vizio di violazione di legge con riguardo ai delitti previsti dagli artt. 2 e 4 legge n. 895 del 1967, in quanto vedendosi in tema di ordigno artigianale improvvisato, non qualificabile come «micidiale», contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito.
L’ordigno (una bomba carta) non possedeva caratteristiche tali da determinare danni a cose o persone; poteva, dunque, essere classificato a norma del d.lgs. 29 luglio 2015, n. 123.
Pertanto, il fatto avrebbe dovuto plausibilmente essere inquadrato ai sensi dell’ad. 678 cod. pen.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore dell’imputato ha depositato conclusioni scritte ed ha successivamente comunicato di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dall’RAGIONE_SOCIALE.
Il difensore della parte civile ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Non avendo presentato istanza di trattazione orale, la dichiarazione di adesione all’astensione presentata dal difensore è priva di effetti e come tale è stata dichiarata dal Collegio.
Viene condiviso e ribadito l’orientamento di questa Corte in base al quale «nel giudizio di cassazione celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica, in assenza di tempestive richieste di discussione orale, è priva di effetti l’istanza di rinvio presentata dal difensore che dichiari di aderire all’astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di RAGIONE_SOCIALE, non avendo l’istante diritto di partecipare all’udienza camerale. (In motivazione la Corte ha precisato che il rinvio può essere concesso solo in relazione ad atti o adempimenti per i quali sia prevista la presenza del difensore e che, dunque, in caso di trattazione scritta, rimangono del tutto irrilevanti, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, ulteriori circostanze quali la data di scadenza del termine previsto per la trasmissione delle conclusioni o se tale termine ricada nel periodo di astensione)» (Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, Dalla Tomba, Rv. 284786).
2. Il ricorso è inammissibile.
Si vede in tema di sentenza di appello che ha confermato integralmente quella di primo grado.
Prima di passare all’esame analitico dei motivi di ricorso, pare opportuno, quindi, svolgere qualche preliminare richiamo ai consolidati approdi della giurisprudenza di questa Corte in tema di, così detta, doppia conforme e di perimetro di ammissibilità del sindacato di legittimità.
3.1. Sul primo aspetto, si ribadisce che «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizza nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (fra le molte, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, F., Rv. 277218).
Quale criterio di valutazione di carattere generale della sentenza di appello, anche quello per cui «nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935).
Nel caso di specie, la sentenza di appello si è posta in costante collegamento con quella di primo grado della quale ha sostanzialmente mutuato i medesimi criteri di valutazione degli elementi indiziari e probatori posti a fondamento della decisione e si è collocata in linea di stretta continuità e coerenza con quanto deciso dal Tribunale di Noia.
3.2. È costante, inoltre, riguardo ai limiti del sindacato di legittimità di questa Corte, l’insegnamento, ribadito anche di recente, per cui, «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenz probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Va inoltre ricordato quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601, con la quale è stato enunciato il principio per cui, «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
In tal senso anche il più risalente (ma tuttora valido) insegnamento per cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, pur dopo la novella codicistica introdotta con la I. n. 46 del 2006, non hanno rilevanza le censure che si limitino
ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di mera legittimità» (Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510).
Il primo e il secondo motivo, benchè afferenti a profili parzialmente diversi (sebbene entrambi riferiti alla motivazione della sentenza della Corte di appello) in quanto articolati secondo uno schema comune, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi non superano il vaglio preliminare di ammissibilità compiuto sulla scorta dei principi sopra illustrati.
4.1. Viene sostanzialmente proposta a questa Corte di legittimità una lettura alternativa delle prove sostenendo la tesi della contrasto della ricostruzione della sentenza impugnata con le risultanze istruttorie mediante l’articolazione di censure sul merito della vicenda.
Così, gli argomenti utilizzati in ricorso per tentare di destrutturare la motivazione della sentenza impugnata sono stati affrontati e risolti, in termini convergenti, da parte dei giudici di merito i quali hanno concordemente affermato che autore dell’azione delittuosa è stato un uomo che ha utilizzato, la sera dal 21 dicembre 2020, l’automobile della madre dell’imputato, ossia la vettura ordinariamente utilizzata NOME da COGNOME.
Ha ricavato questo primo dato dalla deposizione del teste di polizia giudiziaria COGNOME che ha descritto la dinamica dell’azione per come ripresa dalle telecamere di sorveglianza richiamando le caratteristiche fisiche, l’atteggiamento e il portamento della persona ripresa all’atto di collocare l’ordigno.
Sul punto il ricorrente segnala l’emersione di elementi di incertezza che, in realtà, tali non sono, a ragione della univocità dei dati risultanti dalle immagini e riferiti dal teste COGNOME.
Altrettanto granitica la motivazione sulla circostanza che l’autore del posizionamento della bomba è giunto sul posto e si è allontanato a bordo dell’automobile della madre dell’imputato.
Anche in questo caso, il dato decisivo e, sostanzialmente, incontestato (il ricorrente stesso lo indica come «unica cosa certa» – pag. 15 del ricorso) è costituito dalle videoriprese.
Sul fatto che la sera dell’attentato l’automobile fosse effettivamente in uso all’imputato, il ricorrente ha svolto censure, ancora una volta, tese a sollecitare una rivalutazione dei principali elementi indiziari utilizzati dai giudici di merito: dichiarazioni della madre dell’imputato (dal contenuto delle quali la Corte di appello ha ricavato la dimostrazione della utilizzazione del veicolo da parte di COGNOME) e il contenuto dell’intercettazione del 4 gennaio 2021 tra la sorella
dell’imputato e quest’ultimo nel corso della quale la prima ha pronunciato espressioni incompatibili con l’alibi prospettato da COGNOME.
Al tentativo di proporre l’adozione di una comune versione incompatibile con la commissione del fatto da parte dell’imputato, la sorella di quest’ultimo ha evidenziato che la sua escussione da parte della polizia era già avvenuta, vanificando così la credibilità di quanto COGNOME avrebbe voluto dichiarare circa suoi spostamenti, la sera del 31 dicembre 2020, incompatibili con la sua presenza sul luogo dell’esplosione.
Il ricorrente, sul punto, propone una nuova e diversa interpretazione della captazione rendendo, così, inammissibile la censura a mente dell’orientamento pacifico della giurisprudenza di questa Corte secondo cui «in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Identico il principio he viene costantemente applicato con riferimento al contenuto delle intercettazioni; sul punto, fra le molte, si ricorda il principio pe cui «in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
A fronte del corposo compendio indiziario descritto in sentenza, univocamente convergente nell’attribuzione della responsabilità del fatto all’imputato, si colloca in termini di totale neutralità la mancata verifica dell’esistenza di un plausibile movente.
4.2. Con riferimento alla possibilità di credibili ipotesi alternative, l sentenza si è soffermata sulle censure difensive (pagg. 13 – 15) fornendo una motivazione esente dai vizi lamentati; motivazione che prende correttamente le mosse dalla mancata emersione di circostanze idonee a dimostrare che l’automobile della madre dell’imputato (pacificamente utilizzata da chi ha collocato l’ordigno) sia stata prestata a soggetti diversi da COGNOME.
Sul punto va fatta una considerazione preliminare che riguarda la tecnica di redazione del ricorso nella parte relativa a tale aspetto.
Invero, da pag. 3 a pag. 12 del ricorso (quella dedicata, appunto alla censura della motivazione riferita alle piste alternative) GLYPH si evince un solo
passaggio dedicato alla critica verso la sentenza di appello, integrando, nel resto, il motivo una mera rilettura delle emergenze istruttorie delle quali si sollecita una diversa interpretazione.
Ed anche laddove si fa riferimento alla mancata risposta della Corte di appello ad un profilo problematico sollevato nel corso del processo in relazione alla figura di NOME COGNOME (pag. 10 del ricorso – parte iniziale) si omette di considerare che il ruolo di quel soggetto è stato preso in considerazione e l’ipotesi prospettata dalla difesa esaminata e disattesa con argomentazioni prive di manifesta illogicità, stante la ritenuta inconferenza, rispetto alla ricostruzione del fatto, dei rapporti tra la persona offesa e il predetto COGNOME.
Anziché riepilogare quanto emerso dall’istruttoria, il ricorrente avrebbe dovuto criticare questa parte di motivazione e spiegare per quale ragione non possa ritenersi condivisibile e soprattutto non possa condividersi l’affermazione della sentenza secondo cui da nessun elemento, neppure affermato dall’imputato (la cui tesi difensiva non è quella di avere prestato l’automobile da lui ordinariamente utilizzata, la sera del 31 dicembre 2020, a NOME COGNOME) è risultata la presenza di NOME sul luogo dell’esplosione.
Va ricordato e ribadito che «in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi appello non sono stati accolti» (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B, Rv. 281521; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710).
Relativamente alla possibilità di configurare il dubbio ragionevole, poi, giova richiamare il principio per cui «in tema di giudizio di legittimità, l’introduzione nel disposo dell’art. 533 cod. proc. pen. del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio” ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, sicché la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, segnalata dalla difesa, non integra un vizio di motivazione se sia stata oggetto di disamina da parte del giudice di merito» (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, Lombardi, Rv. 285801 e numerose conformi precedenti).
La Corte si è attenuta anche al principio per cui «il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio” enuncia sia una regola di giudizio che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell’imputato, sia un metodo legale di accertamento del fatto che obbliga il giudice a sottoporre, nella
valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese, sicché la violazione di tali parametri rende la motivazione della sentenza manifestamente illogica» (Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, COGNOME, Rv. 285548 – 15).
Conclusivamente, sui profili genericamente sollevati nei primi due motivi, deve osservarsi che la Corte, nella valutazione del materiale indiziario, si è rigorosamente attenuta al principio secondo cui «in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep, 2021, S., Rv. 280605 – 02 e numerose conformi).
Il terzo motivo è inammissibile in quanto chiaramente riferito alla contestazione di cui al capo di imputazione e non anche alla sentenza che motiva ampiamente sulla non configurabilità della fattispecie di cui all’art. 678 cod. pen., tenuto conto dell’esito dell’istruttoria.
Anche in questo caso, a fronte della motivazione che ha fatto riferimento alle emergenze dell’istruttoria, fra le quali gli accertamenti tecnici dei RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE, circa l’entità dell’onda d’urto e dei danni provocati, il tipo di materiale utilizzato e del calcolo del peso della bomba e, dunque, della sua classificazione nella RAGIONE_SOCIALE degli «esplosivi» e non delle «materie esplodenti» ex art. 678 cod. pen., tenuto conto della natura dirompente del manufatto.
A fronte di tale motivazione, il ricorrente concentra le proprie censure richiamando la descrizione del capo di imputazione omettendo ogni riferimento, come segnalato anche dal Procuratore generale, alla sentenza impugnata.
Il motivo è, pertanto, inammissibile in quanto generico.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/07/2024