Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33298 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33298 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALL ALIOUNE nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/09/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte di assise d’appello di Bologna ha confermato la sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Rimini in data 12/09/2022 con la quale, per quanto di interesse, NOME è stato dichiarato responsabile del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 630 comma 4 cod. pen. (capo A) e di porto e detenzione d’arma da fuoco (capo B), e condannato alla pena di sei anni e sei mesi di reclusione.
Questi brevemente i fatti: sullo sfondo di un traffico internazionale di autovetture riciclate, rubate in Italia e trasportate, via INDIRIZZO, in Africa, a segui dell’avvenuto sequestro di una delle vetture ed all’arresto dell’autista, NOME COGNOME, l’imputato, in concorso con la coimputata (non ricorrente) NOME COGNOME e di NOME COGNOME (deceduto), nella convinzione che il COGNOME avesse sottratto l’auto, lo sequestrava, privandolo della libertà personale, sotto la minaccia di una pistola e lo minacciava di morte al fine di ottenere la restituzione del veicolo; fatto commesso a Saludecio il 07/08/2019 e proseguito a Bagnolo Mella e Brescia sino al 08/08/2019.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, deducendo, quale unico motivo di ricorso, il difetto di motivazione, rilevante ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’affermazione di responsabilità in ordine al reato di detenzione e porto di arma di cui al capo B).
La Corte territoriale ha confermato la responsabilità del NOME relativamente ai reato di detenzione e porto d’arma da fuoco, omettendo di rispondere alle censure sollevate dalla Difesa, e rendendo una motivazione, illogica, contraddittoria e non ancorata alle risultanze probatorie.
L’arma asseritamente utilizzata per minacciare la p.o. non è stata, infatti , rinvenuta, di talchè appare inspiegabile come già il primo Giudice avesse affermato trattarsi di una Glock; l’identificazione dell’arma era avvenuta, in fase di indagini sulla base della descrizione fornita agli inquirenti da NOME COGNOME, il quale tuttavia, per sua stessa ammissione, non era un esperto d’armi. Ulteriore elemento ritenuto rilevante era stato ritenuto il rinvenimento sulla camicia della p.o. di una “strisciata” che secondo i Carabinieri era stata lasciata dal lubrificante della pistola. Tuttavia la Difesa, già in sede di gravame, aveva osservato come l’operante nella sua relazione, acquisita agli atti, avesse sempre usato il verbo al condizionale nella descrizione sia della pistola, sia della macchia rinvenuta sulla camicia.
In assenza di accertamenti sull’arma (perché non rinvenuta) e sulla macchia) sulla camicia della p.o. l’affermazione trattarsi di un’arma vera risulta apodittica.
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Il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha fatto pervenire la sua requisitoria scritta con la quale conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
La parte civile NOME COGNOME ha depositato una memoria con la quale chiede dichiarare inammissibilità, o in subordine rigetto, del ricorso, e deposita nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
L’unico motivo proposto, con il quale l’imputato contesta l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di porto e detenzione d’arma da fuoco, di cui al capo B), sconta la sua natura fattuale e meramente reiterativa di censure mosse in sede di gravame e devolute alla Corte territoriale che le ha risolte con motivazione scevra da aporie logiche e pertanto insindacabile in questa sede.
Preliminarmente, si precisa che ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una c.d. “doppia conforme”. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.
Nel caso di specie, l’utilizzo, da parte dei sequestratori, di un’arma vera, mai rinvenuta, è stato logicamente e ragionevolmente ritenuto provato dalla Corte territoriale, sulla base della descrizione fattane dal COGNOME, la cui credibilità è def
«granitica», dalla presenza sulla camicia della persona offesa di una «strisciata di lubrificante, ragionevolmente riconducibile all’oliatura della pistola», (circostanza compatibile solo con la detenzione di una pistola vera e di metallo), nonché dalla tipologia della lesione al timpano (accertata dai sanitari del Pronto Soccorso) riportata dalla vittima a causa del colpo ricevuto con il calcio della pistola.
È evidente come, a fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente inviti ad una rivalutazione di elementi fattuali non consentita in questa sede, riproponendo peraltro argomenti con i quali la sentenza impugnata risulta essersi già confrontata in termini non manifestamente illogici, come quelli sopra riportati.
Non rileva nemmeno che l’arma, come dedotto dal ricorrente, fosse detenuta dal coimputato NOME COGNOME, poiché, secondo la ricostruzione del fatto operata non illogicamente dai giudici di merito, l’arma era stata utilizzata nel corso dell’azione di sequestro, con l’apporto ed il consenso anche del ricorrente.
Ebbene, va ribadito che non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una «rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, COGNOME; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, COGNOME, Rv. 203428).
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro tremila.
L’imputato deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, NOME COGNOME, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendone il pagamento in favore dello Stato. GLYPH D
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a sp dello Stato, NOME, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 22/04/2024