Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27140 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27140 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il 23/02/1979
avverso la sentenza del 12/12/2024 della CORTE di APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 12 dicembre 2024 la Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa il 18 luglio 2022 dal Tribunale di Castrovillari, con la quale NOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di danneggiamento aggravato e condannato alla pena di legge.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva vizio di motivazione assumendo che la Corte territoriale non aveva proceduto a una valutazione autonoma del
compendio probatorio, essendosi limitata a un mero richiamo alle argomentazioni rassegnate dal giudice di primo grado.
Con il secondo motivo deduceva violazione dell’art. 601 cod proc. pen. assumendo che la sentenza impugnata era nulla poiché al difensore non era stato notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello.
Con il terzo motivo deduceva erronea applicazione degli artt. 187, commi 1 e 2, 125 e 442 cod. proc. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione, assumendo che la Corte territoriale non aveva argomentato in merito alle censure sollevate con l’atto di appello in merito alle contraddizioni evidenziate nelle dichiarazioni di COGNOME NOME e NOME, e che la sentenza impugnata non aveva motivato riguardo alla ritenuta sussistenza della violenza e della minaccia in danno della persona offesa.
Con il quarto motivo deduceva violazione dell’art. 62-bis cod. pen., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, assumendo la carenza di motivazione al riguardo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è del tutto generico e pertanto inammissibile.
Peraltro, trattandosi nella specie di “doppia conforme”, è consentito al giudice di appello il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado (v., ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01, secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale).
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo, dovendosi considerare che la lettura degli atti, ai quali la Corte ha accesso in ragione della natura della doglianza, permette di rilevare che nel caso di specie il decreto di citazione per il giudizio di appello è stato ritualmente notificato al difensore di fiducia Avv. NOME COGNOME che ha depositato conclusioni scritte e nulla ha dedotto al riguardo.
Ciò premesso deve osservarsi che la Corte di legittimità, nella composizione più prestigiosa, ha avuto modo di statuire che il termine ultimo di deducibilità della nullità a regime intermedio, derivante dall’omessa notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale di appello ad uno dei due difensori dell’imputato, è quello della deliberazione della sentenza nello stesso grado, anche in caso di assenza in udienza sia dell’imputato che dell’altro difensore, ritualmente avvisati (in tal senso Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651 – 01).
Nel caso di specie la nullità è stata dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione; di qui la manifesta infondatezza del motivo.
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il terzo motivo.
La Corte territoriale, invero, ha reso una motivazione immune dai vizi denunciati, osservando in maniera del tutto congrua che il teste COGNOME COGNOME aveva dichiarato che l’imputato, nel maneggiare il bastone con il quale aveva distrutto il lunotto posteriore della vettura della parte offesa, aveva pronunciato minacce, anche di morte, e aveva diretto l’azione anche nei confronti dei passeggeri dell’auto, tanto che uno di essi era stato colpito dalle schegge di vetro, ed evidenziando altresì che il teste NOME aveva ricordato genericamente le frasi ingiuriose pronunciate nell’occasione dal COGNOME e aveva affermato di non serbare un ricordo preciso degli accadimenti in quanto si era molto spaventato; con ciò la Corte ha escluso qualsivoglia contraddizione fra le due testimonianze, evidenziando che il COGNOME non aveva affatto smentito le dichiarazioni del teste COGNOME.
Da tali ultime dichiarazioni la Corte d’Appello ha tratto conseguenze del tutto logiche in punto di sussistenza della violenza e della minaccia in danno della persona offesa.
È, infine, manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, anche il quarto motivo, dovendosi evidenziare, ad onta della dedotta carenza di motivazione, che la Corte di merito ha adeguatamente motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche facendo riferimento alla “pesantissima biografia penale” (v. pag. 2 della sentenza impugnata) dell’imputato e alla gravità della condotta, indicativa di un’indole violenta.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle
statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato
senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 16/05/2025